mercoledì 31 marzo 2010

Proibizionismi capitali


Un tribunale degli Emirati Arabi Uniti ha condannato a morte 17 cittadini indiani per l’omicidio di un pakistano, commesso nell’emirato di Sharjah nel gennaio 2009.
La vittima sarebbe stata uccisa con numerose coltellate, nel corso di una lite per il controllo del traffico illecito di alcolici.
Secondo gli osservatori potrebbe trattarsi del maggior numero di condanne capitali emesse in una sola volta negli Emirati.
I responsabili dell’omicidio sarebbero stati identificati da altri pakistani sopravvissuti all’aggressione.
Gli scontri tra bande che gestiscono il traffico di alcolici è in aumento negli EAU, dove la vendita dell’alcol è strettamente controllata.
Caso unico nel Paese, nell’emirato di Sharjah la vendita di alcolici è assolutamente vietata.
Negli EAU sono reati capitali: omicidio, stupro, tradimento, rapina aggravata, apostasia, adulterio, spaccio e, dal 1995, traffico di droga sebbene non si sia mai appreso dell'esecuzione di nessuna sentenza.

(Fonte: Nessuno Tocchi Caino )

martedì 16 marzo 2010

Il paradosso del debito del Lazio


di Emma Bonino

Sul debito della sanità del Lazio circolano leggende e ricostruzioni fantastiche. Io credo che chi ambisce al governo di questa grande regione debba attenersi ai fatti e cercare di capire a fondo questo intrigato e pesantissimo problema. In questi due mesi di campagna elettorale ho cercato di farlo. Da dove viene, come si è formato e in quale stato si trova il famoso debito del Lazio? Si tratta di 10 miliardi di euro, accumulati, per circa il 90%, in soli cinque anni e solo nella sanità. Parliamo di una cifra pari a una finanziaria nazionale leggera. Difficile spiegare come sia stato possibile accumularlo e soprattutto pagarlo. Però i fatti e i numeri, a partire da quelli di una fonte autorevole come la Corte dei Conti, dicono che quel debito oggi non esiste più, nel senso che è stato completamente ristrutturato. Purtroppo i 10 miliardi di euro fanno parte di quel passato che pesa sul presente e peserà sul futuro della Regione Lazio per almeno trent'anni. Un futuro ipotecato, per altro, da quegli stessi politici che ambiscono a tornare sul luogo del delitto, facendosi scudo della candidata a presidente per il Pdl Renata Polverini. Negli ultimi tre anni, l'amministrazione regionale in carica ha azzerato il debito con costi pesanti. Siccome, però, su questo tema è facile fare disordine, confondendo disavanzo con debito, mi pare necessario riassumere lo stato dell'arte. La Corte dei Conti nella relazione dell'ottobre 2009: «Dal piano di rientro risulta che il debito cumulato fino al 31 dicembre 2005 è valutabile in linea capitale in circa 9,8 miliardi di euro”.


