mercoledì 30 dicembre 2009

Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza

Caro direttore, è domenica 27dicembre. Eurostar Bari- Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po' tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.
Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. E' salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent'anni. Si parte. Poco prima della stazione di (...) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: «No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap». Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi, Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l'umiliazione ripete «handicap, handicap». I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato. La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no. Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po' più di compassione. Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c'entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia deposizione, il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. «Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?» chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: «C'è l'assistenza». «Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service» ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l'andata l'Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. «E lo sa perché?» ho concluso. «Perché quelle persone le braccia ce l'avevano...». Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l'evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testae tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap. La risposta del capotreno è pronta: «Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!». E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (...). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell'espressione del viso o nell'incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: «Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare». Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, per senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante. Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l'impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno. Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. «Perché mi hai offesa». «Ti ho forse detto parolacce?Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?» le domando sempre più incredulo. Risposta: «Mi hai detto che sono maleducata». Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno. Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (. . .). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.
L'autore è scrittore ed editore

Shulim Vogelmann, La Repubblica, 30 dicembre 2009

BERZANI KARRO

Berzani Karro, curdo siriano e probabile prigioniero di coscienza, sarebbe stato torturato durante la sua detenzione incommunicado durata tre mesi a seguito del suo rimpatriato forzato in Siria da Cipro nel mese di giugno. In questo momento si troverebbe nella prigione di 'Adra a Damasco, capitale della Siria.

Berzani Karro, 20 anni, è stato arrestato il 27 giugno all'aeroporto di Damasco all'arrivo da Cipro. Sembra sia stato ripetutamente bastonato mentre era sotto la custodia del Braccio di Sicurezza Politica al-Fayha a Damasco. La Sicurezza Politica è uno dei numerosi servizi di sicurezza operanti in Siria che arrestano sistematicamente tutti coloro sui quali si hanno anche minimi sospetti di opposizione al regime.
Alla fine di settembre, dopo tre mesi di detenzione incommunicado, durante la quale non ha potuto incontrare ne la sua famiglia ne un rappresentante legale, Berzani Karro è stato spostato nella prigione di 'Adra. Da allora la sua famiglia riesce ad incontrarlo ogni due o tre settimane.

Il 10 novembre la corte militare lo ha accusato di " tentata secessione di una parte del territorio siriano con l'intenzione di annetterlo ad uno stato straniero" e di essere coinvolto in una organizzazione clandestina. Secondo Amnesty International Berzani Karro potrebbe essere un prigioniero di coscienza, detenuto esclusivamente per il suo credo politico. Le accuse rivolte contro di lui sono quelle usate solitamente contro i curdi sospettati di essere politicamente attivi e critici verso lo stato.

Prima della sua attuale detenzione, Berzani Karro è stato in prigione per circa due mesi e mezzo quando aveva solo 15 anni. Era stato accusato di aver preso parte ad una manifestazione non autorizzata durante la quale sono stati distrutti beni dello stato, inclusa una statua del presidente Bashar al-Assad. La sua famiglia ha sostenuto che Berzani si trovasse a casa quel giorno. Fu trattenuto per parte del tempo nel centro di detenzione gestito dai servizi segreti militari del Braccio Palestina, dove i detenuti solitamente vengono torturati. Nel Braccio Palestina, è stato soggetto al dulab (essere pigiati dentro a un copertone d'auto e percossi). Con lui c'erano altri 10 ragazzi di età inferiore ai 18 anni.

In Siria chiunque si crede sia associato ad un partito o un gruppo politico curdo che sollevi preoccupazione sul trattamento dei curdi in Siria è soggetto ad arresto arbitrario e in molti casi torturato e maltrattato.

Berzani Karro ha lasciato la Siria nell'ottobre 2006 per andare a Cipro dove ha fatto richiesta d'asilo. La sua richiesta è stata respinta ed è stato arrestato nel settembre 2008, non avendo il diritto di rimanere nel paese. Per il suo rimpatrio forzato in Siria, gli ufficiale ciprioti lo hanno scortato sull'aereo e lo hanno consegnato alle autorità siriane nell'aeroporto di Damasco. Amnesty International ha scritto al Ministero degli affari esteri cipriota in ottobre per esprimere la propria preoccupazione sul caso di Berzani Karro e richiedere informazioni sul procedimento giudiziario ed amministrativo relativo alla sua richiesta di asilo e al suo rimpatrio forzato in Siria. Ad oggi non è arrivata ancora nessuna risposta.

FIRMA SUBITO L'APPELLO

(Fonte: Amnesty International)

lunedì 16 novembre 2009

SCRIVERE

Sto leggendo un bel libro di Elisabetta Rasy, Memorie di una scrittrice notturna (Rizzoli 2009) e mi imbatto in una notazione che mi folgora. Siamo l'ultima generazione, scrive, ad essere approdatata alla scrittura direttamente dalla lettura, senza scuole di scrittura, e senza neanche l'ambizione di fare lo scrittore. "No, solo leggere, leggere, leggere e poi scrivere, come un travaso naturale di un atto nell'altro, una necessità fatale, e anche una necessità subordinata a quel primario piacere, leggere, di cui non si poteva fare a meno: non scrivere per esprimere sé stessi, ma scrivere per esprimere la scrittura".

Anna Foa, storica

lunedì 9 novembre 2009

SPERANZE

9 novembre 1989, cade il muro di Berlino. 9 novembre 1938, inizia il massacro degli ebrei nella cosiddetta "notte dei cristalli". Cinquantun anni fra queste due date, una coincidenza della storia che colpisce, lo spazio e la data che si
sovrappongono. L'una, l'inizio della fine, l'altra forse la fine della fine, certamente un nuovo inizio, pieno di gioia e di speranza. Ma non dimentichiamo quell'altro 9 novembre, la fine delle speranze.

Anna Foa, storica

domenica 1 novembre 2009

ALDA MERINI


Trovo indecoroso, indecente che i giovani camminino sulle
memorie dei vecchi, senza tener conto che la fatica di ogni
giorno, che i nostri figli, che i ricordi della guerra, non
volevano dare vita a questa specie di Luna Park.

Forse noi non abbiamo mai pianto anche nei momenti
peggiori, ma abbiamo abbandonato le nostre case senza
mai voltarci indietro per non far scoppiare il cuore.

I giovani credono che noi abbiamo toccato la felicità,
invece no, però abbiamo toccato qualcosa che noi
modestamente chiameremo Dio! qualcosa che ci ha
protetti e allevati perché potessimo conoscere la pace...

Purtroppo, questa pace è sconvolta e se per anni e
anni abbiamo cercato di costruircela, abbiamo scoperto
che basta un capriccio per deturpare il volto delicato della
longevità.Siamo vecchi e non pensiamo al Paradiso, però pensiamo
alla pace che è un riflesso del sogno, ma vediamo i figli di
oggi che non hanno più sogni.
Alda Merini (9/6/05)

martedì 13 ottobre 2009

GIUSTIZIATO UN ALTRO MINORENNE


Un ragazzo di 21 anni, Behnoud Shojaee, è stato impiccato all’alba nella prigione di Evin a Teheran per un omicidio commesso quando aveva 17 anni e del quale si dichiarava innocente.
Behnoud Shojaie era stato ritenuto colpevole di aver ucciso un ventenne di nome Omid durante una lite avvenuta in un parco nel giugno del 2005 che aveva coinvolto una dozzina di giovani. La condanna a morte è arrivata nel 2006 ed era stata confermata dalla Corte suprema l’anno successivo.
Dopo la condanna a morte, a fine 2007 Behnoud è stato difeso dall’avvocato Mohammad Mostafaei, che gratuitamente aiuta i minorenni nel braccio della morte in Iran.
Nel 2008 le autorità avevano mandato a morte Behnoud quattro volte e un’altra volta nell’agosto 2009, mettendolo in isolamento a Evin per alcuni giorni, come fanno di solito prima dell'impiccagione. Poi tutte le volte l’esecuzione era stata rimandata – forse anche grazie alla pressione internazionale.
Due volte era stata rinviata quando lui era a pochi secondi dall’essere impiccato, già fuori, nel cortile, con il cappio pronto.
L'ex capo del sistema giudiziario iraniano, l'ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi, aveva sospeso la pena chiedendo ai genitori della vittima se volessero perdonare l'assassino.
Ma il “prezzo del sangue” per Behnoud era proibitivo e alcuni intellettuali e artisti iraniani avevano lanciato una campagna per lui. Avevano raccolto 100 milioni di toman (70mila euro), convincendo la famiglia di Omid a concedere il perdono.
Ma il tribunale ha chiuso il conto bancario e convocato gli artisti minacciandoli di incriminazione: “Nuocete all’atmosfera politica del Paese e alla famiglia.” I genitori di Omid si sono tirati indietro.
Ai genitori stessi è stato permesso di impiccare con le proprie mani Behnoud nella famigerata prigione di Evin. La notte prima dell’esecuzione centinaia di iraniani si erano riuniti davanti alla prigione di Evin, sperando di convincere le autorità a rinviare ancora una volta l’esecuzione.
Con quest'ultima esecuzione sale a 5 il numero dei minorenni giustiziati in Iran nel 2009. Erano stati almeno 13 nel 2008 e 8 nel 2007.

(Fonte: Nessuno Tocchi Caino)

lunedì 12 ottobre 2009

DIRITTI UMANI NEGATI

Le immagini delle forche erette a Teheran, che appaiono oggi su Repubblica, sono agghiaccianti nella loro totale disumanità: tre corpi che oscillano appesi ad una sorta di enormi gru. Ieri, ad una forca come quella è stato appeso un ragazzo di ventun'anni, colpevole di aver ucciso in una rissa un suo coetaneo quando aveva solo diciassette anni, giustiziato nonostante le proteste del Paese e delle Associazioni internazionali. Altri 114 adolescenti attendono in carcere il momento dell'esecuzione. Ma fra poco, non sappiamo quando e ancora speriamo che la mobilitazione del mondo le fermi, saranno impiccati tre oppositori rei di aver manifestato contro le elezioni truccate di Ahmadinejad. Come si svolgano i processi, ce lo diceva ieri su Il Sole la scrittrice Azar Nafisi: confessioni tutte uguali, volti disfatti, stremati dalle torture. Un sistema totalitario che ci ricorda quello staliniano, i processi contro Bucharin, Buio a Mezzogiorno di Arthur Koestler. Ha ragione Emma Bonino: nell'agenda per discutere con l'Iran, oltre al nucleare, ci deve essere anche il rispetto dei diritti umani. E prima di ogni altra cosa, sono i paesi che si proclamano democratici, e che lo sono davvero, a dover abolire la pena di morte: per poter alzare alta la voce di fronte a regimi come questi, senza dover celare i loro scheletri negli armadi.

