martedì 21 luglio 2009

LA VERITA' NON SI UCCIDE


Anna e Natalja più forti della ferocia (e della nostra indifferenza)

Scritto da André Glucksmann

Sapete tutto. Da molto tempo. Non c’è alcun mistero. Natalja Estemirova è stata eliminata perché combatteva la menzogna e il silenzio di Stato, perché parlava troppo, perché faceva inchieste troppo precise, perché metteva in causa i mandanti dei crimini quotidiani in Cecenia, il dittatore Kadyrov, i servizi segreti dell’esercito russo, le diverse mafie lanciate a briglia sciolta, e i loro padroni al Cremlino.
I rapimenti extragiudiziali eseguiti da uomini incappucciati, le case dei civili incendiate per «punizione », talvolta con gli abitanti bloccati apposta all’interno, i cittadini presi in ostaggio che i servizi pubblici restituiscono vivi o fatti a pezzi in cambio di dollari, le donne violentate davanti al marito. Sapete tutto. Nulla di nuovo nel martirio ceceno, dalla prima guerra scatenata da Mosca nel 1994. Nulla di nuovo, salvo che la vittoria russa è stata ufficialmente dichiarata, che la pace putiniana regna e il terrore continua.

Niente di nuovo. Davanti al cadavere di Natalja Estemirova, trovo disperatamente le stesse parole e gli stessi pensieri, le stesse emozioni e le stesse lacrime di quando morì la mia amica Anna Politkovskaja. Anna mi aveva presentato la sua amica Natalja chiedendomi di appoggiarla affinché ottenesse il premio Sakharov (ricevette la medaglia Schumann). Si conoscevano dalla prima guerra, tutte e due partirono intrepide alla ricerca della verità su un massacro di lunga durata, che ha fatto sparire un civile su cinque. Tutte e due, Cassandre dei nostri tempi, predicavano nel deserto, prevedendo che il caos si sarebbe esteso al Caucaso (come è successo) e che i regolamenti di conti mafiosi e ufficiali avrebbero raggiunto la Russia (come è successo). La Cecenia? Un pulviscolo d’impero, ma un caso esemplare per l’umanità: un milione di abitanti prima della guerra, 200 mila morti, 40 mila bambini uccisi (e quanti orfani?), una capitale rasa al suolo, città e villaggi ridotti in cenere. E dopo? La paura e la corruzione per educare il popolo, riducendolo al silenzio. E non solo il popolo ceceno, ma quello russo e se possibile noi, tranquilli cittadini delle nazioni democratiche. Le facciate nuove fiammanti degli edifici ricostruiti a Grozny mentono.

Niente di nuovo sul fronte occidentale; nell’Europa pacifica e ancora prospera, ci si abitua. A Est, gli omicidi si susseguono, si assomigliano e suscitano in noi indignazioni ben presto dimenticate. Certo non ci mettiamo a far la guerra — fosse pure una guerra fredda — alla grande Russia, dunque ritorniamo subito al business as usual . Questo comportamento elusivo provoca da tempo l’ilarità della coppia dirigente al Cremlino, che mette pubblicamente in ridicolo i rappresentanti occidentali e suscita l’ironia desolata dei dissidenti. Serguei Kovaliev, l’amico di Sakharov, si chiede: a che servono i diplomatici se l’unica alternativa è la guerra o una definitiva compiacenza nei confronti del dispotismo? A che servono i ministri degli Esteri se non sono in grado di prevedere pressioni capaci di civilizzare un po’ gli inquietanti vicini alle nostre frontiere? Eppure, qualcosa di nuovo c’è. Dopo l’assassinio ancora non chiarito di Anna Politkovskaja, Ramzan Kadyrov, il Presidente ceceno protetto da Putin e sospettato di esserne il mandante, fece erigere a Grozny una stele di marmo in onore dei giornalisti e dei combattenti per i diritti dell’uomo «assassinati per la loro libertà di parola».

No, non state sognando. Dopo l’omicidio di Natalja Estemirova, Kadyrov ha reso pubblica la propria indignazione e ha deciso di guidare un’inchiesta per castigare i colpevoli. Medvedev ha fatto lo stesso. Il colmo di questa farsa e di questa presa in giro è stato raggiunto a Berlino: Angela Merkel ha preteso un’inchiesta, Medvedev ne ha garantita un’altra, poi i due si sono abbracciati promettendosi un’indefettibile amicizia industriale. Un bel festival di contratti mirabolanti, soltanto due giorni dopo la scoperta di Natalja, trovata con due pallottole nella nuca sul ciglio di un’autostrada. Sì, Kadyrov sa punire, si dice che ne provi anche piacere. Punire chi? Il suo primo «atto di giustizia» la dice lunga: sporge denuncia contro Oleg Orlov, fondatore di «Memorial» con Sakharov e compagno di lotta di Natalja Estemirova. Sì, Medvedev, il clone «gentile» di Putin, avvierà un’inchiesta per lusingare il mondo intero. Ha ritrovato gli assassini di Anna? Quelli di Markelov e della Baburova? Quelli di una moltitudine di anonimi? Ha consegnato alla Gran Bretagna l’assassino di Litvinenko? No! Egli siede alla Duma e sbeffeggia il mondo in tv. Giura che farà il possibile, proprio lui che ha appena promosso la caccia agli «antipatrioti», cioè coloro che si permettono di studiare i crimini commessi da Stalin prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Orwell ha scoperto la moderna Neolingua: «La guerra è pace. La Schiavitù è libertà». Considerava questi paradossi come una caratteristica della propaganda totalitaria. Strano progresso: le democrazie fanno ormai di tutto per non rimanere indietro nel campo dell’ipocrisia.

