Oggi è il ventiquattresimo anniversario del disastro di Cernobyl. Dieci attivisti con tute bianche e maschere antigas hanno portato una mostra fotografica a Montecitorio, per sottolineare le conseguenze dell'incidente.
Il 26 aprile 1986 a Cernobyl si verificò il più grave incidente nucleare della storia, con una violenta esplosione che rilasciò in atmosfera cento volte la radioattività sprigionata dalle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. La nube radioattiva arrivò fino in Europa Centrale e in Italia.
A ventiquattro anni da Cernobyl, la propaganda filo-nucleare continua a sottostimare gli effetti della tragedia di Cernobyl e il numero dei morti causati dall'incidente: parla di soli 65 morti, riferendosi a malapena al numero dei lavoratori e soccorritori morti in seguito all'esplosione.
L'Accademia Russa delle Scienze dimostra, però, che anche le stime del Cernobyl Forum - che indicavano novemila morti - erano state troppo caute e che i morti dovuti all'incidente di Cernobyl sono oltre duecentomila.
Nel 1987, l'anno dopo Cernobyl, oltre l'80% dei cittadini italiani ha votato contro il nucleare. In seguito all'esito dei tre referendum proposti, tutte le centrali nucleari in Italia furono chiuse.
Oggi il Governo intende imporre all'Italia il nucleare e si prepara a una campagna di disinformazione sui rischi e i costi di questa pericolosa tecnologia. Così, non solo dimostra di non curarsi della volontà espressa dai cittadini, ma anche di non avere imparato nulla dagli errori passati.
Le centrali francesi EPR che il governo vorrebbe far costruire in Italia sono state dichiarate carenti nel sistema di controllo dalle autorità di sicurezza francese, britannica e finlandese. Inoltre, secondo i documenti resi noti dall'associazione francese "Sortir du nucleaire", potrebbero essere pericolose quanto quella di Cernobyl, perché sottoposte al rischio di analoghi incidenti
Le foto della mostra di Robert Knoth sul disastro di Chernobyl
(Fonte: Greenpeace)
lunedì 26 aprile 2010
domenica 25 aprile 2010
Il giorno della liberazione
Si festeggia il 25 aprile non per ripetere ciò che accadde quel giorno, ma per segnare cosa vuol dire essere liberi. Non solo. Ma anche per ricordarsi, e ricordare a chi fa spallucce, che c’era il totalitarismo in Italia e come sia sempre difficile sottrarsi al suo fascino magnetico andando a “cercare la bella morte” come recitava uno slogan di cui erano orgogliosi coloro che entusiasticamente aderirono convinti a quel totalitarismo. Uno slogan che dimostra che la scelta di testimoniare col sacrificio del proprio corpo la fedeltà a una causa non è il marchio né esclusivo né originario di un sistema di fede specifico. Comunque che non nasce in Oriente, ma che, come molte altre cose, anche noi, proprio qui, c’abbiamo messo del nostro.
di David Bidussa, storico sociale delle idee
di David Bidussa, storico sociale delle idee
sabato 24 aprile 2010
Dov'è finito il Panchen Lama?
Il 25 aprile in segno di solidarietà con il Panchen Lama ed il popolo tibetano chi vorrà potrà aderire allo sciopero della fame di 12 ore, dalle 08,00 alle 20,00. A Largo di Torre Argentina ci sarà uno stand per la raccolta di firme per la liberazione del Panchen Lama.
SABATO 24 APRILE CONVEGNO A ROMA: DOV'E' FINITO IL PANCHEN LAMA?
In occasione del 21° compleanno del Panchem Lama, sabato 24 aprile, con inizio alle ore 16,30, si terrà a Roma, presso la sede dei radicali, in Via di Torre Argentina, 76 (3° piano) un convegno dal titolo: "Dov'è finito il Panchem Lama?'.
Seguirà una cena tibetana e la proiezione del film: 'Sette anni in Tibet' di Jean-Jacques Annaud.