Anna Foa, storica

ATOMICA BARBARIE


Un uomo è stato impiccato per adulterio e omosessualità, mentre sua moglie è in attesa di essere lapidata per essersi prostituita, a causa delle condizioni di povertà della famiglia. Lo ha reso noto il loro avvocato, l’attivista per i diritti umani Mohammad Mostafai. L’uomo, Rahim Mohammadi, è stato impiccato a Tabriz, nel nord-ovest del Paese. Sua moglie, Kobra Babai, dovrebbe invece essere messa a morte tramite lapidazione nei prossimi giorni.
L’avvocato Mostafai ha detto che né lui né la famiglia di Rahim Mohammadi erano stati avvisati dell’imminente impiccagione e che i congiunti hanno ricevuto da un altro detenuto la notizia che l’uomo era stato messo a morte. Il legale ha spiegato che Rahim Mohammadi e Kobra Babai, sposati da circa 16 anni e con una figlia di 11, vivevano in condizioni di estrema povertà ed erano costretti a ricorrere all’assistenza economica di organizzazioni statali. Alcuni impiegati di queste organizzazioni avrebbero offerto ulteriore denaro all’uomo per poter avere rapporti sessuali con Kobra, e lui avrebbe accettato. La donna sarebbe stata quindi fatta prostituire con una quarantina di uomini, secondo quanto reso noto dall’avvocato Mostafai. E per questo è stata condannata alla lapidazione.
In un primo tempo Mohammadi era stato condannato solo per adulterio, condanna che prevede l’esecuzione tramite lapidazione, poi è stato riconosciuto colpevole anche di rapporti omosessuali (Lavat) con un vicino di casa reoconfesso, il che avrebbe comportato l’impiccagione come metodo di esecuzione. Secondo il legale, l’accusa di “rapporti anali” con un uomo era stata respinta da Mohammadi e ritrattata dal suo accusatore, ed è stata mossa solo al fine di cambiare modalità di esecuzione per timore delle proteste che la lapidazione avrebbe potuto suscitare fra gli attivisti per i diritti umani e nella comunità internazionale.
Rahim Mohammadi era stato anche sottoposto alla fustigazione alcuni giorni prima dell’esecuzione ed è stato impiccato con il corpo martoriato per le frustate ricevute.

(Fonte: Nessuno tocchi Caino)

giovedì 8 ottobre 2009

ANNA POLITKOVSKAJA


A tre anni dal suo assassinio desidero ricordare l'opera di denuncia e il coraggio di una giornalista che si batteva per il rispetto dei diritti umani, per la libertà d'informazione, per la democrazia in Cecenia così come in Russia. Il modo migliore mi sembra quello di leggere o rileggere i suoi scritti di allora che mantengono un'attualità davvero impressionante.
Coraggiose opere di denuncia che chiamano in causa le criminali responsabilità del potere russo sostenuto ed incoraggiato da quanti in questi anni hanno girato la testa dall'altra parte, mentre si commettevano dei crimini orribili. Europa in testa con pochissime ed isolate eccezioni. Di seguito alcuni articoli che ho trovato su internazionale.it.

La legge e i Kalashnikov

Buio in sala

Cecenia abbandonata

Donne usa e getta

La Cecenia e le bombe umane

L'altra Abu Ghraib

La maledizione della Cecenia

Come salvare la Cecenia

Non resta che combattere

Una donna sola

Il mio lavoro ad ogni costo

lunedì 5 ottobre 2009

MAREK EDELMAN


Il 2 ottobre a Varsavia si è spento novantenne Marek Edelman, l'unico sopravvissuto dei cinque dirigenti, tutti come lui giovanissimi, dell'Organizzazione Ebraica di Combattimento, che diede vita alla rivolta del ghetto di Varsavia. Edelman era un militante del Bund, e dopo aver guidato la rivolta del ghetto, riuscì a fuggire dal ghetto distrutto. Partecipò all'insurrezione di Varsavia. Dopo il 1945, scelse di restare in Polonia, con una decisione simile a quella di molti ebrei dell'Occidente, ma più anomala in Polonia, soprattutto dopo il 1967, e l'eliminazione dalla vita politica di tutti o quasi gli ebrei. Edelman, da buon militante del Bund contrario alla scelta sionista, continuò a esercitare il suo mestiere di medico cardiologo nell'ospedale di Lodz, dove la reazione dei suoi pazienti impedì al regime comunista di cacciarlo. Nel 1981 fu delegato di Lodz al primo congresso di Solidarnosh. I suoi rapporti con Israele furono complicati e sovente conflittuali. In una sua testimonianza sulla rivolta del ghetto, scrisse con grande anticonformismo parole prive di ogni retorica: "La maggior parte di noi era per l'insurrezione. Dal momento che l'umanità aveva convenuto che era molto più bello morire con le armi alla mano che a mani nude, non ci restava che piegarci a questa convenzione".

Anna Foa, storica

venerdì 2 ottobre 2009

STUPRI DI GUERRA


Bosnia ed Erzegovina: 14 anni dagli stupri di guerra e ancora nessuna giustizia

Questo paese dimentica tutto. Si dimentica di noi, vittime. Ma io non dimenticherò mai quello che mi è accaduto." (Sabiha, intervistata da Amnesty International)

"Non so se è possibile punire questo crimine. Ammesso che la giustizia esista, sarà da qualche altra parte ma non qui in Bosnia." (Bakira, intervistata da Amnesty International)

In un nuovo rapporto presentato oggi a Sarajevo, Amnesty International ha accusato i governi che si sono succeduti al potere dalla seconda metà degli anni Novanta, di non aver assicurato giustizia alle migliaia di donne e ragazze stuprate nel corso della guerra del 1992-95.

"Durante la guerra, migliaia di donne e ragazze furono stuprate, spesso con brutalità estrema. Molte di esse vennero detenute in campi di prigionia, alberghi o case private e costrette allo sfruttamento sessuale. In tante vennero uccise. Oggi, alle sopravvissute a questi crimini viene negato l'accesso alla giustizia. I responsabili delle loro sofferenze, membri dell'esercito, della polizia e dei gruppi paramilitari, circolano liberamente, alcuni accanto alle proprie vittime, altri addirittura in posizioni di potere" - ha dichiarato Nicola Duckworth, direttrice del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.

"Il governo della Bosnia ed Erzegovina ha l'obbligo di garantire accesso alla giustizia e piena riparazione alle vittime di crimini contro l'umanità e di violazioni del diritto umanitario. Perché questo accada, le autorità dovranno impegnarsi a svolgere indagini complete e approfondite, in grado di portare in giudizio i responsabili di crimini di guerra e violenze sessuali. In caso contrario, le vittime continueranno a sopportare gli effetti di questi atti orribili" - ha affermato Duckworth.

Il rapporto diffuso a Sarajevo, intitolato "Giustizia per chi? Le donne della Bosnia ed Erzegovina l'attendono ancora", denuncia lo stato fallimentare del sistema giudiziario del paese, l'assenza di riparazione per le vittime e la violazione dei diritti umani di queste ultime.

"Molte donne sopravvissute alla violenza sessuale durante la guerra non possono ottenere alcun risarcimento a causa della complessità del sistema giudiziario e dell'assistenza sociale. Inoltre, rispetto ad altre vittime di guerra, subiscono discriminazioni nell'accesso ai benefici sociali" - ha sottolineato Duckworth.

Jasmina, vittima di violenza sessuale durante la guerra, ha riferito ad Amnesty International: "Non riesco a dormire senza prendere le pillole. Mi irrito subito appena qualcuno mi parla della guerra. Basta un'immagine, un ricordo, uno spot in tv... e io crollo. Ho bisogno d'aiuto".

È a persone come Jasmina che le autorità della Bosnia ed Erzegovina non danno accesso a cure mediche e a forme di sostegno psicologico, che vengono assicurate solo dalle Organizzazioni non governative (Ong), alle prese con problemi di risorse. Una Ong ha riferito ad Amnesty International che la gran parte delle sopravvissute ai crimini di guerra legati alla violenza sessuale non stanno ricevendo alcun'assistenza psicologica.

Migliaia di donne sopravvissute allo stupro hanno perso i loro parenti. Molte non sono in grado di trovare o mantenere un posto di lavoro a causa della loro fragilità psicologica e altre vivono senza una fonte fissa di reddito, in povertà, nell'impossibilità di comprare i medicinali necessari.

Poiché lo stupro continua a essere un argomento tabù, spesso le donne sono considerate con riprovazione piuttosto che come persone che hanno subito violenza e che hanno bisogno di essere aiutate a ricostruirsi una vita.

"Le autorità devono cooperare con le Ong nello sviluppo di una strategia complessiva per assicurare che le sopravvissute alla violenza sessuale ottengano una riparazione, che preveda una pensione adeguata, un ingresso agevolato nel mondo del lavoro e il più alto standard possibile di cure mediche. Il governo deve sostenere queste donne, dare voce alla loro richiesta di diritti e combattere la discriminazione e lo stigma che affrontano quotidianamente" - ha concluso Duckworth.

Ulteriori informazioni

Stupri e altre forme di violenza sessuale sono avvenuti su scala massiccia durante la guerra degli anni 1992-95 in Bosnia ed Erzegovina. Il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (Tpij), istituito nel 1993 per punire gravi violazioni del diritto umanitario, violenza sessuale inclusa, è stato in grado di occuparsi solo di una piccola parte di casi: fino al luglio di quest'anno, aveva trattato 18 casi di violenza sessuale in Bosnia ed Erzegovina.

La Camera per i crimini di guerra, istituita nel 2005 nell'ambito della Corte di stato della Bosnia ed Erzegovina per seguire casi che il Tpij non potrebbe giudicare, ha condannato a oggi solo 12 persone per crimini di violenza sessuale.

(Fonte: Amnesty International)

giovedì 24 settembre 2009

COME SEMINARE ODIO ANTIEBRAICO

Il sito internet israeliano Palestinian Media Watch riferisce che gli ospiti di un programma televisivo per bambini, trasmesso a Gaza dalla Tv controllata dal movimento islamico Hamas, hanno più volte affermato che la "liberazione" della Palestina passa attraverso il "massacro" degli ebrei in Israele. Nel programma per bambini denominato "Pionieri di domani", andato in onda il 22 settembre sulla Tv Al Aqsa, Nassur, un pupazzo con le sembianze di un orsacchiotto, si rivolge a una giovane ospite in studio, dal nome Saraa, spiegandole che tutti gli ebrei "devono essere eliminati dalla nostra terra". "Saranno massacrati", ribatte a sua volta Saraa. Poi Nassur si rivolge telefonicamente a un bambino per chiedergli "Cosa vuoi fare agli ebrei che hanno ucciso tuo padre?". "Voglio ucciderli" è la risposta. Saraa: "Non vogliamo far niente a loro, solo cacciarli dalla nostra terra". Nassur: "Vogliamo massacrarli (Nidbah-hom, in arabo), così saranno cacciati dalla nostra terra, giusto?". Saraa: "Sì. E' giusto. Li cacceremo usando tutti i modi". Nassur: "E se non se ne andranno pacificamente, con la persuasione e il dialogo, dovremo farlo sterminandoli (Shaht, in arabo)". Non è la prima volta che la televisione di Hamas ha mandato in onda programmi per bambini dai contenuti truculenti anche facendo uso di pupazzi, come Topolino.

domenica 20 settembre 2009

NOTIZIE INFLUENZABILI


Il quotidiano britannico The Observer ha pubblicato un articolo secondo cui esiste un rapporto segreto dell’ OMS da cui emerge che la pandemia di influenza A/H1N1 provocherà milioni di morti nei Paesi più poveri a meno che i Paesi più ricchi non raccolgano 1 miliardo di euro per pagare i vaccini e gli antivirali.

