venerdì 30 luglio 2010
Nepal: stop al rimpatrio di rifugiati tibetani
For the first time since 2003, the Nepalese government has forcibly repatriated three Tibetan refugees to Tibet, violating international law and jeopardizing the safety of Tibetan escapees. The three Tibetans, all in their early twenties, were forcibly handed over to Chinese border police in early June. Two of them – a woman named Pempa from Shigatse and a monk from Korchak monastery located close to the Nepal border – have since been jailed in Tibet.
TAKE ACTION: Send a letter to Ms. Sujata Koirala, Nepal's Deputy Prime Minister and Minister for Foreign Affairs, calling on Nepal to uphold international law.
Nepal's actions could set a devastating precedent for the more than one thousand Tibetans who attempt to flee Tibet each year by crossing the border into Nepal. The Nepalese government does not grant refugee status to Tibetans, but under the informal 'Gentleman's Agreement', established between Nepal and the United Nations High Commission for Refugees (UNHCR) in 1989, thousands of Tibetan refugees have been provided safe transit through Nepal to India.
In recent years, the Chinese government has exerted heavy pressure on Nepal to stop Tibetans from fleeing across the border and recently announced it will grant the Nepalese government 1.5 million dollars (U.S) a year to 'curb anti-China activities'. Although the situation for Tibetans living in Nepal was already tenuous, the recent repatriations are a drastic escalation in Nepal's maltreatment of Tibetan refugees.
Call the Nepalese consulate or embassy nearest you to express your concern about the repatriation of Tibetans. Find contact information.
International pressure can help deter the Nepalese government from further violating the rights of Tibetan refugees. The UNHCR has expressed grave concern over the incident, and foreign embassies in Kathmandu, Nepal's capital, generally support the "Gentleman's Agreement".
Alert your government representatives in Kathmandu to Nepal's actions. Write to your country's Ambassador to Nepal and urge him/her to raise this incident with the Nepalese authorities. Find contact information.
If you live in a city with a Nepalese consulate or embassy, please consider organizing an emergency protest to help draw international attention to this incident. For materials and support, please contact Tendolkar at tendolkar@studentsforafreetibet.org.
Thank you for taking urgent action to help Tibetan refugees.
With hope,
Tendor, Kate, Tendolkar, Schuyler, Stefanie and Mary-Kate
Learn more:
International Campaign for Tibet's report: http://www.savetibet.org/media-center/ict-news-reports/nepal-police-forcibly-return-three-tibetan-refugees-across-border
UN 'concerned' over Nepal's repatriation of Tibetans (AFP): http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5g0SI3kQ1nBgpmUKQsaEpZs3a7avw China tells Nepal to further intensify curbs on Tibetan activities (Phayul.com): http://is.gd/dSRte
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mercoledì 28 luglio 2010
Cattiveria e imbecillità
Anche oggi, notizie che probabilmente rientrano in quella amplificazione mediatica ingiustificata che ingenera sfiducia, come dice la recente circolare che il capo del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta ha diffuso.
Perché i detenuti sono davvero indelicati. Non si rendono conto che loro per primi, con il loro comportamento, contribuiscono a questa amplificazione mediatica, e ci rendono tutti sfiduciati. Non se ne rendono conto, perché ormai a cadenza quotidiana continuano a togliersi la vita. Come ha fatto Corrado a Siracusa. Era in attesa di giudizio, ha tolto il disturbo definitivamente impiccandosi. Da inizio anno salgono così a 39 i detenuti suicidi nelle carceri italiane; il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 109.
La situazione è davvero insostenibile ed il tutto avviene nel silenzio degli organi preposti, dice il garante dei detenuti della Sicilia Salvo Fleres, che è anche senatore; non dell’opposizione, del PdL. E significherà qualcosa che comincino a dirlo anche dalla maggioranza, che il ministero della Giustizia e il DAP sono silenti, indifferenti e impotenti.
Fleres annuncia che l’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti si costituirà parte civile per l’individuazione di eventuali responsabili di omissioni, abusi e violazioni dei diritti dei detenuti. In effetti, come si è detto in più di un’occasione, nel momento in cui lo Stato priva un cittadino della sua libertà e lo rinchiude in una cella, si fa massimamente garante della sua incolumità fisica e psichica. Dunque, ne è responsabile, e quando un detenuto muore, anche per suicidio, ne dovrebbe essere chiamato a risponderne. E’ cosa che forse bisognerà cominciare a studiare.