Ore 16,30 inizio Convegno: 'Dov'è finito il Panchen Lama?' Introduce e modera Sergio Rovasio, Radicale, Segretariato 5° Congresso mondiale sul Tibet;
Relatori;
- Bruno Mellano, Presidente di Radicali Italiani;
- Dechen Dolkar, Presidente donne tibetane in Italia;
- Ghesce Thupten Dargye Maestro residente del'Istituto Samantabhadra – Roma;
- Rappresentante Intergruppo Parlamentare sul Tibet;
- Maria Laura di Mattia, studiosa del Tibet, Associazione Amici del Tibet;
- Marisa Burns, Vice Presidente Rimè Onlus;
- Francesco Pullia, membro Direzione Radicali Italiani;
- Rossana Barbolla, Presidente Istituto Sammantabhadra – Roma;
- Giorgio Rasta, Presidente Unione Buddisti Italiani;
Prenotazioni per la cena tibetana: intergruppo.tibet@camera.it
CHI E’ IL PANCHEN LAMA:
Il prossimo 25 aprile il Panchen Lama, la seconda autorità spirituale del buddismo tibetano, il "vice" del Dalai Lama alla guida del suo popolo, compirà 21 anni.
Ma Gedhun Choeky Nyima - questo il nome del vero Panchen Lama - è invisibile dall'età di sei anni. Poco dopo la sua investitura, da parte del Dalai Lama, il 14 maggio 1995, il bambino fu sequestrato con tutta la sua famiglia dalla polizia cinese. Quello che divenne "il prigioniero politico più giovane del mondo" da allora è recluso in un luogo segreto. La sua colpa è imperdonabile: per il solo fatto di esistere, il Panchen incarna l'autonomia di un potere spirituale che lo ha scelto senza prendere ordini dal governo.
Pechino ha deciso di esibire in due eventi ufficiali il suo "gemello comunista": il Panchen del regime. Quasi coetaneo dell'altro (ha 19 anni), etnicamente tibetano anche lui ma figlio di due membri del partito comunista, questo si chiama Gyaltsen Norbu. Nel 1995, non appena catturato il vero Panchen, la controfigura venne investita solennemente dal governo. Secondo le autorità cinesi è lui l'undicesima reincarnazione del "grande studioso" della setta Gelugpa. Il Panchen filo-cinese non è mai stato accettato dai suoi connazionali, che gli negano ogni legittimità.
mercoledì 21 aprile 2010
Carceri. Il Consiglio d’Europa condanna l’Italia per troppa violenza e suicidi
di Valter Vecellio
Nuova condanna per l’Italia. Il Consiglio d’Europa condanna il nostro paese per le troppe violenze “istituzionali” e i suicidi. La condanna si riferisce a una “ispezione” effettuata nel 2008, ma è da credere che in due anni la situazione non sia mutata troppo; anzi, è forse perfino peggiorata. L’agenzia “Ap-Com” così riassume il rapporto-denuncia:
“Troppa violenza nelle carceri italiane, dove il sovraffollamento e le continue risse pesano sull'altissimo numero di detenuti suicidi. Lo rileva il comitato del Consiglio d'Europa per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti (Cpt), che ha pubblicato il rapporto relativo alla sua quinta visita periodica in Italia, effettuata dal 14 al 26 settembre 2008, corredato dalla relativa risposta del Governo italiano.
Troppe violenze - Per quanto concerne il trattamento dei detenuti da parte delle forze dell'ordine, il rapporto riferisce che la delegazione del Cpt ha ricevuto un certo numero di denunce di presunti maltrattamenti fisici o di uso eccessivo della forza da parte di agenti della polizia e dei carabinieri, e, in minor misura, da parte di agenti della guardia di finanza, soprattutto nel Bresciano. I presunti maltrattamenti consistevano essenzialmente in pugni, calci o manganellate al momento dell'arresto, e, in alcuni casi, nel corso della permanenza in un centro di detenzione. "Per certi casi - si legge nel rapporto - la delegazione ha potuto riscontrare l'esistenza di certificati medici attestanti i fatti denunciati". Nella loro risposta, le autorità italiane "hanno indicato che sono state emanate delle direttive specifiche per prevenire e punire il comportamento indebitamente aggressivo delle forze dell'ordine. Inoltre, le autorità hanno fornito le informazioni richieste sui punti sollevati dal Cpt in materia di garanzie procedurali contro i maltrattamenti".