Sorgono almeno due dubbi distinti, il primo relativo alla segretezza del rapporto, piuttosto scarsa se un quotidiano riesce a pubblicarne i contenuti e l’altra relativa alla quantificazione della cifra ritenuta necessaria affinché non si verifichi un disastro umanitario.

Come accade per ogni altra notizia relativa all’influenza A/H1N1, non si capisce se ci si trova di fronte a notizie certe e documentate con scenari verosimili, oppure a non-notizie sensazionalistiche che producono allarmismi e confusione.

Intanto il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha pubblicato le "Raccomandazioni generali ad interim per la riduzione del rischio espositivo in corso di pandemia influenzale nei luoghi di lavoro".
Potete leggere il testo completo cliccando qui

giovedì 10 settembre 2009

IN PIAZZA PER CHIEDERE DIGNITA'


Se vuoi cambiare il fatto che almeno 963 milioni di persone vanno a dormire affamate, che un miliardo di persone vive in insediamenti abitativi precari, che ogni minuto una donna muore per complicazioni della gravidanza, scendi in piazza sabato 19 e domenica 20 settembre, per chiedere dignità per coloro che vivono nell'indigenza; perché la povertà è una gabbia e i diritti umani sono la chiave! Unisciti alle centinaia di attiviste e attivisti che saranno con noi per le Giornate dell'Attivismo e sottoscrivi il manifesto della campagna "Io pretendo dignità", che vuole porre i diritti umani al centro della lotta contro la povertà. Ti aspettiamo!

Per saperne di più:

sabato 5 settembre 2009

UNESCO: NO ALL' ELEZIONE DI UN ANTISEMITA

L’irrilevanza delle parole, in questo nostro Paese, non cessa di stupirmi. Si diceva che le parole fossero pietre, ma adesso sono diventate davvero come foglie d’autunno. Così, il critico cinematografico Gian Luigi Rondi, di fronte alle parole che vengono contestate a Farouk Hosni, ministro egiziano della Cultura e candidato alla presidenza dell’Unesco, di voler bruciare personalmente tutti i libri israeliani, parole ricordiamolo da lui ammesse, riconduce queste affermazioni ad una cattiva traduzione o alla foga delle discussioni, per negare che lo stesso Hosni sia antisemita. Dire di voler bruciare i libri evidentemente non basta. Per essere antisemiti bisogna fare di più, ad esempio bruciarne gli autori. Così il terrorista iraniano, organizzatore della strage alla Comunità ebraica di Buenos Aires (85 morti), nominato ministro della Difesa in Iran. Ma c’è una differenza: l’Iran è una dittatura, e il suo ministro della Difesa è al suo posto proprio per quello che ha fatto, non malgrado quello. Se eletto, Hosni lo sarà nonostante le sue parole e non a causa di queste. Almeno, speriamo che sia così. E almeno, non giudichiamo queste parole irrilevanti.

Anna Foa, storica

mercoledì 2 settembre 2009

E NOI DOVE ERAVAMO?




Nelle foto di seguito riportate si può vedere l'aiuto che le forze di polizia libiche danno al nostro bel Paese nel cosi detto contrasto all'immigrazione clandestina.
Alcune foto rubate con un telefono cellulare aprono uno squarcio su quello che da più parti viene denunciato, la sistematica violazioni dei più fondamentali diritti umani.
Nei centri di detenzione libici torture, maltrattamenti, stupri, condizioni sanitarie inumane sono all'ordine del giorno, per non parlare di quanti vengono lasciati morire di sete e di fame nel deserto e di quanti muoiono affogati.
Ecco qui la nostra politica sull'immigrazione, ci affidiamo a Gheddafi un tiranno sanguinario, che da 40 anni reprime il suo popolo, affinchè ci liberi dall'incombenza di soccorrere con un minimo di umanità e nel rispetto dei più basilari diritti umani quanti in condizioni disperate cercano di approdare sulle nostre coste.

lunedì 31 agosto 2009

UNICITA' E CONFRONTO

Ci può piacere o non piacere, ma l’uso della Shoah come metafora del Male è un dato di fatto. Dietro questa metafora c’è la consapevolezza della Shoah come Male assoluto, il massimo a cui si può giungere nel confronto. Un superlativo di per sè. Il messaggio che si dà, finisce per essere un messaggio semplificato: “questo è come la Shoah”. In realtà, spesso si voleva dire diversamente, significare ad esempio che l’indifferenza degli esseri umani di fronte ad altri esseri umani mandati alla morte è la stessa. Un confronto, credo, più che legittimo. Ritengo che, paradossalmente, sia proprio l’insistenza sull’unicità assoluta della Shoah a trasformarla in una metafora: se un evento è singolare e unico, e per questo inconfrontabile, è anche un simbolo, e tutti i simboli hanno un uso pubblico, che prevede il confronto indiscriminato. Anche per questo, diffido del dogma dell’unicità, e sono d’accordo con gli studiosi che portano avanti le comparazioni, che analizzano somiglianze e differenze. Parlo delle comparazioni fra i genocidi, non fra eventi di peso incommensurabilmente diverso, naturalmente. Il confronto, solo quello, può aiutare a rendere perspicuo il linguaggio, chiare le definizioni. Ma nel nostro mondo mediatico, l’uso della metafora equivale all’irrompere improvviso di un’immagine: il linguaggio diventa messaggio visivo, non esiste più in quanto espressione chiara e distinta del pensiero.

Anna Foa, storica

martedì 25 agosto 2009

CONTINUIAMO A SORVOLARE ?

Le Frecce Tricolori voleranno sul cimitero del mar Mediterraneo

di Pierluigi Di Piazza

Cerco di mantenere fede all’impegno assunto pubblicamente di una riflessione articolata riguardo alle dichiarazioni da me rilasciate all’emittente diocesana Radio Spazio 103, giovedì 13 agosto e ripresa su questo giornale venerdì 14 agosto di contrarietà all’esibizione delle Frecce Tricolori sulle coste della Libia il 1° settembre prossimo.

Mi sento ancora maggiormente sollecitato dal dolore per l’ennesima strage di donne, di uomini, probabilmente di bambini, nelle acque del Mediterraneo segno di disperazione e di ricerca di speranza da una parte, segno di inciviltà e disumanità dalla nostra parte, davvero una crudeltà inammissibile di cui è un segno inqualificabile, perché dire vergognoso è troppo poco, l’e liminazione delle barche degli immigrati che si avvicinano alle coste italiane che avviene per gioco sulla pagina ufficiale della Lega Nord nel social net work. Un disumanità crescente che deve tutti interrogarci.

Demagogia, populismo, strumentalizzazione dei problemi a proprio vantaggio non possano certo coprire la realtà: un miliardo e 200 milioni di persone affamate nel mondo, 100 milioni in più del 2008. Di esse 265 milioni sono nell’Africa subsahariana, 42 milioni nel vicino Oriente e nell’Africa del Nord. E le decisioni politiche del nostro paese? Taglio ai fondi per la cooperazione, respingimenti delle persone e totale disinteresse per il loro futuro.

E le Frecce Tricolori? Esprimo il mio rispetto umano per i piloti e le migliaia di spettatori che si aggregano per ammirarle ed applaudirle. Sinceramente nessuna ostilità, ma un modo, di sentire diverso, di dissentire.

La mia personale e poi pubblica riflessione riguardo alla presenza della pattuglia acrobatica e alle sue esibizioni è stata sollecitata dalla tragedia di Ramstein, 28 agosto nel 1988, da quei 67 morti, oltre a tre piloti, dai tanti feriti. Ho cercato allora e anche successivamente di rapportare alcune dimensioni per poter leggere e decodificare un fenomeno: l’addestramento e l’abilità dei piloti, lo spettacolo, il simbolismo della Pattuglia considerando che si tratta di aerei dell’aeronautica militare; la valenza “ patriottica” della Pan, fino ad essere considerata un’immagine promozionale dell’Italia, nella stessa Italia e nel mondo, anche con accostamenti a messaggi e iniziative di solidarietà.

Il consenso e il successo così ampi sembrano minimizzare fino all’i rrilevanza le proteste che da anni sollevano le popolazioni che vivono in un vasto territorio attorno alla base di Rivolto, soprattutto per i danni acustici ed ambientali, uniti ai costi; ed egualmente sembrano minimizzare, fino all’irrilevanza, la sensibilità ed i pensieri di dissenso: ricordo, ad esempio, una veglia di riflessione davanti alla base alla vigilia di un air- show; eravamo in trenta persone, fra cui anche pre Toni Bellina, a confronto con le decine di migliaia che si sarebbero riunite il giorno dopo. Ma proprio per questo ritengo molto importante continuare ad esprimere la propria opinione, anche ora nel silenzio pressoché totale, per quanto riguarda la presenzia della Pan in Libia. Gli aerei nei cieli suscitano attenzione e ammirazione.

È così vero che mai dimenticherò, la prima giornata dei bombardamenti sulle regioni della ex – Jugoslavia quando nei prati attorno alla base Usaf di Aviano dalla quale decollavano due a due i cacciabombardieri, si contavano 25 mila persone. Gli studiosi di questi fenomeni indagando le dinamiche psicologiche parlavano allora di “turismo di guerra”. Non intendo certo accostare a quella situazione terribile le Frecce Tricolori, ma evidenziare come qualsiasi spettacolo che pretenda di essere tale o che le persone ritengano tale, rischia di far dimenticare tutti gli aspetti, anche eticamente discutibili o condannabili che li compongono.

Non si può dimenticare che la Pan è una pattuglia dell’Aeronautica Militare; i suoi spettacoli possono favorire l’accettazione dell’a pparato industriale – tecnologico – militare; gli investimenti per produrlo e utilizzarlo, ad esempio anche per realizzare il centinaio di cacciabombardieri F35, anch’essi poi da ammirare, quando magari,come spesso è già avvenuto per altri aerei da combattimento come gli F16, qualche esemplare si esibirà in certi air – show, anche con le Frecce Tricolori.
È più facile dopo l’ammirazione e gli applausi accettare lo stanziamento, che già troppe persone subiscono passivamente, di 14 miliardi di euro per la loro realizzazione, senza riflettere a quel punto quali opere in Italia e in qualche parte del mondo si potrebbero realizzare con quell’investimento. Riguardo alla rappresentatività nazionale perché non riferirsi molto di più a operai, scienziati, ricercatori, insegnanti, medici, infermieri, donne e uomini delle forze dell’ordine, volontari che ogni giorno rendono umano questo Paese, nonostante, a volte proprio a dispetto di prepotenze, falsità corruzioni, banalità, grossolanità?