A denunciare indifferenza e incapacità di governare la situazione sono pressoché tutti i sindacati della polizia penitenziaria. Eugenio Sarno della Uil Penitenziaria parla di “una strage senza fine che si consuma ogni giorno dietro le sbarre delle nostre degradate e sudice galere. Suicidi ed evasioni certificano il fallimento del sistema penitenziario sempre più abbandonato al proprio, ineluttabile, destino. Nell’indifferenza della politica, della società e della stampa”. Ecco, magari Sarno quando parla di indifferenza della politica dovrebbe dire di quasi tutta la politica, perché non risulta che davvero tutti siano indifferenti, ma per il resto ha ragione: “Altro che governo della sicurezza. Questo è il governo dei record abbattuti: evasioni e suicidi”.
Donato Capece, segretario generale del Sappe si chiede: “Come può un agente, da solo, controllare 80-100 detenuti? Come si può lavorare in un carcere in cui vi sono 567 detenuti per 309 posti letto regolari come a Siracusa? Con un sovraffollamento di quasi 69mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila, accadono purtroppo anche questi tragici episodi. E se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano ogni mese 10 tentativi di suicidio di detenuti”.
Adriano Sofri, che alla questione del carcere dedica da sempre particolare attenzione, all’“Espresso” dice cose giuste e ragionevoli: per capire cosa significa vivere in una cella con questo caldo torrido si pensi a un autobus nell’ora di punta. Al massimo puoi sederti, ma non sempre è possibile, perché non c'è lo spazio. Puoi stare in piedi per ore, oppure sdraiato su una squallida branda, a giacere su materassi vecchi, impropriamente chiamati di gommapiuma e imbevuti del sudore di generazioni di detenuti che ci marciscono sopra.
Per quel che riguarda i suicidi, Sofri, se così si può dire, rovescia la questione. La domanda che pone è come mai, in queste condizioni, non ce ne siano molti di più, visto che le carceri sono strutture che non portano alla rieducazione, ma istigano a farla finita, all'incubo ottocentesco di essere sepolti vivi. Poi dice che nelle carceri italiane c'è la tortura, non in senso generico o metaforico, proprio in senso tecnico. Queste condizioni, anche senza botte o provocazioni volontarie, si configurano come una tortura di Stato. Per cui, se esiste un torturato esiste anche un torturatore. Non gli agenti penitenziari che sono a loro volta, in senso lato, dei semi-detenuti, ma delle autorità che hanno a che fare con questo sistema. Gente che per cattiveria, imbecillità o peggio fa leggi che spediscono in carcere persone che non ci dovrebbero andare. E che non prende alcuna misura per evitare la situazione tragica a cui le condanna.
Cattiveria e imbecillità. Una davvero letale miscela. E non manca un giudizio molto severo sui magistrati: quando non hanno una vocazione almeno iniziale a occuparsi delle carceri credendoci davvero, e sono la minoranza, molti più fra le donne, sono persone che cercano di smaltire con il minimo danno la gestione di una discarica, a loro affidata, con istruzioni che dicono di fare il meno possibile e di girarsi dall'altra parte. Spesso quello che sentenziano è un voto a fine scrutinio: 10, oppure 18. Ma nessuno pensa che quel 10 significa 10 anni moltiplicati per 365 giorni e ancora per 24 ore, per due metri quadrati e per tre file di sbarre. Su questo i magistrati sembrano non porsi nemmeno il problema.
Abbiamo ripreso praticamente tutta l’intervista di Sofri perché dice cose giuste e condivisibili. Ed è il nostro modo di dirgli grazie per non stancarsi di dircele.
(di Valter Vecellio - tratto da: Notizie Radicali)
Perché i detenuti sono davvero indelicati. Non si rendono conto che loro per primi, con il loro comportamento, contribuiscono a questa amplificazione mediatica, e ci rendono tutti sfiduciati. Non se ne rendono conto, perché ormai a cadenza quotidiana continuano a togliersi la vita. Come ha fatto Corrado a Siracusa. Era in attesa di giudizio, ha tolto il disturbo definitivamente impiccandosi. Da inizio anno salgono così a 39 i detenuti suicidi nelle carceri italiane; il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 109.
La situazione è davvero insostenibile ed il tutto avviene nel silenzio degli organi preposti, dice il garante dei detenuti della Sicilia Salvo Fleres, che è anche senatore; non dell’opposizione, del PdL. E significherà qualcosa che comincino a dirlo anche dalla maggioranza, che il ministero della Giustizia e il DAP sono silenti, indifferenti e impotenti.