Le condizioni di detenzione - Sono state inoltre esaminate le condizioni di detenzione presso il Centro di identificazione e di espulsione (Cei) di Via Corelli a Milano. Il Cpt ha raccomandato, tra l'altro, che siano garantiti agli immigrati irregolari che vi devono essere trattenuti "maggiori e più ampie possibilità di attività". Per quanto concerne le carceri, la delegazione che ha effettuato la visita a nome del Comitato ha posto l'accento sul sovraffollamento delle prigioni, sulla questione delle cure mediche in ambiente carcerario e sul trattamento dei detenuti sottoposti al regime di massima sicurezza (il "41-bis").
Allarme a Cagliari e Brescia - Il Cpt ha espresso "viva preoccupazione" per il livello di violenza registrato all'interno delle carceri di Brescia-Mombello e di Cagliari-Buoncammino, dove episodi di violenza tra detenuti nel corso del 2008 hanno causato lesioni gravi e, in un caso, la morte di un carcerato. Inoltre, il Comitato ha ricevuto a Cagliari alcune accuse relative al fatto che il personale carcerario non sarebbe sempre intervenuto tempestivamente per sedare le risse tra detenuti. Le autorità italiane hanno indicato nella loro risposta che "la direzione generale delle carceri ha invitato le prigioni di Brescia e di Cagliari a prendere tutte le misure necessarie per impedire la violenza tra detenuti. Hanno inoltre affermato - riferisce il Comitato - che dall'autunno del 2008, si è ottenuta una diminuzione degli episodi di violenza, a seguito di una convenzione conclusa tra il carcere di Cagliari e la Caritas".
L'ospedale psichiatrico - Per quanto concerne l'ospedale psichiatrico giudiziario Filippo Saporito (Opg) di Aversa, il rapporto pone in evidenza le scadenti condizioni della struttura e la necessità di migliorare il regime quotidiano di degenza dei pazienti, aumentando il numero e la varietà delle attività trattamentali quotidiane loro garantite. La delegazione ha inoltre riscontrato che alcuni pazienti erano stati trattenuti nell'Opg più a lungo di quanto non lo richiedessero le loro condizioni e che altri erano trattenuti nell'ospedale anche oltre lo scadere del termine previsto dall'ordine di internamento. Le autorità italiane hanno fatto valere nella loro risposta che l'ospedale è in corso di ristrutturazione e che la legge non prevede un limite per l'esecuzione di misure di sicurezza temporanee non detentive. In merito al Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (Spdc) presso l'ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, la delegazione ha concentrato l'attenzione sul ricorso al trattamento obbligatorio dei pazienti. Il Comitato raccomanda di apportare miglioramenti alla fase giudiziaria della procedura relativa al trattamento sanitario obbligatorio”.
Ora la parola spetta al Governo, al ministro della Giustizia; alle forze politiche, di maggioranza e di opposizione. Per giorni, settimane, i radicali offrono una costante, puntuale, precisa, dettagliata informazione, accompagnandola a soluzioni politiche praticabili e ragionevoli. Finora hanno prevalso indifferenze e calcoli meschini di partiti come la Lega e l’Italia dei Valori, che hanno fatto della demagogia il loro programma politico; favoriti da un PD che appare paralizzato e paralizzante. La condanna del Consiglio d’Europa, anche se si riferisce al 2008 impone che si esca da questa palude. Questa vergogna dura da troppo tempo, questa aberrazione deve finire.
lunedì 19 aprile 2010
La rivolta del ghetto di Varsavia
Sessantasette anni fa, il 19 aprile del 1943, vigilia di Pesah, i nazisti entrarono nel ghetto di Varsavia per deportare gli ebrei, circa sessantamila, che vi erano rimasti dopo le grandi deportazioni del 1942, quando oltre trecentomila ebrei erano stati deportati, per esservi subito assassinati, nel campo di sterminio di Treblinka. Iniziava la rivolta del ghetto, con le scarsissime armi fornite dalla Resistenza polacca e impugnate da un pugno di ragazzi, poco più di duecento. Il 16 maggio, il rogo della Sinagoga segnava la fine della rivolta, non restava più nulla del ghetto e dei suoi ebrei. Pochissimi i sopravvissuti, e fra loro Marek Edelman, fra i comandanti della rivolta, spentosi nell'ottobre 2009 in Polonia, straordinario narratore della vita del ghetto e della sua morte. Ma questo episodio di resistenza ebraica non fu l'unico: gruppi armati di resistenza agirono in sette dei grandi ghetti polacchi e in moltissimi di quelli minori. Rivolte armate furono tentate anche nei campi di sterminio: a Birkenau, a Chelmno, a Treblinka e a Sobibor. In questi ultimi campi, la rivolta riuscì a inceppare e a fermare la macchina della morte. Nulla è più lontano dal vero dell'immagine, tanto diffusa, degli ebrei portati come pecore al macello.