Parte di questo debito era stato ceduto con operazioni compiute tutte dal 2001 al 2005 (vale a dire cartolarizzato/comprato da varie persone e società sparse per il mondo) per una somma pari a 7,5 miliardi di euro (6,2+I,3 di interessi). Il resto pari a 3,1 miliardi, era debito occulto fatto di fatture non pagate né certificate da alcuno, perché in quegli anni le Aziende sanitarie non presentavano i bilanci. Il Piano di rientro dal debito della sanità del Lazio è stato firmato dalla Regione e dai due Ministeri competenti a febbraio 2007. Prevedeva, tra le altre cose, l'accensione di un mutuo presso il Tesoro che è stato concesso solo nel 2008. Questo ha costretto la Regione a usare i criteri di pagamento preesistenti il piano e previsti dalla precedente amministrazione: tra il 2005 e il 2007 sono stati pagati 1,8 miliardi del debito ereditato, pescando dal Fondo sanitario nazionale. Viene a questo punto messa in piedi una squadra di professionisti che comincia a cercare le migliaia di soggetti che avevano comprato il debito della Regione Lazio. Un lavoro che porta al recupero del debito, ma producendo 800 milioni di euro sugli interessi. Nel 2008 la Regione ha potuto attivare il prestito del Tesoro che ha portato all'accensione di un mutuo da 4,7 miliardi di euro da pagare in rate trentennali da 310 milioni di euro l’anno al tasso dei Btp trentennali. Il resto del debito,pari a 3 miliardi e 100 milioni, è stato pagato con gli 800 milioni di risparmi sul recupero del debito ceduto, e con 2 miliardi e 70 milioni stanziati dal Governo Prodi per le Regioni coni conti in rosso. Oggi la Regione non produce più debito. Il disavanzo annuale è sceso da 2 miliardi dei 2005 ai, 350 nel 2009. I disavanzi creati nel 2005, nel 2006, nel 2007 e nel 2008 e per l'anno in corso sono stati coperti dalle addizionali (Irpefe Irap), dal Bilancio regionale e dai trasferimenti statali. Dunque siamo dì fronte oggi a questo paradosso. La Regione ha annullato il debito di 10 miliardi, non ne ha prodotto in questi anni nemmeno un euro ulteriore, però vanta crediti dallo Stato pari a circa 3 miliardi. Questo il quadro. La sfida che abbiamo davanti, dunque, non è quella di ripianare il debito di 10 miliardi, ma quella di azzerare il disavanzo annuale. E' impresa che richiede serietà e non facili promesse. Io sono certa che si possa fare, ma partendo da un'assunzione di responsabilità e di conoscenza del problema da parte di tutti gli attori in campo, senza demagogia e promesse facili.

da “Il Sole 24 Ore”

lunedì 15 marzo 2010

MADLYN COOKE storia di una possessione

Lunedì 15 marzo, alle ore 17,30, si terrà a Roma, presso la Libreria-Caffè Letterario (Via Manlio Capitolino 7/9) la presentazione dello spettacolo “Madlyn Cooke - storia di una possessione”, un monologo, liberamente tratto da “Giro di vite” di H. James, per la regia di Fabrizio Ansaldo, con Adrienne Bini.
Un’educatrice americana uccide il suo piccolo allievo nell’intento di salvarlo dal domestico e dalla precedente istitutrice defunti e tornati ad impossessarsi di lui. Reclusa in un penitenziario degli Stati Uniti, la donna va ripercorrendo in cella alcuni momenti di quella storia, inscenando, attraverso un percorso emotivo, le cause per le quali a breve sarà giustiziata.
Ma è tutto vero o è soltanto la sua immaginazione a crederlo?
Vedere, dice Henry James, è immaginare. Siamo affascinati da questo lato incontrollabile della nostra psiche. Ne siamo incantati a tal punto da credere a quello cui stiamo assistendo: è la verità quello che ci sta raccontando questa donna in attesa della pena capitale? Immaginiamo di sì. Crediamo di sì. Immaginazione e fede. Immaginiamo a tal punto da credere! Malati di infinita immaginazione!
Madlyn Cooke è un atto di accusa alle convenzioni, ai riti, alle regole della società, alle sue leggi, a quella affezione congenita che va sotto il nome di corruzione e che si diffonde attraverso la contaminazione di ciò che è puro, spirituale, innocente.
Madlyn combatte la sua battaglia come un’eroina di altri tempi: perché la lotta tra il bene e il male, come noi la comprendiamo, non avrà mai fine.
Lo spettacolo, che debutterà il 23 marzo, al Teatro dell’Orologio di Roma, sarà presentato lunedì 15 marzo, alle 17e30, presso la LIBRERIA- CAFFE’ LETTERARIO, a Via Manlio Capitolino 7/9 – Roma, ingresso libero.