Fleres annuncia che l’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti si costituirà parte civile per l’individuazione di eventuali responsabili di omissioni, abusi e violazioni dei diritti dei detenuti. In effetti, come si è detto in più di un’occasione, nel momento in cui lo Stato priva un cittadino della sua libertà e lo rinchiude in una cella, si fa massimamente garante della sua incolumità fisica e psichica. Dunque, ne è responsabile, e quando un detenuto muore, anche per suicidio, ne dovrebbe essere chiamato a risponderne. E’ cosa che forse bisognerà cominciare a studiare.
A denunciare indifferenza e incapacità di governare la situazione sono pressoché tutti i sindacati della polizia penitenziaria. Eugenio Sarno della Uil Penitenziaria parla di “una strage senza fine che si consuma ogni giorno dietro le sbarre delle nostre degradate e sudice galere. Suicidi ed evasioni certificano il fallimento del sistema penitenziario sempre più abbandonato al proprio, ineluttabile, destino. Nell’indifferenza della politica, della società e della stampa”. Ecco, magari Sarno quando parla di indifferenza della politica dovrebbe dire di quasi tutta la politica, perché non risulta che davvero tutti siano indifferenti, ma per il resto ha ragione: “Altro che governo della sicurezza. Questo è il governo dei record abbattuti: evasioni e suicidi”.
Donato Capece, segretario generale del Sappe si chiede: “Come può un agente, da solo, controllare 80-100 detenuti? Come si può lavorare in un carcere in cui vi sono 567 detenuti per 309 posti letto regolari come a Siracusa? Con un sovraffollamento di quasi 69mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila, accadono purtroppo anche questi tragici episodi. E se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano ogni mese 10 tentativi di suicidio di detenuti”.
Adriano Sofri, che alla questione del carcere dedica da sempre particolare attenzione, all’“Espresso” dice cose giuste e ragionevoli: per capire cosa significa vivere in una cella con questo caldo torrido si pensi a un autobus nell’ora di punta. Al massimo puoi sederti, ma non sempre è possibile, perché non c'è lo spazio. Puoi stare in piedi per ore, oppure sdraiato su una squallida branda, a giacere su materassi vecchi, impropriamente chiamati di gommapiuma e imbevuti del sudore di generazioni di detenuti che ci marciscono sopra.
Per quel che riguarda i suicidi, Sofri, se così si può dire, rovescia la questione. La domanda che pone è come mai, in queste condizioni, non ce ne siano molti di più, visto che le carceri sono strutture che non portano alla rieducazione, ma istigano a farla finita, all'incubo ottocentesco di essere sepolti vivi. Poi dice che nelle carceri italiane c'è la tortura, non in senso generico o metaforico, proprio in senso tecnico. Queste condizioni, anche senza botte o provocazioni volontarie, si configurano come una tortura di Stato. Per cui, se esiste un torturato esiste anche un torturatore. Non gli agenti penitenziari che sono a loro volta, in senso lato, dei semi-detenuti, ma delle autorità che hanno a che fare con questo sistema. Gente che per cattiveria, imbecillità o peggio fa leggi che spediscono in carcere persone che non ci dovrebbero andare. E che non prende alcuna misura per evitare la situazione tragica a cui le condanna.
Cattiveria e imbecillità. Una davvero letale miscela. E non manca un giudizio molto severo sui magistrati: quando non hanno una vocazione almeno iniziale a occuparsi delle carceri credendoci davvero, e sono la minoranza, molti più fra le donne, sono persone che cercano di smaltire con il minimo danno la gestione di una discarica, a loro affidata, con istruzioni che dicono di fare il meno possibile e di girarsi dall'altra parte. Spesso quello che sentenziano è un voto a fine scrutinio: 10, oppure 18. Ma nessuno pensa che quel 10 significa 10 anni moltiplicati per 365 giorni e ancora per 24 ore, per due metri quadrati e per tre file di sbarre. Su questo i magistrati sembrano non porsi nemmeno il problema.
Abbiamo ripreso praticamente tutta l’intervista di Sofri perché dice cose giuste e condivisibili. Ed è il nostro modo di dirgli grazie per non stancarsi di dircele.
(di Valter Vecellio - tratto da: Notizie Radicali)
martedì 6 luglio 2010
AUGURI PER IL 75o COMPLEANNO
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