di Anna Foa, storica
Motahareh Bahrami condannata a morte
Una dimostrante arrestata in Iran a seguito delle manifestazioni di protesta dell’Ashura, avvenunte nel 2009, è stata condannata a morte, riportano siti della resistenza iraniana.
Si tratta di Motahareh Bahrami, arrestata più di quattro mesi fa insieme al marito, al figlio e a due amici di famiglia, e accusata dalle autorità iraniane di essere legata ai Mujahedin del Popolo dell’Iran, organizzazione che Teheran considera terrorista.
La donna è attualmente reclusa nella sezione femminile del carcere di Evin, situato nel settore nord-occidentale della capitale iraniana, ed è in attesa della sentenza d’appello.
La manifestazioni dell’Ashura, importante festività sciita, si svolsero lo scorso 27 dicembre per protestare contro la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad.
Quel giorno si verificarono numerosi scontri tra dimostranti e forze di polizia in tutto l’Iran.
In base alle agenzie di stampa internazionali furono più di 550 i manifestanti arrestati.
Secondo le stesse fonti governative, al termine degli scontri con le forze di sicurezza centinaia di manifestanti sono stati arrestati e almeno sette sono rimasti uccisi. Teheran ha accusato le potenze occidentali di aver fomentato la rivolta e di aver fornito sostegno ai manifestanti.
(Nessuno Tocchi Caino)
venerdì 16 aprile 2010
Gaza: Hamas giustizia due ‘collaborazionisti’
due palestinesi sono stati fucilati a Gaza dopo essere stati riconosciuti colpevoli di collaborazione con Israele da parte di un tribunale militare di Hamas.
Si tratta delle prime esecuzioni ufficiali da quando Hamas, tre anni fa, ha assunto il controllo della Striscia di Gaza, strappandolo al gruppo rivale Fatah del presidente Mahmoud Abbas, al potere in Cisgiordania.
Una fonte interna all’esecutivo di Hamas ha confermato le esecuzioni dopo che i corpi dei due uomini sono stati portati in un ospedale di Gaza.
Il gruppo per i diritti umani palestinese al-Mizan li ha identificati come Mohammed Ismail e Nasser Abu Freh.
Secondo Amnesty International i processi svolti nei tribunali militari di Hamas non soddisfano gli standard giuridici internazionali.
In base alle leggi dell’Autorità Nazionale Palestinese, le esecuzioni capitali possono essere effettuate solo con l’autorizzazione del Presidente, tuttavia Hamas non riconosce la presidenza di Mahmoud Abbas e queste ultime esecuzioni rappresentano un’ulteriore sfida dell’organizzazione integralista islamica alla sua autorità.
Abbas non ha finora autorizzato nessuna esecuzione in Cisgiordania.
L’ultima esecuzione praticata a Gaza risaliva al 2005.
(Fonte: Nessuno tocchi Caino)
giovedì 15 aprile 2010
Tunewiki, il primo social network musicale
Quando Rani Cohen pensò di creare Tunewiki insieme al suo partner Amnon Sarig e al programmatore Chad Kause non lasciò decisamente nulla al caso. Ad oggi, dopo solo tre anni, TuneWiki è tra i primi social network musicali al mondo e il primo per numero di file musicali fruibili legalmente dal suo database. Nello specifico la tecnologia che sta dietro a Tunewiki permette di poter ascoltare musica, visualizzare e leggere i testi delle canzoni in modalità Karaoke, visualizzare video musicali e accedere ai servizi di radio streaming.