domenica 14 marzo 2010

Leggere e svelarsi

Gira in rete un testo su Mussolini tratto dal diario di Elsa Morante e datato 1 maggio 1945 che molti leggono come se parlasse di Silvio Berlusconi. E’ un testo di culto, eppure non è un inedito, sta in un libro edito nel 1988 in una collana prestigiosa di Mondadori, è presente in molte biblioteche, eppure nessuno se ne è accorto per vent'anni. Aveva ragione Roland Barthes: non ci sono attenti studiosi che trovano testi o invitano attraverso commenti, magari anche scritti non solo pochi decenni, ma secoli fa, a pensare il proprio tempo. Alla rovescia i testi leggono noi. Vale per l’uso che ciascuno fa dell’enorme mole di racconti e commenti che accompagnano l’interpretazione di qualsiasi testo. Non ci sono letture giuste o letture sbagliate. Ci sono commenti, riflessioni morali spiegate con racconti, che ciascuno di noi sceglie e ripete in un tempo diverso da quello in cui quei testi furono pensati e scritti perché quelle parole esprimono più significativamente di altre il proprio modo di vivere, capire e spiegare il proprio tempo. Un commento non ha il compito di svelarci il significato recondito di un testo, anche se spesso questo è ciò che dichiara di voler fare e questo è ciò che afferma chi lo presenta e lo cita. Ma dice molto circa il meccanismo mentale di chi lo cita e lo usa. Non vale solo per Elsa Morante, vale per qualunque testo dietro il quale ciascuno di noi si nasconde per far parlare attraverso quel testo o quel commento, la propria immagine del mondo, il proprio modo di stare al mondo e dire, più o meno furbamente e in maniera ammiccante, da che parte sarebbe bene stare.

di David Bidussa, storico sociale delle idee

venerdì 12 marzo 2010

SGOMBERI FORZATI

Italia: il “Piano nomadi” viola il diritto all’alloggio dei rom a Roma



Da molto tempo i rom in Italia subiscono discriminazioni e negli ultimi anni gli sgomberi forzati sono diventati più frequenti. Con l’adozione del “Piano nomadi”, che prevede la chiusura di oltre 100 campi di Roma, migliaia di rom sono a rischio di violazioni dei diritti umani.

Il “Piano nomadi” è il primo programma sviluppato attraverso i poteri speciali previsti dal decreto governativo del maggio 2008, per affrontare la cosiddetta “emergenza nomadi”. Avviato il 31 luglio 2009 dal Comune di Roma e dal prefetto di Roma, il piano spiana la strada allo sgombero forzato di migliaia di rom e al trasferimento della maggior parte di essi, ma non di tutti, in campi ampliati o di nuova costruzione nella periferia di Roma.

In base al piano, 6000 rom (su 7177 residenti nei campi, secondo un censimento considerato incompleto da più punti) dovranno spostarsi in 13 campi definiti “villaggi”. I sette campi “autorizzati” esistenti saranno mantenuti o ampliati, mentre tre dei 14 “tollerati” verranno ristrutturati. Saranno costruiti due nuovi campi e una “struttura di transito”.

Centinaia di famiglie sono già state sgomberate e altre lo saranno nei prossimi mesi. Anche se sono state effettuate alcune consultazioni nei campi coinvolti dal “Piano nomadi”, gli standard internazionali sui diritti umani richiedono che vengano consultate tutte le persone di cui è previsto lo sgombero. Coloro che potranno trasferirsi dovranno spostarsi in altri campi e non in alloggi permanenti in cui molti rom vorrebbero vivere. Molti temono che le loro prospettive d’impiego e la carriera scolastica dei figli verranno compromesse. Ma questi sono i più fortunati. Per gli altri non è previsto un alloggio alternativo: lasceranno Roma o troveranno un rifugio dove potranno, fino al prossimo sgombero.

Secondo Amnesty International il “Piano nomadi”, nella sua formulazione attuale, non rispetta gli obblighi dell’Italia di garantire che non vi sia discriminazione nei confronti di gruppi specifici né segregazione in materia di alloggio e di prevenire e non effettuare gli sgomberi forzati. C’è invece bisogno di un piano che nasca da una consultazione coi rom interessati e che mostri profondo rispetto per i loro diritti umani.

(Fonte: Amnesty International)

giovedì 11 marzo 2010

STOP ALL' AVORIO INSANGUINATO


Questo fine settimana (13 marzo), due governi africani cercheranno di scardinare la messa al bando mondiale sul commercio d'avorio -- una decisione che potrebbe eliminare intere popolazioni di elefanti e portare questi magnifici animali sempre più vicini all'estinzione.