Il 17 luglio, una camionetta gialla ha trasportato il corpo di Natalja, circondata dagli amici, i migliori, i più coraggiosi e i più audaci di Grozny. Ha risalito lentamente il viale Putin, i «Campi Elisi» della capitale ricostruiti e battezzati con il nome del suo carnefice. Questo «viale Putin», Natalja non lo imboccò mai da viva, rifiutando l’ingiuria civica fatta al suo popolo decimato e costretto a bere la schiavitù fino alla feccia. A Mosca, nel rendere onore a Natalja, nuova martire della verità, accanto agli spiriti liberi di «Memorial», c’era l’infaticabile Liudmila Alexeevna, 82 anni, personaggio importante della dissidenza antisovietica. A Parigi, durante una breve cerimonia alla fontana di Saint Michel, ho stretto fra le mie braccia Natalja Gorbanevskaïa. Nell’agosto del ’68, questa poetessa manifestò sulla Piazza Rossa, con il neonato in braccio, contro i carri armati russi che schiacciavano Praga insorta. Fu così che si meritò il manicomio.

Incrollabili donne piene d’ardore, siete più determinate della ferocia che avete di fronte, più forti delle nostre indifferenze. Voi salvate la fierezza dei popoli caucasici, la dignità della cultura russa che sempre fu una cultura di resistenza, e se la nostra umanità trova un volto, è il vostro. Anna e Natalja, grazie.

traduzione di Daniela Maggioni
Da: corriere.it

lunedì 20 luglio 2009

IL CORAGGIO DELLA VERITA'


Ecco un estratto, uscito oggi sull'Unità, di un articolo di Natalya Estemirova scritto nell’agosto del 2008 e pubblicato venerdì scorso da The Independent.

Nessuno osa contraddire Kadyrov. Come fosse Stalin

I sequestri di persona in Cecenia sono iniziati dieci anni fa. Nel 2000 le forze russe hanno assunto il controllo di quasi tutta la repubblica e hanno avviato una massiccia operazione di rastrellamento nei villaggi. Ci sono stati migliaia di omicidi e di rapimenti, operazioni spacciate come un metodo efficiente per combattere i ribelli locali. In realtà i soldati e gli agenti di polizia hanno saccheggiato le case di civili inermi, spesso rubando tutto quello che trovavano, dalle auto alle bottigliette di shampoo alla biancheria intima femminile. Ma la cosa che più fa orrore è il fatto che le donne sono state violentate dinanzi ai loro compagni e tutti gli uomini, dagli adolescenti ai vecchi, sono stati arrestati, picchiati selvaggiamente, rilasciati dietro il pagamento di un riscatto o sono scomparsi per sempre.
I rastrellamenti su vasta scala sono cessati nel 2003, non sono cessati i sequestri. Speso una o due persone venivano sequestrate nella loro abitazione nella notte. Alcuni hanno avuto la fortuna di tornare a casa più morti che vivi dopo giorni o settimane di percosse e torture e dietro il pagamento di un riscatto. Ma se la famiglia del rapito non era in grado di trovare la somma richiesta o un mediatore, qualche tempo dopo il rapimento si trovava il cadavere del sequestrato o semplicemente la vittima spariva nel nulla. In qualche caso i rapiti sono ricomparsi in tribunale e sono stati condannati per gravi reati sebbene gridassero la loro innocenza e dicessero che avevano confessato sotto tortura.
Quando nel 2007 Ramzan Kadyrov è diventato presidente della Cecenia molte cose sembravano destinate a cambiare. È iniziata la ricostruzione, Grozny è cambiata, le strade sono state riasfaltate e sulle facciate delle case, ridipinte sono ricomparse le finestre. Gli osservatori hanno cominciato a lodare il nuovo e giovane presidente. Dall’interno le case ristrutturate non apparivano così belle: nulla è stato fatto né erano garantite le pubbliche utenze. Da allora Kadyrov ha tentato di introdurre un drastico mutamento di idee. Il presidente porta avanti la sua campagna per il «ritorno alle tradizioni spirituali»…. e invita le donne e le ragazze a «vestire in maniera acconcia» e, soprattutto, a portare il fazzoletto sul capo in pubblico.
Kadyrov invita le celebrità della musica pop russa in Cecenia e offre loro lussuosi regali. Nessuno osa chiedere chi sponsorizza queste visite e in che modo sarebbero intonate alla «tradizione» cecena. Nessuno osa contraddire Kadyrov così come nessuno osava opporsi a quanto diceva o faceva Stalin in Unione Sovietica. La pace e i successi contro il terrorismo vengono continuamente sbandierati e pubblicizzati. In realtà i ribelli attaccano frequentemente i poliziotti, le numerose articolazioni delle strutture militari entrano continuamente in conflitto e i rapimenti continuano. La principale differenza è che ora molti spariscono per qualche giorno e poi tornano a casa percossi e terrorizzati, dunque indotti al silenzio.
Gli osservatori politici sostengono che Kadyrov governa la Cecenia in modo autonomi d alla Russia. È davvero così? Decine di migliaia di ceceni che languono nelle carceri russe non sarebbero d’accordo. Né lo sarebbero le centinaia di migliaia di vittime di guerra, i parenti dei morti e degli scomparsi. Non diminuisce il flusso di rifugiati ceceni verso l’Europa. Al contrario, aumentano quelli che se ne vogliono andare. In un piccolo territorio europeo si va consolidando una dittatura.
I politici dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite paragonano la situazione a quella del 2000 e si concentrano sugli innegabili miglioramenti. Ma qual è stata la ragione che ha indotto a distruggere città e villaggi, ad uccidere centinaia di migliaia di civili e… ad introdurre il terrore di Stato per «combattere contro il terrorismo»? Non si è voluto forse schiacciare la società civile ed indurla ad una scelta artificiale tra democrazia e stabilità? Il Cremlino è soddisfatto della repressione e dell’impossibilità della Cecenia di agire e di pensare in maniera autonoma.