I numeri sono strabilianti: “Quando nel 2007 abbiamo lanciato Tunewiki - spiega Cohen - c’erano solo tre utenti iscritti e i testi delle canzoni disponibili erano all’incirca 60. Dopo sole tre settimane il nostro database aveva raggiunto le 41 mila canzoni e ora ne abbiamo più di 400 mila”.
Con la crescita del mercato mondiale legato alla telefonia mobile e in particolare al settore smartphone è difficile calcolare le potenzialità di un servizio così semplice e allo stesso tempo innovativo. Per stare al passo con le nuove tecnologie lo staff di Tunewiki ha sviluppato un’applicazione figlia da poter installare sui cellulari più diffusi: dall’Iphone ai cellulari dotati di piattaforma Symbian e Android. Il perfetto connubio tra un lettore musicale portatile e una piattaforma di social networking, che permette, durante l’ascolto, di sincronizzare il proprio dispositivo con il database online e permette di scaricare le informazioni sugli artisti, i testi delle canzoni e le copertine dei dischi.
Il database è in continuo aggiornamento, grazie anche ai contributi degli utenti che giornalmente inviano testi e informazioni per le relative sincronizzazioni. Le canzoni sono inoltre tradotte in più di 40 lingue differenti, con una prevalenza di testi in lingua inglese, più di 30 mila in francese e oltre 70 mila in spagnolo.
Abitualmente applicazioni di questo genere richiederebbero un congruo esborso di denaro da parte degli utenti, non è questo il caso. Forte dei 5 milioni di utenti provenienti da più di 210 paesi nel mondo, Tunewiki riesce a vivere degli introiti provenienti dalla pubblicità online. Da non dimenticare le questioni legali connesse al servizio, decisive se si considera la crisi del mercato musicale dovuta agli innumerevoli servizi di file-sharing illegale. Tunewiki a questo proposito ha stretto accordi con più di 1600 compagnie musicali. Integrando l’Api (Application Programming Interface) messa a disposizione da Youtube è inoltre possibile fruire di tutti i contenuti legalmente riconosciuti e pubblicati su questa piattaforma, comodamente dal proprio computer o cellulare: “Tunewiki - a detta di Cohen - risulta quindi essere lo strumento per eccellenza nella condivisione legale di musica.
Riguardo agli aspetti “social” del servizio, consultando una apposita mappa è possibile visualizzare cosa gli altri utenti stanno ascoltando e informarsi sulla collocazione geografica degli iscritti. La piattaforma è fortemente integrata con i più importanti servizi online, cliccando sul titolo di una canzone potremo per esempio visualizzarne il video su Youtube, mentre consultando il profilo di un utente potremo contattarlo su Twitter o Facebook e lasciare un commento sul brano ascoltato. Questi sono gli elementi che conferiscono a Tunewiki i connotati tipici del social media music player.
Tunewiki è una società pluripremiata che negli anni si è affermata a livello mondiale, una vera e propria organizzazione internazionale con uffici negli Stati Uniti, in Australia, in Russia e ovviamente a Tel Aviv, in Israele. “La musica è un linguaggio universale - ha affermato Cohen - e siamo felici che grazie a Tunewiki molte persone possano fruire della buona musica”.
di Michael Calimani
(F0nte: Moked )
File sharing
Su Agorà digitale si può sottoscrivere una lettera aperta al Ministro Maroni per legalizzare gli usi non commerciali del file sharing.
mercoledì 14 aprile 2010
Facebook: prima sentenza italiana
Sul sito Consulente Legale Informatico si può leggere il testo della prima sentenza italiana che riguarda una condanna al risarcimento danni per ingiuria su Facebook.
Un uomo è stato condannato per aver inviato un messaggio offensivo ad una donna tramite Facebook. Nel messaggio si derideva un difetto fisico della vittima e non solo, si facevano chiari riferimenti, e si palesavano anche, i gusti sessuali di quest'ultima, per questo il Tribunale di Monza ha ritenuto che vi fosse un' evidente lesione di diritti e valori costituzionalmente garantiti e cioè la reputazione, l'onore e il decoro della vittima.
La lettura integrale della sentenza risulta interessante, in quanto, viene descritto in maniera dettagliata il social network ed il suo funzionamento.
