martedì 27 gennaio 2009

Auschwitz, 64 anni dopo


Auschwitz, "Un indicibile incomprensibile" - La risposta di Paul Celan e di Theodor Adorno


Come si può mai comprendere Auschwitz? Come si può presumere di comprendere il male radicale? Questa domanda, in forma più o meno esplicita circola nella politica, nell’arte, nella psicologia, nella storia, nella filosofia. Già nell’immediato dopoguerra il filosofo ebreo tedesco Theodor W. Adorno prescrisse ai poeti il silenzio: nessuna poesia avrebbe mai potuto né dovuto osare dire l’indicibile. Da allora questa posizione si è andata – malgrado tutto – affermando. Ad esempio nell’arte: la difficoltà di rappresentare l’irrappresentabile emerge in quei monumenti non-monumenti costruiti negli ultimi anni nelle città europee e americane. Basterà ricordare il Memoriale di Berlino. Analoghe precauzioni attraversano altri ambiti, tra cui in particolare quello della filosofia dove vengono sottolineati i pericoli che deriverebbero da ogni tentativo di comprendere o anche solo di frequentare il male radicale nel suo infinito potere inglobante. Ma trincerarsi dietro la difficoltà di dire e di comprendere comporta pericoli non minori. Dal non dire al negare il passo è breve – e nella storia si è giunti perfino a negare i fatti. Il male sarebbe un nulla, fuori da ciò che si può dire e che si può comprendere. Questo negare è un modo di prendere parte all’impresa dello sterminio: il male ha voluto non solo la cancellazione delle coscienze e la morte dei corpi, ma la negazione totale della comprensione.Perché allora concedere ad Auschwitz il privilegio della mistica e adorarlo in silenzio? Perché confinarlo nel dominio del mistero, di ciò che è inesplicabile? Sono queste domande che hanno spinto Paul Celan a raccogliere il rantolo che minacciava di spegnersi, a lanciare la “anti-parola” della sua poesia contro ogni tentativo di fare di Auschwitz un indicibile incomprensibile, di dissolverlo nel nulla, di annientarlo ancora.


Donatella Di Cesare, filosofa

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