© The Independent
Traduzione di C. A. Biscotto

SOGNANDO IN DIGITALE


Oggi su Global Voices possiamo trovare un'interessante e stimolante resoconto sul fenomeno dell'arte e animazione digitale nel continente africano. Creatività, fantasia, magia, sensazioni inusuali come nel video di Jepchumba oppure come quelle che mi prendono osservando le splendide immagini di Jim Chuchu

Sight of Sound from Jepchumba on Vimeo.


ed ancora Just a Band

VIOLENZA


Sono 230 le condanne a morte emesse in Egitto nei primi sei mesi di quest’anno, per lo più legate a crimini violenti. La notizia è comparsa sul quotidiano indipendente Al- Dustour, secondo cui sono 50 le condanne capitali emesse nella sola ultima settimana.
Per Azza Quraim, docente di scienze sociali presso il Centro Nazionale Ricerche Sociali e Criminali, con sede al Cairo, “il numero delle condanne a morte comminate dalla magistratura nelle ultime settimane è senza precedenti”.
“Questo numero è talmente elevato – ha detto Alaa Eddin Al-Kifafi, docente di psicologia all’Università del Cairo - da lasciare poco tempo al Grand Mufti per dedicarsi alle altre sue responsabilità”.
Osservatori locali attribuiscono almeno in parte l’aumento delle condanne ad un incremento nella società egiziana di crimini violenti.
“La violenza estrema, finora sostanzialmente sconosciuta alla nostra società, sembra essere diventata un comportamento diffuso ed è legata almeno in parte alla difficile situazione economica del Paese”, ha detto Quraim.
“Per il cittadino medio le opportunità di lavoro non sono mai state così scarse, provocandogli un senso di disperazione”, ha osservato la Al-Kifafi. “Dal punto di vista psicologico, il link tra senso di disperazione e comportamento violento è ben noto e documentato”.
“L’ondata recente di condanne a morte sembra essere un tentativo da parte dello Stato di prevenire azioni criminose”, ha aggiunto Al-Kifafi, secondo cui l’inefficienza del sistema giudiziario spinge i cittadini a farsi giustizia da soli.
Per Quraim, il frettoloso ricorso da parte delle autorità alla pena capitale rappresenta un approccio distorto al problema, oltre che socialmente distruttivo, e costituisce “una specie di omicidio di massa”.
“Emettendo condanne capitali, le autorità hanno cominciato ad esercitare violenza contro la società”.

(Fonte: Nessuno tocchi Caino)

domenica 19 luglio 2009

AUTOCENSURA

Secondo un dossier elaborato dal Servizio giovani della Provincia di Bolzano, in Alto Adige - nella zona di Naturno, vicino Merano - alcuni ragazzi starebbero tentando di organizzare una cellula della Hitlerjugend. I dati riportati in quel dossier dicono che in un paese di poco meno 5 mila abitanti, circa 70 adolescenti – tra i 14 e 19 anni - farebbero parte di quell’organizzazione. Una percentuale non trascurabile, per un fenomeno comunque non trascurabile. La notizia è dell’11 luglio e la prima fonte di diffusione è “RTT La radio di Trento” che ne parla il 12 luglio. La notizia non è ripresa da nessuno e giunge sulle pagine del Corriere della Sera di ieri. In breve una informazione dettagliata in un Paese in cui la libertà di stampa esiste, almeno così tutti dicono, a diffondersi e a diventare di dominio pubblico ci mette un tempo smisuratamente più lungo che non le immagini clandestine da Teheran. Se ne deduce quanto segue: a) i telefonini funzionano a Teheran, qui siamo tecnologicamente più arretrati; b) siamo d’estate, Naturno è un luogo d’attrazione turistica e dunque perché rovinare la festa? Insomma la trama del film “Lo Squalo 1”; c) a differenza dei fotografi, il giornalismo di inchiesta, su carta e televisivo, è agonizzante. Mi fermo qui. In ogni caso è rilevante che nessun altro – eccetto il Corriere della Sera – abbia avuto la curiosità (in tempi diversi avremmo addirittura parlato di “senso civico”), di studiare quel fenomeno, magari spendendoci anche dei soldi, perché mandare qualcuno in un posto costa. Forse abbiamo un problema di qualità dell’informazione. O quello è solo uno dei tanti problemi che questo silenzio denuncia?

