di Francesco Pullia
A diciassette anni dalla pubblicazione “Oltre la destra e la sinistra” di Anthony Giddens, ristampato in questi giorni da Il Mulino, con prefazione di Michele Salvati, mantiene intatta la sua attualità. Anzi, si conferma un libro di grande lucidità.
Originariamente concepito come una critica al materialismo storico e alla sue disastrose applicazioni in ambito statale (e non solo), a partire dall’insostenibilità di quello che l’autore definisce come modello cibernetico, cioè della concezione (totalitaria), tipica del socialismo, secondo cui “un sistema può essere organizzato nel modo migliore se lo si assoggetta ad un’intelligenza direttiva”, lo studio ha poi, via via, esteso la propria indagine caratterizzandosi come un’analisi dei modi in cui si articola la politica nella tarda modernità, degli spazi da occupare, delle tematiche che, a discapito di quelle tradizionali, hanno finito per prevalere e porsi come urgenti, prima tra tutte quella ambientale.
Giddens mostra quanto sia di fatto vetusta e improponibile la contrapposizione tra destra conservatrice e sinistra progressista entro cui è stata ingabbiato il pensiero soprattutto nel secolo scorso operando, a suo modo, una sorta di decostruzione della categorie politiche tradizionali.
Cosa è di destra e cosa di sinistra in un’epoca come la nostra in cui si è chiamati a riorganizzare le condizioni di vita sia individuali che collettive? Il mondo di oggi vive più che mai in una transitorietà che richiede, per usare un ossimoro usato all’autore, il coraggio di un realismo utopico che tenga conto, ad esempio, della riflessività sociale, cioè della capacità di filtrare, in virtù delle nuove forme di comunicazione, ogni genere di informazione, della globalizzazione, intesa non solo come un fenomeno economico ma come disancoraggio culturale da usi e costumi della tradizione, di una democrazia che corregga i suoi limiti ed estenda le proprie potenzialità in un’ottica tanto estremamente liberale quanto nonviolenta, partecipativa, dialogica, della ritessitura di solidarietà spezzate, non più come riproposizione del sistema assistenzialistico cui siamo stati abituati, come elargizione cioè dall’alto verso il basso, ma, piuttosto, come autonomia dell’azione individuale nella consapevolezza del nostro essere interdipendenti.
In altri termini, con la caduta dei blocchi (anche se ancora si attende lo sgretolamento di qualche muraglia…) e delle (sanguinarie) infatuazioni ideologiche, si rende necessario avviare un percorso che prenda avvio da quella che Giddens definisce come fiducia attiva, cioè dall’oltrepassamento di posizioni assiomatiche prestabilite.
Le stesse tematiche etiche, le risposte alle questioni che rimandano ai diritti civili, a scelte esistenziali, a pronunciamenti su abitudini e comportamenti da modificare attestano l’inaffidabilità di mascherarsi e trincerarsi dietro categorie convenzionali in un mondo abitato da molti altri, in cui nessuna certezza può essere imposta ad alcuno e in cui, paradossalmente, non vi è più nessun altro.
Ed ecco, allora, l’affacciarsi, in questo scenario, di una nuova etica che implichi anche il rispetto delle forze e degli esseri non umani, presenti e futuri. La via prospettata da Giddens, foriera d’interessanti implicazioni, se percorsa fino in fondo incontra le tracce disseminate da Jacques Derrida. Un nuovo pensiero si è dischiuso.
(Fonte: Notizie Radicali)
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