Tanzania e Zambia esercitando pressioni sulle Nazioni Unite per ottenere deroghe speciali dal bando, ma questo lancerebbe un chiaro segnale ai sindacati del crimine dell'avorio che la protezione internazionale si sta indebolendo ed è caccia aperta agli elefanti. Un altro gruppo di stati africani si è opposto chiedendo che si estenda la messa al bando del commercio per altri 20 anni.

La nostra migliore occasione per salvare gli elefanti superstiti del continente è quella di sostenere gli ambientalisti africani. Abbiamo solo 5 giorni a disposizione e l'ente delle Nazioni Unite per la protezione delle specie minacciate di estinzione si riunisce soltanto una volta ogni tre anni. Clicca in basso per firmare la nostra petizione urgente per proteggere gli elefanti e inoltra ampiamente questa email così che possiamo consegnare centinaia di migliaia di firme all'incontro dell'ONU a Doha:

http://www.avaaz.org/it/no_more_bloody_ivory/?vl

Oltre 20 anni fa, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES) approvò una messa al bando mondiale sul commercio di avorio. Il bracconaggio fu sconfitto e il prezzo dell'avorio crollò. Ma una debole applicazione unita a'experimental one-off sales', come quelle proposte da Tanzania e Zambia, hanno restituito energia al bracconaggio e trasformato un commercio illegale in un affare redditizio – i bracconieri possono ripulire il loro avorio illegale con riserve di materiali legali.

Adesso, nonostante il bando mondiale, ogni anno oltre 30.000 elefanti vengono abbattuti e le loro zanne divelte dai bracconieri con asce e motoseghe. Se Tanzania e Zambia riuscissero a sfruttare la scappatoia, questo orrendo commercio potrebbe peggiorare ancora.

Abbiamo un'occasione unica questa settimana per prolungare la messa al bando mondiale, reprimere il bracconaggio e abbattere i prezzi del commercio d'avorio prima di perdere altre popolazioni di elefanti – firma la petizione adesso e inoltra questo messaggio a tutti:

http://www.avaaz.org/it/no_more_bloody_ivory/?vl

Attraverso le culture del mondo e nella nostra storia gli elefanti sono stati riveriti nelle religioni ed hanno catturato la nostra immaginazione -- Babar, Dumbo, Ganesh, Airavata, Erawan. Ma oggi queste meravigliose ed intelligentissime creature stanno per essere annientate.

Fintanto che ci sarà richiesta di avorio, gli elefanti saranno a rischio per il bracconaggio e il contrabbando -- ma questa settimana abbiamo una possibilità di proteggerli e mandare in fumo i profitti dei criminali dell'avorio – firma la petizione adesso:

http://www.avaaz.org/it/no_more_bloody_ivory/?vl

mercoledì 10 marzo 2010

Tibet, 10 marzo per non dimenticare


Il 10 marzo non è una data qualsiasi. Chi ha a cuore le sorti della libertà e dei diritti elementari nel mondo, e quindi è in grado di spingere il proprio sguardo al di là della punta del naso, non può ignorarla. Al contrario, dovrebbe tenerla bene a mente.


Cinquantuno anni fa, esattamente il 10 marzo 1959, Lhasa, capitale del Tibet, fu teatro di un’insurrezione popolare nei confronti dei militari cinesi che, tra il 1949 e il 1950, sotto la spinta del comunismo maoista, in flagrante violazione dei trattati internazionali e con i paesi occidentali colpevolmente troppo distratti, avevano invaso lo stato himalayano, instaurando sin dall’inizio un clima di terrore.


Lo stesso dittatore Mao Tsetung, nel corso delle celebrazioni svoltesi a Pechino per la nascita della Repubblica Popolare Cinese, aveva annunciato che il Tibet sarebbe stato strappato alle “forze imperialiste” e annesso alla Cina. E così accadde qualche mese dopo, dando inizio ad una tragedia che, con un pesantissimo fardello di sangue, morte, orrore, si è protratta sino ai giorni nostri.