David Bidussa,
storico sociale delle idee

sabato 18 luglio 2009

NATALIA ESTEMIROVA


Lottava per la difesa dei diritti umani, indagava e denunciava i crimini di guerra, i sequestri e le torture avvenuti in Cecenia. Hanno trovato il suo corpo in una boscaglia vicina a Nazran, assassinata da quel potere corrotto e criminale che a tutt'oggi tiraneggia incontrastato in Cecenia. Un ricordo da Reporters sans frontieres.

mercoledì 15 luglio 2009

TRANQUILLITA'

Mentre in Giappone il Ministero della salute ci informa che nella prefettura di Osaka è stato registrato un caso in cui il virus è riuscito a resistere all’azione del tamiflu, cosa per altro successa pure in Danimarca qualche giorno fa, nel Mondo Arabo oltre che caldo il clima risulta un tantino isterico ne da conto Global Voices. Intanto nel Bel Paese si ode la seguente dichiarazione:
“La situazione è sotto controllo”.
Parola del ministro per il Welfare Maurizio Sacconi.

lunedì 13 luglio 2009

A PORTE CHIUSE


Nel quasi generale disinteresse della stampa italiana, si è concluso a Parigi il processo contro gli assassini di Ilan Halimi, con l'ergastolo al loro capo e pene decrescenti, fino a sei mesi, per gli altri 26 torturatori. Un verdetto, questo, verso i complici di Fofana, che il mondo ebraico francese contesta indignato come troppo mite. Il Presidente del Consiglio delle istituzioni ebraiche, Richard Prasquier, pone seri dubbi sulle motivazioni che hanno portato a tale indulgenza e soprattutto sul fatto che il processo si sia svolto a porte chiuse, impedendo all'opinione pubblica di giudicare le intenzioni degli assassini. E' stato un omicidio antisemita? La povertà delle banlieues può essere un'attenuante a un omicidio così feroce? Si può considerare motivato da ragioni diverse dall'antisemitismo l'omicidio di una persona scelta solo perché ebreo? Credo che siano domande che riguardano tutti noi, ebrei e non ebrei, e non solo il mondo ebraico francese e la famiglia del ragazzo assassinato.

Anna Foa, storica

domenica 12 luglio 2009

COME UN UOMO SULLA TERRA

Come un uomo sulla terra”, un film realizzato da Andrea Segre, Dagmawi Yimer e Riccardo Biadene, è un buon viatico per chiudere il libro dei sogni ed aprire quello della realtà, dopo le molte parole dette sull’Africa al G8 de l’Aquila.“Come un uomo sulla terra” è un film sul “viaggio all’inferno” che uomini e donne provano prima di arrivare a Lampedusa. Un viaggio che quelle genti conoscono sul loro corpo lungo l’attraversamento della Libia, da Bengasi a Al- Kufra, un tragitto che percorrono molte volte avanti e indietro.Un viaggio in cui i loro corpi sono oggetto di mercato tra poliziotti e trafficanti; in cui uomini e donne subiscono violenze e stupri, ripetutamente, sia da parte dei poliziotti, dentro le strutture di detenzione dello Stato libico, che da parte dei trafficanti sui camion e nei container durante gli spostamenti. Un viaggio a cui sopravvivono solo il 10 per cento di quegli uomini e donne (sono quelli che noi vediamo arrivare a Lampedusa), perché il restante 90 “si perde” lungo la strada. L’Africa non è un cosmo indistinto, ma è fatto di molte realtà, complicate. Un luogo dove tutti gli attori sono presenti: accanto alle vittime e ai carnefici tutta la vasta gamma della “zona grigia”. Un continente in cui il primo paese a cui chiedere conto è proprio la Libia, il cui presidente, Muammar Gheddafi, è anche presidente dell’Unione Africana e che in questa veste viene ricevuto – così anche a L’Aquila - come un esattore di torti subiti, mentre è un produttore di nuovi abusi."Come un uomo sulla terra", è andato in onda giovedì scorso – 9 luglio – su Raitre alle ore 00.15. Un’ora di ascolto “per pochi intimi”, tanto da rischiare di apparire una "predica ai convertiti". Tuttavia, nel clima di piaggeria e di inconsistenza che caratterizza gran parte dell’informazione televisiva, quella proiezione testimoniava di un atto di coraggio. Rispetto alle melensaggini delle cose dette sull’Africa nei giorni scorsi forse voleva comunicare un gesto di rottura. Chi se n’è accorto, a parte i soliti sonnambuli del giovedì sera? Soprattutto ci sarà qualcuno che sia disposto a trasmetterlo di nuovo in prima serata?