Vorrei incontrare i piloti a dialogare con loro su questi aspetti, magari in un incontro pubblico nella sala del nostro Centro Balducci. E da rettificare quella la posizione di impossibile neutralità che mi è stata attribuita nell’articolo del 13 agosto. Non riesco a condividere questo spettacolo né il simbolismo che pretende di esprimere. Sono da considerare anche i luoghi delle esibizioni perché non sono neutrali rispetto alla dignità delle persone e ai diritti umani. E allora se non applaudo alle esibizioni sono ancor più contrario a quella del 1° settembre sui cieli della Libia.

Chiediamoci sinceramente, pur da posizioni diverse: chi ha chiesto la presenza della Pan a Tripoli? O prima ancora chi la invia? E quali sono le motivazioni e i fini veri? Chi guarderà lo spettacolo e con quali effetti? Le Frecce Tricolori non diventano forse uno strumento in mano agli stessi protagonisti più che discutibile della visita di Gheddafi a Roma? Quali invece le ricadute economiche e per chi in particolare? Quali sarebbero gli impegni bilaterali se continuano queste stragi nel mar Mediterraneo?

Il mare che le Frecce Tricolori attraverseranno per raggiungere la Libia è diventato in questi anni un enorme cimitero con le ultime vittime di questi giorni coprendo con le sue acque circa 13 mila vittime negli ultimi 10 anni: donne, bambini, uomini; partite proprio, dentro al traffico degli esseri umani, dalle coste della Libia. Verso quella costa si è attuata una delle decisioni politiche più crudeli di questi ultimi anni, con il respingimento di due barche piene di disperati in cerca della salvezza, propagandato in modo demagogico e indegno come decisione di fermezza nel contrasto all’immigrazione irregolare.

Dalla testimonianza diretta anche delle ospiti e degli ospiti del Centro Balducci si sa con certezza che in Libia si attua una violazione sistematica dei diritti umani, con incarcerazioni, pestaggi, violenza sulle donne, continua richiesta di denaro. Gli spettacoli non possono mai coprire le ingiustizie e le violenze, dovunque siano esibiti,meno ancora in situazioni di violazione dei diritti umani, di ingiustizia e di morte. Abbiamo bisogno di idealità, di dedizione, di impegno, di decisioni politiche serie per costruire giustizia e pace nelle nostre comunità locali e in quelle di tutto il Pianeta.

(Fonte: Messaggero Veneto)

lunedì 24 agosto 2009

23 AGOSTO 1939


Ricorrevano ieri, 23 agosto, i settant’anni dalla firma del patto Molotov-Ribbentrop. In quel giorno, infatti, Stalin, con un netto voltafaccia, firmò un trattato di non belligeranza con il nazismo. La Cecoslovacchia era già stata occupata da Hitler, dopo il cedimento vergognoso delle democrazie occidentali a Monaco. Il primo settembre, le truppe naziste invadevano la Polonia, il 3 settembre le democrazie occidentali entravano in guerra. Il 17 dello stesso mese le truppe sovietiche si univano a quelle tedesche nell’invasione della Polonia. Per i militanti antifascisti di quegli anni, per i comunisti che si battevano contro il fascismo e il nazismo, questa alleanza fu un tradimento terribile. Per l’Europa fu la catastrofe. La memoria dell’alleanza fra Unione Sovietica e Germania nazista è stata per molti decenni rimossa dalla coscienza europea, per chiari motivi politici ma in parte anche perché offuscata dal contributo dato dall’URSS alla vittoria sul nazismo. L’URSS non esiste più da molto tempo, è ora di ripensare anche a questa storia. Una proposta di risoluzione al Parlamento Europeo chiede che il 23 agosto sia considerata in Europa una giornata comune della coscienza europea e il totalitarismo. Può essere un’occasione per riflettere finalmente senza reticenze e senza pregiudizi su tutti i totalitarismi del nostro terribile Novecento.

Anna Foa, storica

venerdì 21 agosto 2009

SPERANZA


E così, alla fine, gli afgani sono andati in molti a votare, nonostante le minacce dei talebani e gli attentati. In particolare le donne, le più minacciate. Le vediamo nelle foto, donne in burka e donne coperte solo dal velo, con il viso completamente scoperto, tutte insieme in fila ai seggi. Donne che esibiscono alto davanti al fotografo il dito macchiato di inchiostro indelebile, lo stesso dito che i talebani hanno minacciato di tagliare a quanti fossero andati a votare. Donne a viso scoperto dallo sguardo diretto e orgoglioso, o coperte dal burka, che copre loro il volto e lo sguardo ma non l’orgoglio del gesto. Nell’Afghanistan martoriato e tribale, ci vorrà forse molto tempo, ma alla fine la salvezza verrà dalle donne, da queste o dalle loro figlie e nipoti.

Anna Foa, storica

sabato 15 agosto 2009

AUNG SAN SUU KYI


MOBILITAZIONE

questi sono gli indirizzi mail di tutte le ambasciate del Myanmar in giro per il mondo:

voici les adresse mail de toutes les ambassade du Myanmar dans le monde:

these are the mail adress of the ambassy of Myanmar around the world:

euompta@yanemb.sa.net
mepretoria@lantic.net
emb.my.berlin@t-online.de
memblondon@asl.com
Mecanberra@bigpond.com
mynembdk@dhaka.net
mynembdk@siriusbb.com
mynembdk@dhaka.net
mebrsl@brnet.com.br
myanmar@brunet.bn
meott@magma.ca
meott@rogers.com
M.E.PHNOMPENH@bigpond.com.kh
Myanmare@ppp.kornet.net
me-paris@wanadoo.fr
myancghk@biznetvigator.com
Myandeli@nda.vsnl.net.in
myanmar@cbn.net.id
teltaman@aquanet.co.il
meroma@tiscalinet.it
contact@myanmar-embassy-tokyo.net
mev@loxinfo.co.th
mekl@tm.net.my
emb@myanmar.wlink.com.np
meisb@isb.comsats.net.pk
memnl@mindgate.net
ambassador@mesingapore.con.sg
mmembcmb@eureka.lk
mebkk@asianet.co.th
myan.emb@fpt.vn
mebel@eunet.yu
mebel@sezampro.yu
thuriya@aol.com








questo è il testo:


ça, c'est le texte:


this is the text:

Messieurs,

des quelques façon d'imager un pays, certaines lui apporte propérité et font rayonner le nom de leurs dirigeants. D'autres encore passent sans faire de bruit et défient l'immobilisme.

Et puis, il y a vous, Le Myanmar, dont le nom glisse dangereusement dans les tiroirs de la honte, dont les dirigeants risquent de subir l'affront de l'opprobre de leur nom.

Votre ex-Birmanie ne peut se cacher.

Libre à vous de n'avoir que cette ambition, mais une femme d'exception chez nous aura dit :"Le tombeau des héros est dans le coeur des vivants"

L'inverse est vraie en votre cas, car pour Aung San Suu Kyi, la lumière lui est promise, nous semble t-il.

De grands dirigeants ont su s'amender, qu'en sera t-il de vous ?

En libérant Aung San Suu Kyi, une marche en avant pour permettre de faire du Myanmar autre chose qu'une tache grise sur la carte des enfants sages...

Cordialement


Freedom for Aung San Suu Kyi !

(Fonte:il dito nell'occhio ... il naso nell'orecchio ... la polvere sotto il tappeto)

ADNAN HAJIZADE and EMIN MILLI ABDULLAYEV


In carcere da oltre due mesi accusati dal Presidente Ilham Aliyev di "teppismo" senza la possibilità di incontrare i familiari. Adnan Hajizade e Emil Milli Abdullayev video-blogger detenuti in attesa di processo in Azerbaijan si sono visti respingere la richiesta di appello contro la violazione della presunzione d'innocenza. La seduta del tribunale è avvenuta a porte chiuse.
Una sentenza già scritta?

venerdì 14 agosto 2009

DIRITTI VIOLATI

Ritratti di donne: Aung San Suu Kyi, il premio Nobel per la pace, condannata in Birmania a 18 mesi, il bel volto affilato sui manifesti di mezzo mondo. L’attivista di una ONG, Zarema Sadulayeva, assassinata con il marito a Grozny. Clotilde Reiss, giovane studiosa francese innamorata della cultura iraniana, “confessa” in aula le sue colpe, nel più perfetto stile sovietico, il volto pallido stretto nel foulard. E non dimentichiamoci la ragazza sedicenne assassinata dallo zio in Giordania perché, violentata dai cugini, era ormai “disonorata”. Di lei, i giornali non riportano il volto, quasi a sottolineare che è solo una tra tante. Donne in guerra, guerre dichiarate o non dichiarate.

Anna Foa, storica

martedì 11 agosto 2009

ASSASSINATI


A meno di un mese dal rapimento e dall’uccisione di Natalja Estemirova, collaboratrice dell’ong russa Memorial, altri due attivisti per i diritti umani sono stati assassinati in Cecenia

Due attivisti per i diritti umani rapiti il 10 agosto scorso in Cecenia sono stati trovati uccisi ad un giorno dalla scomparsa, alla periferia della capitale Grozny dentro il bagagliaio della loro auto.

Si tratta di Zarema Sadulayeva e suo marito Alik Djibralov, impegnati da anni nell'organizzazione non governativa “Let’s save the Generation”.

Aleksandr Cerkasov, dirigente della ong Memorial, cui apparteneva anche la giornalista Natalja Estemirova rapita e uccisa anch'essa in Cecenia il 15 luglio scorso, ha dichiarato che uomini armati, tre dei quali in divisa nera, hanno fatto irruzione alle 14.00 nella sede dell'organizzazione "Let’s save the Generation" e costretto Sadulayeva e il marito a seguirli. Dopo un po' sono tornati prendendo il loro telefono cellulare e la macchina.

Il ministero degli Affari Interni della Cecenia ha fatto sapere che i corpi di Zarema Sadulayeva e di suo marito Djibralov sono stati ritrovati con diverse ferite da arma da fuoco presso il villaggio di Cernorece alla periferia della capitale cecena.

Secondo un funzionario di polizia, “la ragione degli omicidi è da ricercare tra chi ha interesse a destabilizzare e screditare la leadership della Repubblica e delle forze di polizia, così come è stato per l'omicidio della collaboratrice di Memorial, Natalja Estemirova”.

Per alcuni attivisti impegnati nelle attività umanitarie delle ONG che operano in Cecenia questi omicidi sono un grave segnale di come la situazione dei diritti umani nel paese si stia rapidamente deteriorando.

