Il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha pronunciato in occasione del Giorno della Memoria 2011 il seguente intervento:
“Illustre e caro Presidente Napolitano, illustri autorità civili, militari e religiose, cari amici, carissimi ragazzi
Il Giorno della Memoria di questo 2011, anno durante il quale celebriamo il 150° anniversario dell’unità d’Italia, è un evento diverso e speciale che ci offre l’occasione per capire il ruolo svolto e l’apporto dato dagli ebrei alla nascita dello Stato Italiano.
L’adesione degli ebrei italiani al Risorgimento fu convinta e largamente diffusa. Vi parteciparono, passando dall’attività cospirativa mazziniana, alla Repubblica Romana del 1848, alla spedizione dei Mille, sino alla conquista di Roma del 20 settembre 1870.
Con l’unità della nazione, dopo molti secoli, tutti gli ebrei italiani vedevano riconosciuto il loro diritto ad una cittadinanza piena ed essi, divenuti uomini liberi, sprigionarono una grande forza creativa e parteciparono alla vita culturale, spirituale, politica ed economica distinguendosi anche nelle forze armate durante il primo conflitto mondiale.
Ma una domanda che non trova risposta ancora ci assilla.
Come è potuto accadere che la stessa piccola, civile, pacifica minoranza ebraica, che dette un così alto contributo all’unità della Patria, possa essere stata, solo pochi decenni dopo, tradita, discriminata e perseguitata.
Il regime fascista, con l’emanazione delle leggi antiebraiche sulla razza del 1938, sancì il definitivo discostamento dell’Italia dalle idee di libertà, uguaglianza e democrazia fondative della Nazione.
Quelle leggi che fecero precipitare gli ebrei in una condizione di disumana discriminazione furono al tempo stesso la dimostrazione della fragilità politica dello stato monarchico che, dopo aver abolito nel 1925 la democrazia parlamentare, giunse a violare per la prima volta nella sua storia i propri princìpi fondanti.
Si trattò di un’involuzione e di un regresso per il quale gli ebrei per primi pagarono il prezzo più alto, ma che costò sofferenze e sangue a tutti gli italiani che furono trascinati in rovinose sconfitte militari e furono costretti a subire la feroce occupazione nazista fino all’aprile del 1945.
L’Italia iniziò a risorgere nel 1946, con due eventi di grande valore istituzionale, politico e simbolico: la trasformazione da monarchia in repubblica e la creazione e promulgazione, nel 1948, di una Costituzione di altissimo livello civile, giuridico e sociale, fatti questi che le permisero di riconquistare la concordia interna e quella credibilità internazionale che le garantì un posto tra le grandi democrazie occidentali.
Ma che cosa accadde nel frattempo alle vittime delle persecuzioni e delle deportazioni nei campi di sterminio nazisti, a quei pochi che riuscirono a sopravvivere e a tornare nelle loro case?
Nel dopoguerra, per anni, la Shoah non fu raccontata, spesso neanche all’interno delle famiglie.
I pochi sopravvissuti, i testimoni diretti, prima di riuscire a parlare attraversarono un lungo periodo di tragica solitudine, di incomunicabilità, a volte di vergogna, presi da assurdi, ma umanamente e psicologicamente comprensibili, sensi di colpa per essersi salvati, a volte per paura di non essere creduti.
L’istituzione del “Giorno della Memoria” trova la sua ragion d’essere nella necessità di colmare il grave deficit di conoscenza dovuto al ritardo con il quale la Shoah è stata raccontata e studiata.
La Shoah è stata un’immensa tragedia che ha colpito il popolo ebraico con un tentativo di distruzione totale. I princìpi ideologici che ne furono alla base causarono la persecuzione anche di altri gruppi e categorie; si trattò di una barbarie che agì contro la “diversità” in generale.
Solo quando i crimini commessi emersero in tutta la loro enormità, la Shoah divenne un parametro di riferimento per giudicare il comportamento del genere umano tenuto da persone, gruppi e nazioni negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso.
Auschwitz divenne lo spartiacque simbolico tra civiltà e barbarie al punto che, da alcuni storici, il Ventesimo secolo è stato denominato il “Secolo di Auschwitz”.
La Shoah avvenne nel cuore dell’Europa, il continente, allora, più moderno sul piano tecnologico e più avanzato culturalmente. Non sempre i passi in avanti della scienza e della tecnologia vanno in parallelo con il progresso civile e morale dell’uomo e dei popoli.
Il Giorno della Memoria non è un’iniziativa finalizzata a perpetuare conflitti e rancori, ma a formare la coscienza civile delle giovani generazioni. Questa fu la finalità principale che anche Tullia Zevi, alla guida dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane fino al 1999, enunciò chiaramente. Oggi ancor più sentiamo il vuoto da lei lasciato, venendo a mancare solo pochi giorni fa. Rivolgo alla sua memoria un pensiero affettuoso e riverente.
Questo è il modo migliore per ricordare e onorare milioni di vittime, facendo sì che il loro sacrificio non resti vano, ma diventi un monito che contribuisca al progresso dell’umanità.
Caro Presidente Napolitano, la ringrazio per aver ospitato anche quest’anno al Quirinale il Giorno della Memoria, la cui celebrazione ci consente di esprimere il sentimento di unità che viene rinsaldato con questo contributo offerto dagli ebrei italiani a tutti i loro connazionali.
Crediamo, infatti, che il nostro Paese sarà più libero e migliore solo se, attraverso la conoscenza e la comprensione della propria storia, rimarrà consapevole che la conquista della democrazia costituisce un passo fondamentale ed un bene prezioso da consegnare con orgoglio alle nuove generazioni”.
(Fonte: Moked.it)
Nessun commento:
Posta un commento