David Bidussa, storico sociale delle idee

venerdì 10 luglio 2009

GIUSTIZIA PER ILAN HALIMI


Domani, sabato 11 luglio, sarà emanata in Francia la sentenza al processo per l'assassinio di Ilan Halimi. Ricordate, vero? il giovane ebreo francese rapito, torturato e assassinato perché ebreo, nel 2006, da una banda di giovani immigrati nordafricani. Ci auguriamo che non soltanto i suoi assassini siano condannati con il massimo rigore, ma che sia riconosciuto senza infingimenti il movente antisemita che è stato alla base dell'omicidio. Su Il Corriere di ieri, Bernard-Henry Lévy ci ricordava che nei dibattiti dei media francesi su questo episodio molte voci si sono levate a minimizzare il movente antisemita dell'omicidio, a sottolineare la miseria dei suoi assassini, il fatto che per loro Ilan era, per il solo fatto di essere ebreo, ricco. Un movente di classe, quindi, non di razza! Se mai, negli ultimi anni, c'è stato un omicidio causato dall'antisemitismo, è stato questo. Né la povertà né l'ignoranza dei suoi assassini possono modificare questa realtà. E riconoscerla attraverso una sentenza giudiziaria può contribuire, se non a sanare l'enorme ferita aperta, ad impedire che se ne aprano altre.

Anna Foa, storica

mercoledì 8 luglio 2009

Pericolose influenze


L'undici giugno scorso l'OMS, per bocca della dottoressa Margaret Chan, ha dichiarato lo stato di allerta 6 per la pandemia di influenza, così detta, suina.
Cosa è successo da allora? Difficile dare una qualche risposta vista la scarsità di notizie che circolano.
Non in Paraguay, leggi su Global Voices.

lunedì 6 luglio 2009

Represse manifestazioni degli uiguri nello Xinjiang: 156 morti 816 feriti





Da Urumqi, la capitale della regione più occidentale del Xinjiang nel Repubblica Popolare Cinese giungono notizie di manifestazioni di piazza represse con violenza.

Il corteo era stato organizzato per chiedere un'indagine ufficiale sulla morte di due operai, avvenuta dopo una rissa scoppiata in una fabbrica tra uiguri e cinesi.

Gli uiguri, che sono di fede musulmana, costituiscono l'etnia maggioritaria di questa regione del nord ovest della Cina, che è fortemente temuta da Pechino per le sue velleità indipendentiste.

Il punto da una nota dell'UNPO Unrepresented Nations and Peoples Organization:

Lunedi’ 6 luglio 2009, circa 140 persone sono state uccise e 816 ferite nella capitale regionale quando coloro che stavano protestando si sono scontrati con la polizia dopo giorni di tensione tra Muslim Uyghurs e Han Chinese. Quest’ultima manifestazione, frutto di una crescente discriminazione in Cina, e’ stato il piu’ sanguinoso scoppio di violenza in Cina in molti anni. Il crescente livello di razzismo, frutto di una politica etica, del lavoro e religiosa, seminata in questi ultimi 50 anni, rinforza la paura dell’UNPO per i benestanti Uyghurs nel Turkistan dell’est.

Perduca, paesi EU convochino ambasciatori Pechino

La documentazione

Riceviamo dall’UNPO e pubblichiamo il messaggio di Alim Seytoffm, Vice Presidente dell’ Uyghur American Association:

Caro amico,

il primo video mostra una protesta pacifica. Nel secondo vedi qualcosa che brucia e puoi anche sentire degli spari. Nel terzo video puoi vedere un’altra protesta pacifica ma puoi anche notare che la polizia e’ ovunque.

Di seguito vedrai alcune foto allegate nella quali ci sono quattro tipi di forze armate appartenenti ai corpi della polizia. Esse sono: Polizia regolare, polizia anti-sommossa, forze speciali della polizia e la PAP (People Armed Police; puo’ essere tradotto come: polizia della gente armata).

Puoi vedere anche dei veicoli armati utilizzati sia dalla polizia che dalle forze della PAP. Potrai vedere anche delle persone che molto probabilmente sono state uccise e alcune ferite in un ospedale.

Ti ringrazio per l’interesse a questo tragico evento. Per favore fai in modo che queste informazioni si propaghino.




Le testimonianze degli stranieri
(da Apcom) L’atmosfera era “molto tesa”, ha raccontato all’Afp un visitatore americano. “Verso le 12,30 (le 17,30 italiane), ho sentito due esplosioni che sembravano spari, a qualche minuto di intervallo”, ha raccontato in condizione di anonimato questo statunitense di 26 anni venuto nella capitale dello Xinjiang per rinnovare il suo visto dopo aver vissuto 18 mesi nella regione. “Ho sentito gli spari e ho visto la polizia cinese arrivare con dei veicoli blindati, due pullman carichi di soldati e due camion dell’esercito”, ha detto l’americano. Lo Xinjiang, ai confini dell’Asia centrale, conta circa 8,3 milioni di uiguri, di cui alcuni gruppi denunciano la repressione politica e religiosa condotta dalla Cina sotto la copertura della lotta contro il terrorismo. Un altro testimone, una donna Han (l’etnia maggioritaria cinese, ndr), ha osservato i moti dall’undicesimo piano dell’ospedale ostetrico di Urumqi. Prima di degenerare, secondo la donna, la manifestazione sembrava una marcia studentesca. “Gli uiguri hanno at accato dei motociclisti a sassate. Se la prendevano solo con gli Han”, ha raccontato all’Afp. “Almeno dieci autobus sono stati incendiati e numerose auto sono state ribaltate. Ho visto molte persone a terra grondanti di sangue”. “Hanno spaccato le vetrine dei negozi e tentato di entrare nell’ospedale. Ma subito è arrivata la polizia anti-sommossa e ha chiuso i cancelli dell’ospedale. Avevamo paura. Ci siamo chiusi a chiave nella stanza”, ha detto. Una turista di 30 anni della provincia del Guangdong, nel sud della Cina, è rimasta nella sua camera di albergo, ieri sera, ma alcuni suoi amici si sono trovati in mezzo alle violenze e hanno avuto molte difficoltà per raggiungere l’hotel a causa delle eccezionali misure di sicurezza disposte nel frattempo.”Pensavo di restare qui ancora del tempo ma a causa delle violenze ho cambiato idea. Sto controllando i voli e tenterò di rientrare il prima possibile”, ha detto ancora la donna che ha aggiunto:”Ho sentito dire che l’aeroporto è affollatissimo, penso che i molti stiano cercando di fuggire dalla città”. Pechino ha attribuito la responsabilità di moti alla dissidenza uigura in esilio e in particolare al Congresso mondiale uiguro di Rebiya Kadeer, arrivato nel marzo 2005 negli Stati Uniti dopo una detenzione in Cina di circa sei anni. (con fonte Afp)