Sulle pagine di Caucasian Knot, centro di informazione sostenuto dall'organizzazione internazionale per i diritti umani Memorial, trovano spazio diverse interpretazioni per l'aumento della tensione nella regione: osservatori locali ritengono che “dietro a questi omicidi possa esserci effettivamente una forza che ha interesse a screditare il presidente ceceno Ramzan Kadyrov”.

Secondo un'altra prospettiva invece, Zarema Sadulaeva e suo marito, così come precedentemente Natalja Estemirova, sono state le vittime di apparati autoritari e scopo di questi omicidi è intimidire le organizzazioni per i diritti umani e la società civile, dissuadendo dalle possibili denunce rispetto a ciò che accade nel paese.

L'organizzazione “Let’s save the Generation” per cui lavoravano Zarema e il marito, nata nel 2001, ha come principale obiettivo quello di aiutare i bambini disabili, orfani e appartenenti a famiglie povere. La maggior parte dei bambini assistiti sono vittime di mine e altri ordigni esplosivi. “Let’s save the Generation” ha lavorato con Amnesty International e con l'Unicef.

Proprio Zarema Sadulaeva aveva collaborato con Landmine Monitor per i report sulla drammatica situazione delle vittime di mine in Cecenia.

(Fonte: Osservatorio Caucaso)

domenica 2 agosto 2009

Ru486


Cappato: "brutta notizia per i fanatici dell'aborto chirurgico"

Da una quarantina d'anni i Radicali sono riusciti a governare il problema aborto attraverso la strada della legalizzazione e del controllo. Quello che ancora rimane da fare riguarda l'informazione sessuale e la contraccezione, oltre alla lotta contro l'imposizione di coscienza praticata dai falsi obiettori in giro per la penisola.

La possibilità di utilizzare anche in Italia la pillola RU486 arriva dopo anni di lotta del ginecologo radicale Silvio Viale, e rappresenta finalmente l'equiparazione delle donne italiane a quelli dei Paesi civili nei quali la pillola RU486 è utilizzata da molti anni. L'atto dovuto con il quale l'AIFA dà il via libera al farmaco sarà certamente boicottato dal regime clericale che detta legge in molti ospedali italiani. Come Radicali dell'associazione Luca Coscioni vigileremo denunciando ogni scorrettezza che ci sarà segnalata. Certamente oggi è una brutta notizia per i fanatici dell'aborto chirurgico, quelli che preferiscono l'intervento perché "non banalizzante", ben felici di farne pagare il prezzo alle donne che hanno deciso di abortire.

Dichiarazione di Marco Cappato, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni

martedì 21 luglio 2009

LA VERITA' NON SI UCCIDE


Anna e Natalja più forti della ferocia (e della nostra indifferenza)

Scritto da André Glucksmann

Sapete tutto. Da molto tempo. Non c’è alcun mistero. Natalja Estemirova è stata eliminata perché combatteva la menzogna e il silenzio di Stato, perché parlava troppo, perché faceva inchieste troppo precise, perché metteva in causa i mandanti dei crimini quotidiani in Cecenia, il dittatore Kadyrov, i servizi segreti dell’esercito russo, le diverse mafie lanciate a briglia sciolta, e i loro padroni al Cremlino.
I rapimenti extragiudiziali eseguiti da uomini incappucciati, le case dei civili incendiate per «punizione », talvolta con gli abitanti bloccati apposta all’interno, i cittadini presi in ostaggio che i servizi pubblici restituiscono vivi o fatti a pezzi in cambio di dollari, le donne violentate davanti al marito. Sapete tutto. Nulla di nuovo nel martirio ceceno, dalla prima guerra scatenata da Mosca nel 1994. Nulla di nuovo, salvo che la vittoria russa è stata ufficialmente dichiarata, che la pace putiniana regna e il terrore continua.

Niente di nuovo. Davanti al cadavere di Natalja Estemirova, trovo disperatamente le stesse parole e gli stessi pensieri, le stesse emozioni e le stesse lacrime di quando morì la mia amica Anna Politkovskaja. Anna mi aveva presentato la sua amica Natalja chiedendomi di appoggiarla affinché ottenesse il premio Sakharov (ricevette la medaglia Schumann). Si conoscevano dalla prima guerra, tutte e due partirono intrepide alla ricerca della verità su un massacro di lunga durata, che ha fatto sparire un civile su cinque. Tutte e due, Cassandre dei nostri tempi, predicavano nel deserto, prevedendo che il caos si sarebbe esteso al Caucaso (come è successo) e che i regolamenti di conti mafiosi e ufficiali avrebbero raggiunto la Russia (come è successo). La Cecenia? Un pulviscolo d’impero, ma un caso esemplare per l’umanità: un milione di abitanti prima della guerra, 200 mila morti, 40 mila bambini uccisi (e quanti orfani?), una capitale rasa al suolo, città e villaggi ridotti in cenere. E dopo? La paura e la corruzione per educare il popolo, riducendolo al silenzio. E non solo il popolo ceceno, ma quello russo e se possibile noi, tranquilli cittadini delle nazioni democratiche. Le facciate nuove fiammanti degli edifici ricostruiti a Grozny mentono.

Niente di nuovo sul fronte occidentale; nell’Europa pacifica e ancora prospera, ci si abitua. A Est, gli omicidi si susseguono, si assomigliano e suscitano in noi indignazioni ben presto dimenticate. Certo non ci mettiamo a far la guerra — fosse pure una guerra fredda — alla grande Russia, dunque ritorniamo subito al business as usual . Questo comportamento elusivo provoca da tempo l’ilarità della coppia dirigente al Cremlino, che mette pubblicamente in ridicolo i rappresentanti occidentali e suscita l’ironia desolata dei dissidenti. Serguei Kovaliev, l’amico di Sakharov, si chiede: a che servono i diplomatici se l’unica alternativa è la guerra o una definitiva compiacenza nei confronti del dispotismo? A che servono i ministri degli Esteri se non sono in grado di prevedere pressioni capaci di civilizzare un po’ gli inquietanti vicini alle nostre frontiere? Eppure, qualcosa di nuovo c’è. Dopo l’assassinio ancora non chiarito di Anna Politkovskaja, Ramzan Kadyrov, il Presidente ceceno protetto da Putin e sospettato di esserne il mandante, fece erigere a Grozny una stele di marmo in onore dei giornalisti e dei combattenti per i diritti dell’uomo «assassinati per la loro libertà di parola».

No, non state sognando. Dopo l’omicidio di Natalja Estemirova, Kadyrov ha reso pubblica la propria indignazione e ha deciso di guidare un’inchiesta per castigare i colpevoli. Medvedev ha fatto lo stesso. Il colmo di questa farsa e di questa presa in giro è stato raggiunto a Berlino: Angela Merkel ha preteso un’inchiesta, Medvedev ne ha garantita un’altra, poi i due si sono abbracciati promettendosi un’indefettibile amicizia industriale. Un bel festival di contratti mirabolanti, soltanto due giorni dopo la scoperta di Natalja, trovata con due pallottole nella nuca sul ciglio di un’autostrada. Sì, Kadyrov sa punire, si dice che ne provi anche piacere. Punire chi? Il suo primo «atto di giustizia» la dice lunga: sporge denuncia contro Oleg Orlov, fondatore di «Memorial» con Sakharov e compagno di lotta di Natalja Estemirova. Sì, Medvedev, il clone «gentile» di Putin, avvierà un’inchiesta per lusingare il mondo intero. Ha ritrovato gli assassini di Anna? Quelli di Markelov e della Baburova? Quelli di una moltitudine di anonimi? Ha consegnato alla Gran Bretagna l’assassino di Litvinenko? No! Egli siede alla Duma e sbeffeggia il mondo in tv. Giura che farà il possibile, proprio lui che ha appena promosso la caccia agli «antipatrioti», cioè coloro che si permettono di studiare i crimini commessi da Stalin prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Orwell ha scoperto la moderna Neolingua: «La guerra è pace. La Schiavitù è libertà». Considerava questi paradossi come una caratteristica della propaganda totalitaria. Strano progresso: le democrazie fanno ormai di tutto per non rimanere indietro nel campo dell’ipocrisia.

Il 17 luglio, una camionetta gialla ha trasportato il corpo di Natalja, circondata dagli amici, i migliori, i più coraggiosi e i più audaci di Grozny. Ha risalito lentamente il viale Putin, i «Campi Elisi» della capitale ricostruiti e battezzati con il nome del suo carnefice. Questo «viale Putin», Natalja non lo imboccò mai da viva, rifiutando l’ingiuria civica fatta al suo popolo decimato e costretto a bere la schiavitù fino alla feccia. A Mosca, nel rendere onore a Natalja, nuova martire della verità, accanto agli spiriti liberi di «Memorial», c’era l’infaticabile Liudmila Alexeevna, 82 anni, personaggio importante della dissidenza antisovietica. A Parigi, durante una breve cerimonia alla fontana di Saint Michel, ho stretto fra le mie braccia Natalja Gorbanevskaïa. Nell’agosto del ’68, questa poetessa manifestò sulla Piazza Rossa, con il neonato in braccio, contro i carri armati russi che schiacciavano Praga insorta. Fu così che si meritò il manicomio.

Incrollabili donne piene d’ardore, siete più determinate della ferocia che avete di fronte, più forti delle nostre indifferenze. Voi salvate la fierezza dei popoli caucasici, la dignità della cultura russa che sempre fu una cultura di resistenza, e se la nostra umanità trova un volto, è il vostro. Anna e Natalja, grazie.

traduzione di Daniela Maggioni
Da: corriere.it

lunedì 20 luglio 2009

IL CORAGGIO DELLA VERITA'


Ecco un estratto, uscito oggi sull'Unità, di un articolo di Natalya Estemirova scritto nell’agosto del 2008 e pubblicato venerdì scorso da The Independent.

