sabato 1 gennaio 2011

BUON ANNO

La solitudine del laico
di Angiolo Bandinelli


La solitudine eccita le riflessioni, ma anche le emozioni. Non parlo della solitudine che è condizione strutturale, dicono, dell’uomo moderno, l’uomo-massa, quello della società industriale (che forse, però, non c’è già più, avendo lasciato il posto all’uomo del postmoderno, delle tribù metropolitane con i loro gerghi e riti internettici, nuovamente collettivi). Non penso nemmeno alla solitudine, per dire, del carcerato. Il carcerato ha, seppure coatta e miserabile, una vita sociale anche quando, chiuso nella sua cella, resta solo (tra l’altro, almeno in Italia, il carcerato non sconta più questa forma di pena cui pure tendeva la condanna, quando la giustizia rispettava i suoi codici etici e funzionali). Parlo di quella solitudine (esistenziale?) che pochi sperimentano, o subiscono, a seguito di loro dolorose, personali vicende. Parlo insomma della solitudine di chi è rimasto solo. Càpita, no? Per un colpo del destino. Un qualsiasi “Umberto D.” alla De Sica, anche senza cagnolino. Costui riflette ormai molto, non ha altro da fare. E, sempre senza che lo voglia, patisce emozioni intense e violente, tutte virate al negativo. Questa è, forse, la condizione estrema dell’uomo. Al di sotto anche della soglia minima della fede, di colui che ha una fede incarnata, etichettata e ritualizzata, che gli dà sollievo, o almeno così lui dice.


In tale estrema solitudine (eppure - straordinariamente - attorno a lui, al suo fianco, davanti o dietro di lui, una folla di suoi simili, di esseri ugualmente soli, gli attraversa la strada o lo accompagna) l’uomo è vulnerabile, miserabile bersaglio di estreme passioni e pensieri.




Così, in quella sua nudità, quest’uomo scopre le fonti stesse dell’esser laico. Non userei paroloni, non mi riferirei all’angoscia di un Kierkegaard o roba del genere. Bisogna essere umili e, in qualche modo, concreti. Semplicemente, bisogna sapere avvertire che al di sotto di questa condizione non c’è altro, né da sperare né da temere. Si è nudi e anche un po’ piatti, come una suola delle scarpe consunta. Che sia questa la scaturigine, o sennò l’esito ultimo della condizione umana? Capisco i mussulmani che seppelliscono i corpi avvolgendoli in un semplice lenzuolo bianco, qualcosa di simile alla sindone di Gesù, sacra in quanto avvolge comunque l’ultima e definitiva realtà dell’umano, quando ogni orpello - ogni finzione - non serve più. Se sia questa una condizione laica o religiosa non saprei dire: non ho paura del termine “religione”, per denotare la laicità rivelatamisi nella e dalla solitudine.

In questa condizione, comunque, ogni infingimento perde di senso, diventa vuoto, niente. Pèrdono senso, a questo punto estremo, le ritualità di cui si ammanta più o meno ogni religione, religiosità, chiesa. La nudità è laica, nel corpo come nella mente. Ci accomuna, ci rende partecipi di questo fenomeno oscuro il fatto che siamo uomini; lo siamo chissà perché e percome, anche se scienziati da una parte e chierici dall’altra si ostinano a fornirci ragioni, spiegazioni, etc. Macché, le neurobiologie, il comportamentismo, etc., valgono quanto una preghiera, cioè non spiegano nulla, il mistero uomo resta tale. Un mistero inspiegabile; perché è forse un semplice problema di linguaggio (per spiegare qualcosa espressa in un linguaggio, occorre un metalinguaggio, e il nuovo metalinguaggio richiede un metalinguaggio superiore, all’infinito, perché il primo come i successivi non spiegano nulla, non afferrano mai la spiegazione ultima, definitiva). Così il laico si contenta di quel che vede, non chiede il “perché”, non vuole rincorrere spiegazioni, l’una dentro l’altra all’infinito, come matrioske. Non gli servono.

Piuttosto, il laico è attento al diritto, alla legge, alla precisa definizione di norme di comportamento, istituzionali, ecc. E’ l’unica realtà, del tutto comportamentale, su cui gli umani devono poter contare, per superare la solitudine. Rigorosamente, pena il disastro. C’è chi lamenta la società “fluida” di oggi e auspica, per darle nuovo corpo e nuove certezze, un generale consolidamento e rassodamento costituito dal ritorno alla fede. Quale fede? Io sono convinto che è più utile e importante per l’uomo un Orario dei treni globale, con tutte le coincidenze a posto, da poter essere utilizzato dal cristiano come dal musulmano, dall’animista, dal confuciano o dal taoista. L’Orario dei treni è una Bibbia eminentemente laica, sicura e indiscutibile, almeno finché le autorità preposte non ritengano utile e necessario modificarlo, previo accordo condiviso. A me intanto basta che quell’Orario mi faccia sempre arrivare, in perfetto orario, da Milano a Parigi o a Mosca. E’ la chiarezza della laicità. Ma forse questi sono pensieri malinconiosi di una fine d’anno un po’ uggiosa, con poco sole e pochi consumi. Quindi, anche il laico solitario non può che augurare un buon Anno Nuovo, sia pure con tutte le riserve leopardiane sugli Almanacchi e la loro illusoria pretesa di darci nuove speranze e consolazioni. Da domani, giuro, tornerò a occuparmi di darwinismo, di evoluzionismo, di clericalismo ed altre consimili banalità.


(*) da “Il Foglio”



(Fonte: Notizie Radicali)

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