Quel che da allora è avvenuto si può riassumere con un termine tanto veritiero quanto rabbrividente: genocidio.


Non si può altrimenti definire la riduzione di un popolo, nella propria terra, ad appena sei milioni rispetto a quasi nove milioni di cinesi. Non si può altrimenti definire l’impossibilità da parte dei tibetani di parlare e studiare, nel proprio paese, la propria lingua, di praticare il proprio credo, di sventolare la propria bandiera, di possedere in casa o di portare addosso anche solo un’immagine del Dalai Lama, leader spirituale e politico costretto a seguire la dolorosa via dell’esilio proprio nel 1959, in seguito alla feroce repressione con cui il regime comunista cercò di stroncare ogni forma di resistenza e opposizione.


Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama del Tibet, grazie all’ospitalità ricevuta nella limitrofa India, poté dare vita a Dharamsala, nella regione dell’Himachal Pradesh, ad un governo democratico impegnandosi a fondo, senza sosta, nel disperato tentativo di salvare il salvabile, e cioè un patrimonio culturale e religioso millenario d’inestimabile valore per l’umanità.


Quest’uomo che, con il suo saio giallo-amaranto e un braccio scoperto, gira instancabilmente in lungo e in largo i continenti, creando ovunque imbarazzo tra i governanti puntualmente minacciati dalla baldanzosa e sprezzante arroganza cinese, non ha imbracciato un fucile, indossato kefiah o esortato alla jihad. Non ha mai pronunciato una sola parola d’odio nei confronti dei persecutori suoi e della sua gente.


La sua arma, forse la più temibile e difficile da neutralizzare, è sempre stata e sta nel suo sorriso, nella caparbietà con cui persevera nella forza della nonviolenza opponendo alla politica sorda e assassina perpetrata da Pechino la salda convinzione nel dialogo, in una posizione che lo ha condotto a rivendicare per il Tibet una via di mezzo costituita non dall’indipendenza ma dall’autonomia all’interno della Cina.


Ciò, anche alla luce dell’ottusità manifestata dal governo cinese, lo ha esposto, specialmente negli ultimi tempi, alle critiche di frange esasperate che, stanche di false promesse e di finti, quanto inutili, colloqui, chiedono a gran voce l’indipendenza.


Certo è che della Cina, di questa Cina che è incarnazione di un totalitarismo paradossalmente tanto tecnologicamente evoluto quanto drammaticamente rozzo per il modo con cui pretende di annientare le libertà individuali, non ci si può fidare.


La durezza con cui si è scagliata contro il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, reo di avere ricevuto il Dalai Lama, anch’egli tra l’altro premio Nobel per la pace, è emblematica così come non possono essere sottaciuti i continui tentativi da parte del regime comunista d’intromettersi persino nelle questioni religiose tibetane.


Valga, tra tutti, il caso del Panchen Lama. Riconosciuto come undicesima reincarnazione direttamente dal Dalai Lama nel 1995, in base ad una complessa procedura d’antichissimo retaggio, venne rapito all’età di sei anni dai cinesi, fatto sparire con tutta la famiglia e sostituito con un coetaneo, indottrinato e, guarda caso, figlio di funzionari comunisti.
Proprio in questi giorni l’agenzia di stato cinese Xinhua ha reso noto che Gaincain Norbu, il giovane imposto da Pechino in luogo dell’effettiva reincarnazione del Panchen Lama, è stato nominato membro del Comitato Nazionale dell’Assemblea Politica del Popolo (CPPCC), il maggiore organo consultivo del paese.


Una notizia questa che si commenta da sé, come quella apparsa sul quotidiano Lhasa Evening News che comunica, con l’approssimarsi, appunto, della giornata del 10 marzo, la ripresa in Tibet (ma quando mai è cessata?) da parte dei militari cinesi della campagna “Colpisci Duro”.