Nessuno osa contraddire Kadyrov. Come fosse Stalin

I sequestri di persona in Cecenia sono iniziati dieci anni fa. Nel 2000 le forze russe hanno assunto il controllo di quasi tutta la repubblica e hanno avviato una massiccia operazione di rastrellamento nei villaggi. Ci sono stati migliaia di omicidi e di rapimenti, operazioni spacciate come un metodo efficiente per combattere i ribelli locali. In realtà i soldati e gli agenti di polizia hanno saccheggiato le case di civili inermi, spesso rubando tutto quello che trovavano, dalle auto alle bottigliette di shampoo alla biancheria intima femminile. Ma la cosa che più fa orrore è il fatto che le donne sono state violentate dinanzi ai loro compagni e tutti gli uomini, dagli adolescenti ai vecchi, sono stati arrestati, picchiati selvaggiamente, rilasciati dietro il pagamento di un riscatto o sono scomparsi per sempre.
I rastrellamenti su vasta scala sono cessati nel 2003, non sono cessati i sequestri. Speso una o due persone venivano sequestrate nella loro abitazione nella notte. Alcuni hanno avuto la fortuna di tornare a casa più morti che vivi dopo giorni o settimane di percosse e torture e dietro il pagamento di un riscatto. Ma se la famiglia del rapito non era in grado di trovare la somma richiesta o un mediatore, qualche tempo dopo il rapimento si trovava il cadavere del sequestrato o semplicemente la vittima spariva nel nulla. In qualche caso i rapiti sono ricomparsi in tribunale e sono stati condannati per gravi reati sebbene gridassero la loro innocenza e dicessero che avevano confessato sotto tortura.
Quando nel 2007 Ramzan Kadyrov è diventato presidente della Cecenia molte cose sembravano destinate a cambiare. È iniziata la ricostruzione, Grozny è cambiata, le strade sono state riasfaltate e sulle facciate delle case, ridipinte sono ricomparse le finestre. Gli osservatori hanno cominciato a lodare il nuovo e giovane presidente. Dall’interno le case ristrutturate non apparivano così belle: nulla è stato fatto né erano garantite le pubbliche utenze. Da allora Kadyrov ha tentato di introdurre un drastico mutamento di idee. Il presidente porta avanti la sua campagna per il «ritorno alle tradizioni spirituali»…. e invita le donne e le ragazze a «vestire in maniera acconcia» e, soprattutto, a portare il fazzoletto sul capo in pubblico.
Kadyrov invita le celebrità della musica pop russa in Cecenia e offre loro lussuosi regali. Nessuno osa chiedere chi sponsorizza queste visite e in che modo sarebbero intonate alla «tradizione» cecena. Nessuno osa contraddire Kadyrov così come nessuno osava opporsi a quanto diceva o faceva Stalin in Unione Sovietica. La pace e i successi contro il terrorismo vengono continuamente sbandierati e pubblicizzati. In realtà i ribelli attaccano frequentemente i poliziotti, le numerose articolazioni delle strutture militari entrano continuamente in conflitto e i rapimenti continuano. La principale differenza è che ora molti spariscono per qualche giorno e poi tornano a casa percossi e terrorizzati, dunque indotti al silenzio.
Gli osservatori politici sostengono che Kadyrov governa la Cecenia in modo autonomi d alla Russia. È davvero così? Decine di migliaia di ceceni che languono nelle carceri russe non sarebbero d’accordo. Né lo sarebbero le centinaia di migliaia di vittime di guerra, i parenti dei morti e degli scomparsi. Non diminuisce il flusso di rifugiati ceceni verso l’Europa. Al contrario, aumentano quelli che se ne vogliono andare. In un piccolo territorio europeo si va consolidando una dittatura.
I politici dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite paragonano la situazione a quella del 2000 e si concentrano sugli innegabili miglioramenti. Ma qual è stata la ragione che ha indotto a distruggere città e villaggi, ad uccidere centinaia di migliaia di civili e… ad introdurre il terrore di Stato per «combattere contro il terrorismo»? Non si è voluto forse schiacciare la società civile ed indurla ad una scelta artificiale tra democrazia e stabilità? Il Cremlino è soddisfatto della repressione e dell’impossibilità della Cecenia di agire e di pensare in maniera autonoma.

© The Independent
Traduzione di C. A. Biscotto

SOGNANDO IN DIGITALE


Oggi su Global Voices possiamo trovare un'interessante e stimolante resoconto sul fenomeno dell'arte e animazione digitale nel continente africano. Creatività, fantasia, magia, sensazioni inusuali come nel video di Jepchumba oppure come quelle che mi prendono osservando le splendide immagini di Jim Chuchu

Sight of Sound from Jepchumba on Vimeo.


ed ancora Just a Band

VIOLENZA


Sono 230 le condanne a morte emesse in Egitto nei primi sei mesi di quest’anno, per lo più legate a crimini violenti. La notizia è comparsa sul quotidiano indipendente Al- Dustour, secondo cui sono 50 le condanne capitali emesse nella sola ultima settimana.
Per Azza Quraim, docente di scienze sociali presso il Centro Nazionale Ricerche Sociali e Criminali, con sede al Cairo, “il numero delle condanne a morte comminate dalla magistratura nelle ultime settimane è senza precedenti”.
“Questo numero è talmente elevato – ha detto Alaa Eddin Al-Kifafi, docente di psicologia all’Università del Cairo - da lasciare poco tempo al Grand Mufti per dedicarsi alle altre sue responsabilità”.
Osservatori locali attribuiscono almeno in parte l’aumento delle condanne ad un incremento nella società egiziana di crimini violenti.
“La violenza estrema, finora sostanzialmente sconosciuta alla nostra società, sembra essere diventata un comportamento diffuso ed è legata almeno in parte alla difficile situazione economica del Paese”, ha detto Quraim.
“Per il cittadino medio le opportunità di lavoro non sono mai state così scarse, provocandogli un senso di disperazione”, ha osservato la Al-Kifafi. “Dal punto di vista psicologico, il link tra senso di disperazione e comportamento violento è ben noto e documentato”.
“L’ondata recente di condanne a morte sembra essere un tentativo da parte dello Stato di prevenire azioni criminose”, ha aggiunto Al-Kifafi, secondo cui l’inefficienza del sistema giudiziario spinge i cittadini a farsi giustizia da soli.
Per Quraim, il frettoloso ricorso da parte delle autorità alla pena capitale rappresenta un approccio distorto al problema, oltre che socialmente distruttivo, e costituisce “una specie di omicidio di massa”.
“Emettendo condanne capitali, le autorità hanno cominciato ad esercitare violenza contro la società”.

(Fonte: Nessuno tocchi Caino)

domenica 19 luglio 2009

AUTOCENSURA

Secondo un dossier elaborato dal Servizio giovani della Provincia di Bolzano, in Alto Adige - nella zona di Naturno, vicino Merano - alcuni ragazzi starebbero tentando di organizzare una cellula della Hitlerjugend. I dati riportati in quel dossier dicono che in un paese di poco meno 5 mila abitanti, circa 70 adolescenti – tra i 14 e 19 anni - farebbero parte di quell’organizzazione. Una percentuale non trascurabile, per un fenomeno comunque non trascurabile. La notizia è dell’11 luglio e la prima fonte di diffusione è “RTT La radio di Trento” che ne parla il 12 luglio. La notizia non è ripresa da nessuno e giunge sulle pagine del Corriere della Sera di ieri. In breve una informazione dettagliata in un Paese in cui la libertà di stampa esiste, almeno così tutti dicono, a diffondersi e a diventare di dominio pubblico ci mette un tempo smisuratamente più lungo che non le immagini clandestine da Teheran. Se ne deduce quanto segue: a) i telefonini funzionano a Teheran, qui siamo tecnologicamente più arretrati; b) siamo d’estate, Naturno è un luogo d’attrazione turistica e dunque perché rovinare la festa? Insomma la trama del film “Lo Squalo 1”; c) a differenza dei fotografi, il giornalismo di inchiesta, su carta e televisivo, è agonizzante. Mi fermo qui. In ogni caso è rilevante che nessun altro – eccetto il Corriere della Sera – abbia avuto la curiosità (in tempi diversi avremmo addirittura parlato di “senso civico”), di studiare quel fenomeno, magari spendendoci anche dei soldi, perché mandare qualcuno in un posto costa. Forse abbiamo un problema di qualità dell’informazione. O quello è solo uno dei tanti problemi che questo silenzio denuncia?

David Bidussa,
storico sociale delle idee

sabato 18 luglio 2009

NATALIA ESTEMIROVA


Lottava per la difesa dei diritti umani, indagava e denunciava i crimini di guerra, i sequestri e le torture avvenuti in Cecenia. Hanno trovato il suo corpo in una boscaglia vicina a Nazran, assassinata da quel potere corrotto e criminale che a tutt'oggi tiraneggia incontrastato in Cecenia. Un ricordo da Reporters sans frontieres.

mercoledì 15 luglio 2009

TRANQUILLITA'

Mentre in Giappone il Ministero della salute ci informa che nella prefettura di Osaka è stato registrato un caso in cui il virus è riuscito a resistere all’azione del tamiflu, cosa per altro successa pure in Danimarca qualche giorno fa, nel Mondo Arabo oltre che caldo il clima risulta un tantino isterico ne da conto Global Voices. Intanto nel Bel Paese si ode la seguente dichiarazione:
“La situazione è sotto controllo”.
Parola del ministro per il Welfare Maurizio Sacconi.

lunedì 13 luglio 2009

A PORTE CHIUSE


Nel quasi generale disinteresse della stampa italiana, si è concluso a Parigi il processo contro gli assassini di Ilan Halimi, con l'ergastolo al loro capo e pene decrescenti, fino a sei mesi, per gli altri 26 torturatori. Un verdetto, questo, verso i complici di Fofana, che il mondo ebraico francese contesta indignato come troppo mite. Il Presidente del Consiglio delle istituzioni ebraiche, Richard Prasquier, pone seri dubbi sulle motivazioni che hanno portato a tale indulgenza e soprattutto sul fatto che il processo si sia svolto a porte chiuse, impedendo all'opinione pubblica di giudicare le intenzioni degli assassini. E' stato un omicidio antisemita? La povertà delle banlieues può essere un'attenuante a un omicidio così feroce? Si può considerare motivato da ragioni diverse dall'antisemitismo l'omicidio di una persona scelta solo perché ebreo? Credo che siano domande che riguardano tutti noi, ebrei e non ebrei, e non solo il mondo ebraico francese e la famiglia del ragazzo assassinato.

Anna Foa, storica

domenica 12 luglio 2009

COME UN UOMO SULLA TERRA

Come un uomo sulla terra”, un film realizzato da Andrea Segre, Dagmawi Yimer e Riccardo Biadene, è un buon viatico per chiudere il libro dei sogni ed aprire quello della realtà, dopo le molte parole dette sull’Africa al G8 de l’Aquila.“Come un uomo sulla terra” è un film sul “viaggio all’inferno” che uomini e donne provano prima di arrivare a Lampedusa. Un viaggio che quelle genti conoscono sul loro corpo lungo l’attraversamento della Libia, da Bengasi a Al- Kufra, un tragitto che percorrono molte volte avanti e indietro.Un viaggio in cui i loro corpi sono oggetto di mercato tra poliziotti e trafficanti; in cui uomini e donne subiscono violenze e stupri, ripetutamente, sia da parte dei poliziotti, dentro le strutture di detenzione dello Stato libico, che da parte dei trafficanti sui camion e nei container durante gli spostamenti. Un viaggio a cui sopravvivono solo il 10 per cento di quegli uomini e donne (sono quelli che noi vediamo arrivare a Lampedusa), perché il restante 90 “si perde” lungo la strada. L’Africa non è un cosmo indistinto, ma è fatto di molte realtà, complicate. Un luogo dove tutti gli attori sono presenti: accanto alle vittime e ai carnefici tutta la vasta gamma della “zona grigia”. Un continente in cui il primo paese a cui chiedere conto è proprio la Libia, il cui presidente, Muammar Gheddafi, è anche presidente dell’Unione Africana e che in questa veste viene ricevuto – così anche a L’Aquila - come un esattore di torti subiti, mentre è un produttore di nuovi abusi."Come un uomo sulla terra", è andato in onda giovedì scorso – 9 luglio – su Raitre alle ore 00.15. Un’ora di ascolto “per pochi intimi”, tanto da rischiare di apparire una "predica ai convertiti". Tuttavia, nel clima di piaggeria e di inconsistenza che caratterizza gran parte dell’informazione televisiva, quella proiezione testimoniava di un atto di coraggio. Rispetto alle melensaggini delle cose dette sull’Africa nei giorni scorsi forse voleva comunicare un gesto di rottura. Chi se n’è accorto, a parte i soliti sonnambuli del giovedì sera? Soprattutto ci sarà qualcuno che sia disposto a trasmetterlo di nuovo in prima serata?