Segnalo un passaggio a mio avviso particolarmente felice:
"In definitiva, coloro che decidono di diventare utenti di “Facebook” sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono : rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto."
lunedì 12 aprile 2010
Ridicola successione di dichiarazioni e di smentite
“La più bieca propaganda antisemita”, così il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, definisce le presunte dichiarazioni del Vescovo Emerito di Grosseto monsignor Babini. “Stiamo assistendo a una ridicola successione di dichiarazioni e di successive smentite che non è più tollerabile. Si rischia di perdere la pazienza”, ha affermato dal canto suo il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici. Ma Gattegna ha voluto anche sottolineare e ricordare che tali affermazioni “non sono in linea con le tradizionali posizioni della chiesa cattolica di rispetto e amicizia con il popolo ebraico”. “Nel prendere atto della successiva smentita, le Comunità ebraiche si augurano - spiega ancora Gattegna - che le gerarchie ecclesiastiche e gli organismi rappresentativi dell’episcopato italiano vogliano fare chiarezza sull’episodio, sulla confusione mediatica che ne è derivata e sulle eventuali responsabilità”. Di dichiarazioni “gravi, insulse e offensive dell’intelligenza umana” ha invece parlato il Consigliere Ucei Gadi Polacco definendo l’accaduto “uno scivolone concettuale e di pessimo gusto che cade neanche a farlo apposta, alla vigilia delle celebrazioni del Giorno della Shoà”. “Appare però in giornata la smentita di Babini - dice ancora il Consigliere - alla quale segue invece la conferma del sito Pontifex che dichiara di avere anche i nastri delle dichiarazioni e a questo punto - invita a riflettere Polacco - chi è che complotta veramente?”. “Se lo scopo è quello di distrarre l’opinione pubblica dalle responsabilità di alcuni e isolati casi di presunta pedofilia, cavalcando gli stereotipi più retrivi dell’antisemitismo cattolico preconciliare - ha spiegato invece Pacifici - auspichiamo oggi più che mai lo spirito che ha accompagnato, con forte emozione, la visita di Benedetto XVI in sinagoga. Una visita che riteniamo utile alla società civile tutta nello spirito del dialogo e del confronto fra ‘fratelli’”. Il presidente della Comunità Ebraica romana ha poi ringraziato il portavoce della sala stampa vaticana, padre Lombardi, per “lo sforzo profuso in queste settimane nel ricucire questi constanti strappi e che ci fa guardare al futuro con ottimismo. Ci appelliamo però ai vescovi italiani tutti a una presa di posizione inequivocabile che chiarisca quale è il loro pensiero e la loro considerazione del mondo ebraico al di là della tormentosa e complicata vicenda che sta vivendo il vaticano a causa delle accuse di queste settimane”.
(Fonte: Moked.it)
(Fonte: Moked.it)
mercoledì 7 aprile 2010
YEMEN: CONDANNATO A MORTE PER 'CONTATTI' CON ISRAELE
Al termine di un processo iniziato lo scorso 10 gennaio, una corte d'appello dello Yemen ha confermato la condanna a morte inflitta ad un uomo per "contatti con un Paese nemico", per aver comunicato via internet con l'ex premier di Israele Ehud Olmert.
Secondo l'accusa, Bassam al-Haidari, detto Abu Ghait, condannato a morte in primo grado nel marzo 2009, "ha preso l'iniziativa di inviare una email al primo ministro dell'entità sionista in cui ha scritto: 'Noi siamo l'Organizzazione della Jihad islamica, voi siete ebrei. Ma voi siete onesti e noi siamo disposti a tutto'". Nella risposta ricevuta da Olmert, dice l'atto di accusa, era scritto: "Siamo pronti a sostenervi".
I contatti risalirebbero al periodo compreso tra maggio e settembre 2008.
Il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh parlò del caso nell’ottobre 2008, affermando che era stata smantellata una "cellula terroristica" legata, secondo lui, ai servizi segreti israeliani. Israele ha sempre definito le accuse "assolutamente ridicole".
La corte d'appello ha inoltre confermato la pena di tre anni di carcere al primo dei due "complici" di Abu Ghait, Abdalla al-Mahfal, e ridotto da cinque a tre anni quella del secondo, Imad al-Rimi.