Da più parti ci si domanda se dinanzi a tanto cinismo, dinanzi a tanta spudoratezza, possa davvero avere senso incaponirsi, come fa il Dalai Lama, in una richiesta autonomistica il cui ottenimento pare sempre più diradarsi o se, invece, considerato che tanto nulla è cambiato e nulla sembra destinato a cambiare, non valga la pena rivendicare piena e totale libertà per i tibetani dall’oppressione cinese.



Appare chiaro che la Cina non sia affatto intenzionata a concedere alcunché a nessuno e stia solo temporeggiando con la politica, decisamente goffa, del bastone e della carota, in attesa che l’attuale Dalai Lama, ormai ultrasettantenne, termini l’esistenza terrena.


Allora, com’è avvenuto per il Panchen Lama, Pechino imporrà un proprio Dalai Lama, in spregio alla storia e alla religione dei tibetani, sicuramente a pugno chiuso e con la stelletta rossa. Allora del Tibet non rimarrà traccia che nei libri, almeno in quelli pubblicati o trafugati in occidente, e in qualche filmato. Poi, a poco a poco, la stessa memoria svanirà e il genocidio, grazie anche all’insensibilità e all’insensatezza dei paesi occidentali, avrà raggiunto il suo scopo.


Il Dalai Lama, quello vero, gli insegnamenti del mistico Padmasambhava, l’om mani padme hum saranno forse solo spunto per qualche gioco interattivo in cui si dirà magari che una volta il Tibet era sotto il dominio di una cricca di monaci cattivi cacciati dalle forze di “liberazione” cinesi…

di Francesco Pullia

(Da: Notizie Radicali)

lunedì 8 marzo 2010

8 marzo


E' probabile che quello che nel verso ho sentito
non fosse altro che quello che non poté mai essere,
non altro che qualcosa di vietato e represso
di famiglia in famiglia, di donna in donna.

Dicono che nella casa dei miei antenati era
prescritto tutto quello che si doveva fare...
Dicono che le donne del mio ramo materno
erano silenziose... Ah, questo è assai probabile...

Qualche volta a mia madre s'affaccio il desiderio
di liberarsi, ma le saliva agli occhi
un'intima amarezza e nell'ombra piangeva.

E tutto quello strazio, respinto, mutilato,
tutto quello che stava chiuso nella sua anima,
forse, senza volerlo, l'ho liberato io.

Alfonsina Storni

domenica 7 marzo 2010

Prendi parte: firma contro la legge anti-gay


Gli oppositori del disegno di legge ugandese contro l'omosessualità hanno consegnato al parlamento locale una petizione firmata da 450.000 persone in tutto il mondo.
Secondo quanto scrive la Bbc, si tratta del più recente tentativo di bloccare la legge, che prevede anche la pena di morte per alcuni atti omosessuali.
Il presidente americano Barack Obama aveva già definito "odioso" il disegno di legge, condannato anche dall'Unione europea e da diversi ministri dei paesi del Vecchio continente.
Tra i firmatari della petizione, promossa dal gruppo Avaaz, ci sono anche molti ugandesi, che si aggiungono così alla campagna contro il ddl promossa dal prete anglicano Canon Gideon Byamugisha e seguita da attivisti per la lotta all'Aids e organizzazioni civiche.
Gli atti omosessuali sono già illegali in Uganda ed il testo in discussione propone di aumentare la pena da 14 anni di carcere all’ergastolo. Propone inoltre la pena di morte per “omosessualità aggravata”, nel caso in cui cioè uno dei partecipanti sia minorenne, affetto da HIV, disabile o “recidivo”.
Da parte sua il governo ritiene che la legge uscirà ammorbidita dall'iter parlamentare, prima di essere approvata e di entrare in vigore.
Il ddl nasce per iniziativa personale di un parlamentare, quindi il governo fa sapere di non poter intervenire direttamente prima del voto parlamentare.
Lo sponsor del disegno di legge, David Bahati, sostiene di voler difendere la cultura dell’Uganda.

Per firmare la petizione contro la legge anti-gay vai su avaaz.org

(Nella foto: Frank, un difensore dei diritti umani ugandese che sta lottando contro la bozza di legge, ha ricevuto diverse minaccie e purtroppo deve mantenere nascosta la sua identità.)