David Bidussa, storico sociale delle idee

venerdì 10 luglio 2009

GIUSTIZIA PER ILAN HALIMI


Domani, sabato 11 luglio, sarà emanata in Francia la sentenza al processo per l'assassinio di Ilan Halimi. Ricordate, vero? il giovane ebreo francese rapito, torturato e assassinato perché ebreo, nel 2006, da una banda di giovani immigrati nordafricani. Ci auguriamo che non soltanto i suoi assassini siano condannati con il massimo rigore, ma che sia riconosciuto senza infingimenti il movente antisemita che è stato alla base dell'omicidio. Su Il Corriere di ieri, Bernard-Henry Lévy ci ricordava che nei dibattiti dei media francesi su questo episodio molte voci si sono levate a minimizzare il movente antisemita dell'omicidio, a sottolineare la miseria dei suoi assassini, il fatto che per loro Ilan era, per il solo fatto di essere ebreo, ricco. Un movente di classe, quindi, non di razza! Se mai, negli ultimi anni, c'è stato un omicidio causato dall'antisemitismo, è stato questo. Né la povertà né l'ignoranza dei suoi assassini possono modificare questa realtà. E riconoscerla attraverso una sentenza giudiziaria può contribuire, se non a sanare l'enorme ferita aperta, ad impedire che se ne aprano altre.

Anna Foa, storica

mercoledì 8 luglio 2009

Pericolose influenze


L'undici giugno scorso l'OMS, per bocca della dottoressa Margaret Chan, ha dichiarato lo stato di allerta 6 per la pandemia di influenza, così detta, suina.
Cosa è successo da allora? Difficile dare una qualche risposta vista la scarsità di notizie che circolano.
Non in Paraguay, leggi su Global Voices.

lunedì 6 luglio 2009

Represse manifestazioni degli uiguri nello Xinjiang: 156 morti 816 feriti





Da Urumqi, la capitale della regione più occidentale del Xinjiang nel Repubblica Popolare Cinese giungono notizie di manifestazioni di piazza represse con violenza.

Il corteo era stato organizzato per chiedere un'indagine ufficiale sulla morte di due operai, avvenuta dopo una rissa scoppiata in una fabbrica tra uiguri e cinesi.

Gli uiguri, che sono di fede musulmana, costituiscono l'etnia maggioritaria di questa regione del nord ovest della Cina, che è fortemente temuta da Pechino per le sue velleità indipendentiste.

Il punto da una nota dell'UNPO Unrepresented Nations and Peoples Organization:

Lunedi’ 6 luglio 2009, circa 140 persone sono state uccise e 816 ferite nella capitale regionale quando coloro che stavano protestando si sono scontrati con la polizia dopo giorni di tensione tra Muslim Uyghurs e Han Chinese. Quest’ultima manifestazione, frutto di una crescente discriminazione in Cina, e’ stato il piu’ sanguinoso scoppio di violenza in Cina in molti anni. Il crescente livello di razzismo, frutto di una politica etica, del lavoro e religiosa, seminata in questi ultimi 50 anni, rinforza la paura dell’UNPO per i benestanti Uyghurs nel Turkistan dell’est.

Perduca, paesi EU convochino ambasciatori Pechino

La documentazione

Riceviamo dall’UNPO e pubblichiamo il messaggio di Alim Seytoffm, Vice Presidente dell’ Uyghur American Association:

Caro amico,

il primo video mostra una protesta pacifica. Nel secondo vedi qualcosa che brucia e puoi anche sentire degli spari. Nel terzo video puoi vedere un’altra protesta pacifica ma puoi anche notare che la polizia e’ ovunque.

Di seguito vedrai alcune foto allegate nella quali ci sono quattro tipi di forze armate appartenenti ai corpi della polizia. Esse sono: Polizia regolare, polizia anti-sommossa, forze speciali della polizia e la PAP (People Armed Police; puo’ essere tradotto come: polizia della gente armata).

Puoi vedere anche dei veicoli armati utilizzati sia dalla polizia che dalle forze della PAP. Potrai vedere anche delle persone che molto probabilmente sono state uccise e alcune ferite in un ospedale.

Ti ringrazio per l’interesse a questo tragico evento. Per favore fai in modo che queste informazioni si propaghino.




Le testimonianze degli stranieri
(da Apcom) L’atmosfera era “molto tesa”, ha raccontato all’Afp un visitatore americano. “Verso le 12,30 (le 17,30 italiane), ho sentito due esplosioni che sembravano spari, a qualche minuto di intervallo”, ha raccontato in condizione di anonimato questo statunitense di 26 anni venuto nella capitale dello Xinjiang per rinnovare il suo visto dopo aver vissuto 18 mesi nella regione. “Ho sentito gli spari e ho visto la polizia cinese arrivare con dei veicoli blindati, due pullman carichi di soldati e due camion dell’esercito”, ha detto l’americano. Lo Xinjiang, ai confini dell’Asia centrale, conta circa 8,3 milioni di uiguri, di cui alcuni gruppi denunciano la repressione politica e religiosa condotta dalla Cina sotto la copertura della lotta contro il terrorismo. Un altro testimone, una donna Han (l’etnia maggioritaria cinese, ndr), ha osservato i moti dall’undicesimo piano dell’ospedale ostetrico di Urumqi. Prima di degenerare, secondo la donna, la manifestazione sembrava una marcia studentesca. “Gli uiguri hanno at accato dei motociclisti a sassate. Se la prendevano solo con gli Han”, ha raccontato all’Afp. “Almeno dieci autobus sono stati incendiati e numerose auto sono state ribaltate. Ho visto molte persone a terra grondanti di sangue”. “Hanno spaccato le vetrine dei negozi e tentato di entrare nell’ospedale. Ma subito è arrivata la polizia anti-sommossa e ha chiuso i cancelli dell’ospedale. Avevamo paura. Ci siamo chiusi a chiave nella stanza”, ha detto. Una turista di 30 anni della provincia del Guangdong, nel sud della Cina, è rimasta nella sua camera di albergo, ieri sera, ma alcuni suoi amici si sono trovati in mezzo alle violenze e hanno avuto molte difficoltà per raggiungere l’hotel a causa delle eccezionali misure di sicurezza disposte nel frattempo.”Pensavo di restare qui ancora del tempo ma a causa delle violenze ho cambiato idea. Sto controllando i voli e tenterò di rientrare il prima possibile”, ha detto ancora la donna che ha aggiunto:”Ho sentito dire che l’aeroporto è affollatissimo, penso che i molti stiano cercando di fuggire dalla città”. Pechino ha attribuito la responsabilità di moti alla dissidenza uigura in esilio e in particolare al Congresso mondiale uiguro di Rebiya Kadeer, arrivato nel marzo 2005 negli Stati Uniti dopo una detenzione in Cina di circa sei anni. (con fonte Afp)

(FONTE: RADIORADICALE.IT)

giovedì 2 luglio 2009

VERSO L'ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE


E’ stata approvata a larghissima maggioranza dall'Assemblea Parlamentare Annuale dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa), in corso a Vilnius in Lituania, la Risoluzione per la Moratoria delle esecuzioni capitali e per l'abolizione della pena di morte, presentata dal Deputato Radicale Matteo Mecacci e sostenuta dalla Delegazione Parlamentare italiana.
La Risoluzione e' stata cosponsorizzata da oltre 30 Parlamentari di 14 paesi (inclusi gli Stati Uniti), ed è stata approvata a larghissima maggioranza con i soli voti contrari di due parlamentari americani e l’astensione della delegazione bielorussa e della Relatrice russa.
Tra i Parlamentari italiani che hanno appoggiato la risoluzione figurano il Presidente della delegazione italiana Riccardo Migliori, i Deputati Emerenzio Barbieri, Claudio D’Amico, Pierluigi Mantini e Guglielmo Picchi, e i Senatori Laura Allegrini e Andrea Marcucci.
A questo proposito il Primo firmatario della Risoluzione, il Deputato Radicale Matteo Mecacci, ha dichiarato:
“Ritengo che questa sia una giornata importante nel lungo cammino verso l’eliminazione della pena di morte portato avanti dal Partito Radicale e da Nessuno tocchi Caino da oltre 15 anni, con il sostegno del Parlamento Italiano. Dopo l’Approvazione da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU nel 2007, oggi l’Italia segna un nuovo successo internazionale che spinge gli ultimi due paesi che applicano la pena di morte all’interno dell‘area OSCE (Stati Uniti e Bielorussia) verso la moratoria delle esecuzioni capitali.
Voglio sottolineare, in particolare, che tre Parlamentari della delegazione americana si sono espressi a favore della risoluzione: il Repubblicano Chris Smith, il Senatore Democratico Ben Cardin e la Democratica Gwen Moore. Si tratta di un importante segnale da parte dei legislatori americani che va incoraggiato e sostenuto e che sicuramente riflette l’emergere di una maggiore attenzione e sensibilita’ sui temi dei diritti umani da parte dell’Amministrazione Obama”.