(FONTE: RADIORADICALE.IT)

giovedì 2 luglio 2009

VERSO L'ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE


E’ stata approvata a larghissima maggioranza dall'Assemblea Parlamentare Annuale dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa), in corso a Vilnius in Lituania, la Risoluzione per la Moratoria delle esecuzioni capitali e per l'abolizione della pena di morte, presentata dal Deputato Radicale Matteo Mecacci e sostenuta dalla Delegazione Parlamentare italiana.
La Risoluzione e' stata cosponsorizzata da oltre 30 Parlamentari di 14 paesi (inclusi gli Stati Uniti), ed è stata approvata a larghissima maggioranza con i soli voti contrari di due parlamentari americani e l’astensione della delegazione bielorussa e della Relatrice russa.
Tra i Parlamentari italiani che hanno appoggiato la risoluzione figurano il Presidente della delegazione italiana Riccardo Migliori, i Deputati Emerenzio Barbieri, Claudio D’Amico, Pierluigi Mantini e Guglielmo Picchi, e i Senatori Laura Allegrini e Andrea Marcucci.
A questo proposito il Primo firmatario della Risoluzione, il Deputato Radicale Matteo Mecacci, ha dichiarato:
“Ritengo che questa sia una giornata importante nel lungo cammino verso l’eliminazione della pena di morte portato avanti dal Partito Radicale e da Nessuno tocchi Caino da oltre 15 anni, con il sostegno del Parlamento Italiano. Dopo l’Approvazione da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU nel 2007, oggi l’Italia segna un nuovo successo internazionale che spinge gli ultimi due paesi che applicano la pena di morte all’interno dell‘area OSCE (Stati Uniti e Bielorussia) verso la moratoria delle esecuzioni capitali.
Voglio sottolineare, in particolare, che tre Parlamentari della delegazione americana si sono espressi a favore della risoluzione: il Repubblicano Chris Smith, il Senatore Democratico Ben Cardin e la Democratica Gwen Moore. Si tratta di un importante segnale da parte dei legislatori americani che va incoraggiato e sostenuto e che sicuramente riflette l’emergere di una maggiore attenzione e sensibilita’ sui temi dei diritti umani da parte dell’Amministrazione Obama”.

Di seguito il testo della risoluzione:

RISOLUZIONE SULLA MORATORIA DELLA PENA DI MORTE E VERSO LA SUA ABOLIZIONE
approvata dalla Commissione Diritti umani dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE
Vilnius, 1 luglio 2009