(Fonte: Nessuno tocchi Caino)
Carcere: Lecce, muore detenuto di 71 anni, già 50 decessi da inizio anno
di A cura di “Ristretti Orizzonti”
Con la morte di Emanuele Carbone salgono a 50 i detenuti morti in 3 mesi nelle carceri italiane, di cui 15 per suicidio (l’ultimo in ordine di tempo a Reggio Emilia domenica scorsa, vittima un detenuto italiano di 47 anni). Lo scorso anno i decessi furono ben 175 (massimo storico), dei quali 72 per suicidio.
Si tratta del secondo decesso in meno di 2 mesi nel carcere di Lecce: il 13 febbraio scorso è morto Giuseppe Nardella, di 45 anni (per quell’episodio due medici in attività presso il carcere sono iscritti nel registro degli indagati, accusati di omicidio colposo, perché si suppone che possa esservi stato un ritardo nel ricovero).
Emanuele Carbone, 71enne originario di Castellana Grotte (Lecce), era detenuto presso il carcere "Borgo San Nicola" di Lecce. Ieri sera, un malore improvviso, poi il decesso. Cause da accertare: il pm dispone l’autopsia.
Pare che abbia iniziato a tossire con una certa insistenza, le prime avvisaglie del malore in arrivo che di lì a poco l’avrebbe stroncato. Condotto dalla sua cella presso l’infermeria, si è spento a causa di una crisi respiratoria. Il personale sanitario del carcere, probabilmente, ha potuto fare poco. Ma le cause scatenanti del malessere che ha portato al decesso sono ancora tutte da accertate, come da referto medico. S’indaga, dunque, sulla morte di un anziano detenuto originario di Castellana Grotte, spirato la notte scorsa presso il carcere leccese di Borgo San Nicola. Emanuele Carbone aveva 71 anni.
Il referto è giunto presso l’ufficio del pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Lecce, Stefania Mininni, la quale ha disposto l’autopsia per accertare i motivi della morte. L’esame necroscopico sul corpo di Carbone è fissato per domani mattina. La Procura ha incaricato a tale proposito il medico legale Roberto Vaglio.
Con la morte di Emanuele Carbone salgono a 50 i detenuti morti in 3 mesi nelle carceri italiane, di cui 15 per suicidio (l’ultimo in ordine di tempo a Reggio Emilia domenica scorsa, vittima un detenuto italiano di 47 anni). Lo scorso anno i decessi furono ben 175 (massimo storico), dei quali 72 per suicidio.
Si tratta del secondo decesso in meno di 2 mesi nel carcere di Lecce: il 13 febbraio scorso è morto Giuseppe Nardella, di 45 anni (per quell’episodio due medici in attività presso il carcere sono iscritti nel registro degli indagati, accusati di omicidio colposo, perché si suppone che possa esservi stato un ritardo nel ricovero).
Emanuele Carbone, 71enne originario di Castellana Grotte (Lecce), era detenuto presso il carcere "Borgo San Nicola" di Lecce. Ieri sera, un malore improvviso, poi il decesso. Cause da accertare: il pm dispone l’autopsia.
Pare che abbia iniziato a tossire con una certa insistenza, le prime avvisaglie del malore in arrivo che di lì a poco l’avrebbe stroncato. Condotto dalla sua cella presso l’infermeria, si è spento a causa di una crisi respiratoria. Il personale sanitario del carcere, probabilmente, ha potuto fare poco. Ma le cause scatenanti del malessere che ha portato al decesso sono ancora tutte da accertate, come da referto medico. S’indaga, dunque, sulla morte di un anziano detenuto originario di Castellana Grotte, spirato la notte scorsa presso il carcere leccese di Borgo San Nicola. Emanuele Carbone aveva 71 anni.