Di seguito il testo della risoluzione:

RISOLUZIONE SULLA MORATORIA DELLA PENA DI MORTE E VERSO LA SUA ABOLIZIONE
approvata dalla Commissione Diritti umani dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE
Vilnius, 1 luglio 2009

• Richiamando la Risoluzione sull’abolizione della pena di morte adottata a Parigi durante la Decima Sessione Annuale, a luglio del 2001;
• Richiamando la Risoluzione sui prigionieri detenuti dagli Stati Uniti nella base di Guantanamo, adottata a Rotterdam durante la dodicesima Sessione, a luglio del 2003, che, “sottolineando l’importanza della difesa dei diritti democratici, anche in presenza di terrorismo e altri metodi antidemocratici”, ha esortato gli Stati Uniti ad “astenersi dal ricorso alla pena di morte”;
• Richiamando la Risoluzione sul rafforzamento di un efficace controllo parlamentare sugli organi di sicurezza e sui servizi segreti, adottata a Bruxelles durante la Quindicesima Sessione Annuale, a luglio del 2006, che ha espresso preoccupazione per “alcune pratiche che violano le libertà e i diritti umani più fondamentali e contravvengono ai trattati internazionali sui diritti umani, che costituiscono la pietra miliare della tutela dei diritti umani dopo la fine della seconda guerra mondiale, come” tra l’altro “l’estradizione verso paesi dove è probabile che venga applicata la pena di morte o si ricorra alla tortura o a maltrattamenti, e dove sono praticate la reclusione e le persecuzioni in ragione di attività politiche o religiose”;
• Richiamando la Risoluzione sull’attuazione degli impegni OSCE, adottata a Kiev, durante la Sedicesima Sessione Annuale, a luglio del 2007, che “ribadisce il valore della vita umana e richiede l’abolizione della pena di morte negli Stati partecipanti, sostituendola con mezzi più giusti ed umani per esercitare la giustizia”;
• Considerando che, il 18 dicembre 2007, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la storica Risoluzione 62/149, che chiedeva una moratoria mondiale delle esecuzioni capitali nella prospettiva di abolire la pena di morte, con una maggioranza schiacciante di 104 stati membri dell’ONU a favore, 54 contrari e 29 astenuti;
• Considerando che la Risoluzione 63/168 sull’attuazione della risoluzione 62/149 dell’Assemblea Generale del 2007 è stata adottata dell’Assemblea Generale della Nazioni Unite il 18 dicembre 2008 con 106 voti a favore, 46 contrari e 34 astenuti;
• Ricordando l’inserimento della questione della pena capitale nella serie di impegni inerenti la dimensione umana dell’OSCE, con il Documento Conclusivo di Vienna del 1989 e il Documento di Copenaghen del 1990;
• Richiamando il paragrafo 100 della Dichiarazione di San Pietroburgo dell’Assemblea Parlamentare dell’OSCE del 1999 e il paragrafo 119 della Dichiarazione di Bucarest dell’Assemblea Parlamentare dell’OSCE del 2000;
• Considerando che la pena di morte costituisce una punizione inumana e degradante, un atto di tortura inaccettabile per gli stati rispettosi dei diritti umani;
• Considerando che la pena di morte costituisce una punizione discriminatoria e arbitraria e che la sua applicazione non ha un effetto deterrente sui crimini violenti;
• Osservando che, alla luce della fallibilità della giustizia umana, il ricorso alla pena di morte porta inevitabilmente con sé il rischio che vengano giustiziate persone innocenti;
• Richiamando le disposizioni del Protocollo n˚6 alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, che vieta agli Stati membri di applicare la pena di morte;
• Richiamando le disposizioni del Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1989 e il Congresso Mondiale sulla Pena Capitale, tenutosi a Strasburgo nel 2001, nonché il Protocollo Addizionale n˚6 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali teso all’abolizione universale della pena di morte;
• Considerando che, ai sensi dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale del 1998, è esclusa la pena di morte, sebbene rientrino tra le competenze della Corte i crimini contro l’umanità, il genocidio e i crimini di guerra. Ciò è anche vero per il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, per il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, per la Corte Speciale per la Sierra Leone, i Collegi Speciali per i crimini gravi a Dili, Timor Est, e le Camere straordinarie delle Corti cambogiane;
• Osservando che, nell’ottobre del 2008, l’UE e il Consiglio d’Europa in una dichiarazione congiunta hanno istituito la “Giornata europea contro la pena di morte”;
• Ricordando che nel corso delle riunioni dell’OSCE sugli adempimenti della dimensione umana, tenutesi a Varsavia nel 2006, 2007 e 2008, numerose organizzazioni della società civile (fra cui: Nessuno Tocchi Caino, Amnesty International, la Coalizione mondiale contro la pena di morte e la Federazione internazionale di Helsinki per i diritti umani) hanno espresso il loro sostegno alla risoluzione sulla moratoria universale della pena di morte presentata all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite;
• Considerando che 138 stati nel mondo hanno abolito la pena di morte per legge o de facto; 92 dei quali l’hanno abolita per qualsiasi reato, 10 l’hanno mantenuta in vigore solo per crimini eccezionali come quelli commessi in tempo di guerra, e 36 non applicano esecuzioni capitali da almeno 10 anni o si sono impegnati ad attuare la moratoria;
• Accogliendo con favore l’emendamento costituzionale della Georgia per la completa abolizione della pena di morte, firmato il 27 dicembre 2006;
• Accogliendo con favore l’abolizione della pena di morte in Kirghizistan, come stabilito dal nuovo Articolo 14 della Costituzione, approvato il 15 gennaio 2007;
• Accogliendo con favore l’abolizione della pena di morte in Uzbekistan, a partire dall’1 gennaio 2008;
• Considerando che, in alcuni Stati membri dell’OSCE, la pena di morte è prevista dalla legge, ma esiste una moratoria nella Federazione Russa, in Kazakistan e Tajikistan, mentre in Lettonia è prevista solo in tempo di guerra;
• Osservando che un emendamento del 21 maggio 2007 alla Costituzione della Repubblica del Kazakistan ha abolito la pena di morte in tutti i casi, fatta eccezione per gli atti di terrorismo che causano la perdita di vite umane e per crimini particolarmente gravi commessi in tempo di guerra;
• Osservando che, all’interno dell’OSCE, solo 2 Stati membri su 56 continuano comunque ad applicare la pena di morte;
• Profondamente preoccupati del fatto che in Bielorussia e negli Stati Uniti d’America sono ancora comminate condanne a morte ed eseguite esecuzioni capitali;
• Osservando che, secondo il rapporto pubblicato da Amnesty International nel marzo 2009, “Ending executions in Europe – Towards abolition of the death penalty in Belarus”, in Bielorussia “ci sono prove concrete che la tortura ed i maltrattamenti vengano usati per strappare “confessioni”; che i prigionieri condannati non sempre hanno accesso ad effettive procedure di ricorso; e che alla intrinseca natura crudele, disumana e degradante della pena di morte, si aggiunge, per i detenuti nel braccio della morte ed i loro parenti, la segretezza che circonda la pena capitale. Né i prigionieri né i loro famigliari vengono informati in anticipo della data dell’esecuzione e i prigionieri devono convivere con la paura che in ogni momento si possano aprire le porte della cella per essere chiamati per l’esecuzione.”
• Considerando che l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) e l’Unione Europea (UE) hanno ripetutamente esortato la Bielorussia ad abolire la pena di morte;
• Osservando che i dettagli sulla pena di morte in Bielorussia sono tenuti segreti e che, secondo il Codice Penale, la pena capitale viene eseguita in privato per fucilazione, l’amministrazione del carcere informa il giudice dell’avvenuta esecuzione e il giudice informa i parenti; il corpo dei giustiziati non viene consegnato ai parenti per la sepoltura ed il luogo in cui essa avviene non viene comunicato;
• Considerando che l’11 marzo 2004 la Corte Costituzionale ha affermato che potrebbe essere approvata dal Capo di Stato e dal Parlamento l’abolizione della pena di morte o, come primo passo, l’introduzione di una moratoria;
• Considerando che la pena capitale in Bielorussia, ai sensi della sua Costituzione, e’ una misura straordinaria e temporanea, applicabile solo in casi eccezionali e che la Bielorussia e’ riuscita progressivamente a limitare l’applicazione della pena di morte, per esempio dimezzando il numero di articoli del Codice penale che prevedono la pena capitale;
• Osservando che la Bielorussia non è riuscita a rendere pubblici i dati statistici sul numero di condanne a morte ed esecuzioni eseguite, in violazione del suo impegno come membro dell’OSCE a: “rendere pubblicamente note le informazioni riguardo il ricorso alla pena di morte”, come stabilito dal Documento approvato nella riunione di Copenaghen della Conferenza sulla dimensione umana della CSCE del 29 giugno 1990;
• Osservando che dei 50 stati che compongono gli Stati Uniti d’America, 38 prevedono la pena di morte, ma in 4 di essi non si ci sono state esecuzioni dal 1976; e che la legge federale prevede 42 reati passibili di essere puniti con la morte;
• Osservando che negli Stati Uniti d’America negli ultimi anni si è registrata una significativa diminuzione del numero di esecuzioni e di condanne a morte e che molti stati stanno valutando la possibilità di adottare una moratoria o l’abolizione della pena di morte, anche a seguito di un minore sostegno da parte dell’opinione pubblica;
• Accogliendo con favore il fatto che alcuni stati, tra i quali Montana, North Carolina, New York e New Jersey, stanno adottando misure contro la pena di morte inclusa una moratoria delle esecuzioni o la sua abolizione;
• Considerando che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha recentemente emesso una sentenza storica che introduce maggiori tutele e che prende in considerazione l’evoluzione degli standard della giustizia;
• Accogliendo con favore la decisione del governatore del New Mexico, a marzo 2009, che mette al bando la pena capitale in tale stato, considerandola “incompatibile con i principi fondamentali di giustizia, libertà ed uguaglianza dell’America”;
• Osservando che il 19 marzo 2009, un senatore statunitense ha presentato la “Federal Death Penalty Abolition Act”, una legge per l’abolizione della pena di morte a livello federale;

L’Assemblea Parlamentare dell’OSCE,
• Condanna tutte le esecuzioni ovunque esse avvengano;
• Chiede agli Stati partecipanti che applicano la pena di morte di dichiarare una immediata moratoria delle esecuzioni;
• Esorta gli Stati partecipanti che non hanno abolito la pena di morte a rispettare i principi che salvaguardano i diritti di coloro che vi sono sottoposti, così come stabilito nelle Garanzie di protezione del Consiglio ECOSOC delle Nazioni Unite;
• Esorta la Bielorussia a intraprendere azioni immediate per l’abolizione della pena di morte, applicando prontamente una moratoria su tutte le sentenze capitali ed le esecuzioni, nella prospettiva di una abolizione della pena di morte, come stabilito dalla risoluzione 62/149 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottata il 18 dicembre 2007 e dalla risoluzione 63/168 adottata il 18 dicembre 2008;
• Esorta il governo degli Stati Uniti ad adottare una moratoria delle esecuzioni per poi giungere alla completa abolizione della pena di morte nella legislazione federale e di ritirare la sua riserva all’articolo 6(5) del Patto Internazionale sui diritti civili e politici;
• Esorta la Repubblica del Kazakistan, nella prospettiva di una totale abolizione della pena di morte, ad emendare il Codice Penale in conformità all’emendamento costituzionale del 21 maggio 2007;
• Esorta la Lettonia ad emendare il Codice Penale per abolire la pena di morte anche per gli omicidi che prevedono l’aggravante di essere perpetrati in tempi di guerra;
• Esorta gli Stati membri mantenitori ad incoraggiare l’ODHIR e le Missioni OSCE in cooperazione con il Consiglio d’Europa, per mettere a punto iniziative di sensibilizzazione contro il ricorso alla pena di morte, rivolte soprattutto ai mass media, ai funzionari delle forze dell’ordine, ai politici e all’opinione pubblica;
• Incoraggia ulteriormente le attività promosse dalle organizzazioni non governative per l’abolizione della pena di morte.