• Richiamando la Risoluzione sull’abolizione della pena di morte adottata a Parigi durante la Decima Sessione Annuale, a luglio del 2001;
• Richiamando la Risoluzione sui prigionieri detenuti dagli Stati Uniti nella base di Guantanamo, adottata a Rotterdam durante la dodicesima Sessione, a luglio del 2003, che, “sottolineando l’importanza della difesa dei diritti democratici, anche in presenza di terrorismo e altri metodi antidemocratici”, ha esortato gli Stati Uniti ad “astenersi dal ricorso alla pena di morte”;
• Richiamando la Risoluzione sul rafforzamento di un efficace controllo parlamentare sugli organi di sicurezza e sui servizi segreti, adottata a Bruxelles durante la Quindicesima Sessione Annuale, a luglio del 2006, che ha espresso preoccupazione per “alcune pratiche che violano le libertà e i diritti umani più fondamentali e contravvengono ai trattati internazionali sui diritti umani, che costituiscono la pietra miliare della tutela dei diritti umani dopo la fine della seconda guerra mondiale, come” tra l’altro “l’estradizione verso paesi dove è probabile che venga applicata la pena di morte o si ricorra alla tortura o a maltrattamenti, e dove sono praticate la reclusione e le persecuzioni in ragione di attività politiche o religiose”;
• Richiamando la Risoluzione sull’attuazione degli impegni OSCE, adottata a Kiev, durante la Sedicesima Sessione Annuale, a luglio del 2007, che “ribadisce il valore della vita umana e richiede l’abolizione della pena di morte negli Stati partecipanti, sostituendola con mezzi più giusti ed umani per esercitare la giustizia”;
• Considerando che, il 18 dicembre 2007, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la storica Risoluzione 62/149, che chiedeva una moratoria mondiale delle esecuzioni capitali nella prospettiva di abolire la pena di morte, con una maggioranza schiacciante di 104 stati membri dell’ONU a favore, 54 contrari e 29 astenuti;
• Considerando che la Risoluzione 63/168 sull’attuazione della risoluzione 62/149 dell’Assemblea Generale del 2007 è stata adottata dell’Assemblea Generale della Nazioni Unite il 18 dicembre 2008 con 106 voti a favore, 46 contrari e 34 astenuti;
• Ricordando l’inserimento della questione della pena capitale nella serie di impegni inerenti la dimensione umana dell’OSCE, con il Documento Conclusivo di Vienna del 1989 e il Documento di Copenaghen del 1990;
• Richiamando il paragrafo 100 della Dichiarazione di San Pietroburgo dell’Assemblea Parlamentare dell’OSCE del 1999 e il paragrafo 119 della Dichiarazione di Bucarest dell’Assemblea Parlamentare dell’OSCE del 2000;
• Considerando che la pena di morte costituisce una punizione inumana e degradante, un atto di tortura inaccettabile per gli stati rispettosi dei diritti umani;
• Considerando che la pena di morte costituisce una punizione discriminatoria e arbitraria e che la sua applicazione non ha un effetto deterrente sui crimini violenti;
• Osservando che, alla luce della fallibilità della giustizia umana, il ricorso alla pena di morte porta inevitabilmente con sé il rischio che vengano giustiziate persone innocenti;
• Richiamando le disposizioni del Protocollo n˚6 alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, che vieta agli Stati membri di applicare la pena di morte;
• Richiamando le disposizioni del Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1989 e il Congresso Mondiale sulla Pena Capitale, tenutosi a Strasburgo nel 2001, nonché il Protocollo Addizionale n˚6 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali teso all’abolizione universale della pena di morte;
• Considerando che, ai sensi dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale del 1998, è esclusa la pena di morte, sebbene rientrino tra le competenze della Corte i crimini contro l’umanità, il genocidio e i crimini di guerra. Ciò è anche vero per il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, per il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, per la Corte Speciale per la Sierra Leone, i Collegi Speciali per i crimini gravi a Dili, Timor Est, e le Camere straordinarie delle Corti cambogiane;
• Osservando che, nell’ottobre del 2008, l’UE e il Consiglio d’Europa in una dichiarazione congiunta hanno istituito la “Giornata europea contro la pena di morte”;
• Ricordando che nel corso delle riunioni dell’OSCE sugli adempimenti della dimensione umana, tenutesi a Varsavia nel 2006, 2007 e 2008, numerose organizzazioni della società civile (fra cui: Nessuno Tocchi Caino, Amnesty International, la Coalizione mondiale contro la pena di morte e la Federazione internazionale di Helsinki per i diritti umani) hanno espresso il loro sostegno alla risoluzione sulla moratoria universale della pena di morte presentata all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite;
• Considerando che 138 stati nel mondo hanno abolito la pena di morte per legge o de facto; 92 dei quali l’hanno abolita per qualsiasi reato, 10 l’hanno mantenuta in vigore solo per crimini eccezionali come quelli commessi in tempo di guerra, e 36 non applicano esecuzioni capitali da almeno 10 anni o si sono impegnati ad attuare la moratoria;
• Accogliendo con favore l’emendamento costituzionale della Georgia per la completa abolizione della pena di morte, firmato il 27 dicembre 2006;
• Accogliendo con favore l’abolizione della pena di morte in Kirghizistan, come stabilito dal nuovo Articolo 14 della Costituzione, approvato il 15 gennaio 2007;
• Accogliendo con favore l’abolizione della pena di morte in Uzbekistan, a partire dall’1 gennaio 2008;
• Considerando che, in alcuni Stati membri dell’OSCE, la pena di morte è prevista dalla legge, ma esiste una moratoria nella Federazione Russa, in Kazakistan e Tajikistan, mentre in Lettonia è prevista solo in tempo di guerra;
• Osservando che un emendamento del 21 maggio 2007 alla Costituzione della Repubblica del Kazakistan ha abolito la pena di morte in tutti i casi, fatta eccezione per gli atti di terrorismo che causano la perdita di vite umane e per crimini particolarmente gravi commessi in tempo di guerra;
• Osservando che, all’interno dell’OSCE, solo 2 Stati membri su 56 continuano comunque ad applicare la pena di morte;
• Profondamente preoccupati del fatto che in Bielorussia e negli Stati Uniti d’America sono ancora comminate condanne a morte ed eseguite esecuzioni capitali;
• Osservando che, secondo il rapporto pubblicato da Amnesty International nel marzo 2009, “Ending executions in Europe – Towards abolition of the death penalty in Belarus”, in Bielorussia “ci sono prove concrete che la tortura ed i maltrattamenti vengano usati per strappare “confessioni”; che i prigionieri condannati non sempre hanno accesso ad effettive procedure di ricorso; e che alla intrinseca natura crudele, disumana e degradante della pena di morte, si aggiunge, per i detenuti nel braccio della morte ed i loro parenti, la segretezza che circonda la pena capitale. Né i prigionieri né i loro famigliari vengono informati in anticipo della data dell’esecuzione e i prigionieri devono convivere con la paura che in ogni momento si possano aprire le porte della cella per essere chiamati per l’esecuzione.”
• Considerando che l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) e l’Unione Europea (UE) hanno ripetutamente esortato la Bielorussia ad abolire la pena di morte;
• Osservando che i dettagli sulla pena di morte in Bielorussia sono tenuti segreti e che, secondo il Codice Penale, la pena capitale viene eseguita in privato per fucilazione, l’amministrazione del carcere informa il giudice dell’avvenuta esecuzione e il giudice informa i parenti; il corpo dei giustiziati non viene consegnato ai parenti per la sepoltura ed il luogo in cui essa avviene non viene comunicato;
• Considerando che l’11 marzo 2004 la Corte Costituzionale ha affermato che potrebbe essere approvata dal Capo di Stato e dal Parlamento l’abolizione della pena di morte o, come primo passo, l’introduzione di una moratoria;
• Considerando che la pena capitale in Bielorussia, ai sensi della sua Costituzione, e’ una misura straordinaria e temporanea, applicabile solo in casi eccezionali e che la Bielorussia e’ riuscita progressivamente a limitare l’applicazione della pena di morte, per esempio dimezzando il numero di articoli del Codice penale che prevedono la pena capitale;
• Osservando che la Bielorussia non è riuscita a rendere pubblici i dati statistici sul numero di condanne a morte ed esecuzioni eseguite, in violazione del suo impegno come membro dell’OSCE a: “rendere pubblicamente note le informazioni riguardo il ricorso alla pena di morte”, come stabilito dal Documento approvato nella riunione di Copenaghen della Conferenza sulla dimensione umana della CSCE del 29 giugno 1990;
• Osservando che dei 50 stati che compongono gli Stati Uniti d’America, 38 prevedono la pena di morte, ma in 4 di essi non si ci sono state esecuzioni dal 1976; e che la legge federale prevede 42 reati passibili di essere puniti con la morte;
• Osservando che negli Stati Uniti d’America negli ultimi anni si è registrata una significativa diminuzione del numero di esecuzioni e di condanne a morte e che molti stati stanno valutando la possibilità di adottare una moratoria o l’abolizione della pena di morte, anche a seguito di un minore sostegno da parte dell’opinione pubblica;
• Accogliendo con favore il fatto che alcuni stati, tra i quali Montana, North Carolina, New York e New Jersey, stanno adottando misure contro la pena di morte inclusa una moratoria delle esecuzioni o la sua abolizione;
• Considerando che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha recentemente emesso una sentenza storica che introduce maggiori tutele e che prende in considerazione l’evoluzione degli standard della giustizia;
• Accogliendo con favore la decisione del governatore del New Mexico, a marzo 2009, che mette al bando la pena capitale in tale stato, considerandola “incompatibile con i principi fondamentali di giustizia, libertà ed uguaglianza dell’America”;
• Osservando che il 19 marzo 2009, un senatore statunitense ha presentato la “Federal Death Penalty Abolition Act”, una legge per l’abolizione della pena di morte a livello federale;