Il referto è giunto presso l’ufficio del pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Lecce, Stefania Mininni, la quale ha disposto l’autopsia per accertare i motivi della morte. L’esame necroscopico sul corpo di Carbone è fissato per domani mattina. La Procura ha incaricato a tale proposito il medico legale Roberto Vaglio.
martedì 6 aprile 2010
L'Europa dei diritti umani
di Maria Antonietta Farina Coscioni
Con una storica sentenza, la Corte Europea di Strasburgo dichiara incompatibile con la Convenzione dei diritti dell’uomo il divieto assoluto di fecondazione eterologa in vitro. La “Nuova Santa Alleanza” che unisce Vienna a Roma, benedetta dal Vaticano, esce dunque, sconfitta. La Corte di Strasburgo, infatti, riconosce che l’impossibilità totale di ricorrere alla fecondazione eterologa infrange il diritto alla vita familiare e il divieto di discriminazione.
La legge austriaca in materia è del tutto simile a quella che si è voluto imporre anche all’Italia da una maggioranza parlamentare sanfedista e oscurantista. La sentenza di Strasburgo non può non avere, dunque, effetti anche da noi.
La Corte europea riconosce che gli Stati hanno sì un margine di discrezionalità in questa materia ma, nell’adozione della normativa interna, sono tenuti a rispettare la Convenzione europea come interpretata da Strasburgo. I singoli stati non hanno l’obbligo di adottare una legislazione che permetta la fecondazione assistita, ma una volta che questa è consentita devono essere vietati trattamenti discriminatori. Significa che le persone che si trovano in una stessa situazione di infertilità non possono essere trattate diversamente solo in ragione della diversa tecnica di fecondazione utilizzata. Il divieto della fecondazione eterologa non si giustifica se è ammessa quella omologa.
L’Italia, che con la sua legislazione, le sue normative, oggi come in passato, sta esportando la sua “peste” in Europa, per una volta sarà costretta ad accogliere la ventata laica che viene dall’Europa. Mettiamo in conto azioni e atteggiamenti ostruzionistici dei vari Maurizio Sacconi, Eugenia Roccella, Gaetano Quagliariello, Maurizio Gasparri, sempre proni ai diktat d’oltretevere. Confidiamo che anche nello schieramento del centro-destra si sapranno levare e mobilitare voci laiche e rispettose dei diritti di tutti, e che si uniranno a quanti come me, come i radicali lottano per una maternità (davvero), libera, desiderata e responsabile.
Questo è il banco di prova: davvero hic Rhodus, hic salta
Con una storica sentenza, la Corte Europea di Strasburgo dichiara incompatibile con la Convenzione dei diritti dell’uomo il divieto assoluto di fecondazione eterologa in vitro. La “Nuova Santa Alleanza” che unisce Vienna a Roma, benedetta dal Vaticano, esce dunque, sconfitta. La Corte di Strasburgo, infatti, riconosce che l’impossibilità totale di ricorrere alla fecondazione eterologa infrange il diritto alla vita familiare e il divieto di discriminazione.
La legge austriaca in materia è del tutto simile a quella che si è voluto imporre anche all’Italia da una maggioranza parlamentare sanfedista e oscurantista. La sentenza di Strasburgo non può non avere, dunque, effetti anche da noi.
La Corte europea riconosce che gli Stati hanno sì un margine di discrezionalità in questa materia ma, nell’adozione della normativa interna, sono tenuti a rispettare la Convenzione europea come interpretata da Strasburgo. I singoli stati non hanno l’obbligo di adottare una legislazione che permetta la fecondazione assistita, ma una volta che questa è consentita devono essere vietati trattamenti discriminatori. Significa che le persone che si trovano in una stessa situazione di infertilità non possono essere trattate diversamente solo in ragione della diversa tecnica di fecondazione utilizzata. Il divieto della fecondazione eterologa non si giustifica se è ammessa quella omologa.
L’Italia, che con la sua legislazione, le sue normative, oggi come in passato, sta esportando la sua “peste” in Europa, per una volta sarà costretta ad accogliere la ventata laica che viene dall’Europa. Mettiamo in conto azioni e atteggiamenti ostruzionistici dei vari Maurizio Sacconi, Eugenia Roccella, Gaetano Quagliariello, Maurizio Gasparri, sempre proni ai diktat d’oltretevere. Confidiamo che anche nello schieramento del centro-destra si sapranno levare e mobilitare voci laiche e rispettose dei diritti di tutti, e che si uniranno a quanti come me, come i radicali lottano per una maternità (davvero), libera, desiderata e responsabile.
Questo è il banco di prova: davvero hic Rhodus, hic salta
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