L’Assemblea Parlamentare dell’OSCE,
• Condanna tutte le esecuzioni ovunque esse avvengano;
• Chiede agli Stati partecipanti che applicano la pena di morte di dichiarare una immediata moratoria delle esecuzioni;
• Esorta gli Stati partecipanti che non hanno abolito la pena di morte a rispettare i principi che salvaguardano i diritti di coloro che vi sono sottoposti, così come stabilito nelle Garanzie di protezione del Consiglio ECOSOC delle Nazioni Unite;
• Esorta la Bielorussia a intraprendere azioni immediate per l’abolizione della pena di morte, applicando prontamente una moratoria su tutte le sentenze capitali ed le esecuzioni, nella prospettiva di una abolizione della pena di morte, come stabilito dalla risoluzione 62/149 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottata il 18 dicembre 2007 e dalla risoluzione 63/168 adottata il 18 dicembre 2008;
• Esorta il governo degli Stati Uniti ad adottare una moratoria delle esecuzioni per poi giungere alla completa abolizione della pena di morte nella legislazione federale e di ritirare la sua riserva all’articolo 6(5) del Patto Internazionale sui diritti civili e politici;
• Esorta la Repubblica del Kazakistan, nella prospettiva di una totale abolizione della pena di morte, ad emendare il Codice Penale in conformità all’emendamento costituzionale del 21 maggio 2007;
• Esorta la Lettonia ad emendare il Codice Penale per abolire la pena di morte anche per gli omicidi che prevedono l’aggravante di essere perpetrati in tempi di guerra;
• Esorta gli Stati membri mantenitori ad incoraggiare l’ODHIR e le Missioni OSCE in cooperazione con il Consiglio d’Europa, per mettere a punto iniziative di sensibilizzazione contro il ricorso alla pena di morte, rivolte soprattutto ai mass media, ai funzionari delle forze dell’ordine, ai politici e all’opinione pubblica;
• Incoraggia ulteriormente le attività promosse dalle organizzazioni non governative per l’abolizione della pena di morte.