martedì 21 luglio 2009

LA VERITA' NON SI UCCIDE


Anna e Natalja più forti della ferocia (e della nostra indifferenza)

Scritto da André Glucksmann

Sapete tutto. Da molto tempo. Non c’è alcun mistero. Natalja Estemirova è stata eliminata perché combatteva la menzogna e il silenzio di Stato, perché parlava troppo, perché faceva inchieste troppo precise, perché metteva in causa i mandanti dei crimini quotidiani in Cecenia, il dittatore Kadyrov, i servizi segreti dell’esercito russo, le diverse mafie lanciate a briglia sciolta, e i loro padroni al Cremlino.
I rapimenti extragiudiziali eseguiti da uomini incappucciati, le case dei civili incendiate per «punizione », talvolta con gli abitanti bloccati apposta all’interno, i cittadini presi in ostaggio che i servizi pubblici restituiscono vivi o fatti a pezzi in cambio di dollari, le donne violentate davanti al marito. Sapete tutto. Nulla di nuovo nel martirio ceceno, dalla prima guerra scatenata da Mosca nel 1994. Nulla di nuovo, salvo che la vittoria russa è stata ufficialmente dichiarata, che la pace putiniana regna e il terrore continua.

Niente di nuovo. Davanti al cadavere di Natalja Estemirova, trovo disperatamente le stesse parole e gli stessi pensieri, le stesse emozioni e le stesse lacrime di quando morì la mia amica Anna Politkovskaja. Anna mi aveva presentato la sua amica Natalja chiedendomi di appoggiarla affinché ottenesse il premio Sakharov (ricevette la medaglia Schumann). Si conoscevano dalla prima guerra, tutte e due partirono intrepide alla ricerca della verità su un massacro di lunga durata, che ha fatto sparire un civile su cinque. Tutte e due, Cassandre dei nostri tempi, predicavano nel deserto, prevedendo che il caos si sarebbe esteso al Caucaso (come è successo) e che i regolamenti di conti mafiosi e ufficiali avrebbero raggiunto la Russia (come è successo). La Cecenia? Un pulviscolo d’impero, ma un caso esemplare per l’umanità: un milione di abitanti prima della guerra, 200 mila morti, 40 mila bambini uccisi (e quanti orfani?), una capitale rasa al suolo, città e villaggi ridotti in cenere. E dopo? La paura e la corruzione per educare il popolo, riducendolo al silenzio. E non solo il popolo ceceno, ma quello russo e se possibile noi, tranquilli cittadini delle nazioni democratiche. Le facciate nuove fiammanti degli edifici ricostruiti a Grozny mentono.

Niente di nuovo sul fronte occidentale; nell’Europa pacifica e ancora prospera, ci si abitua. A Est, gli omicidi si susseguono, si assomigliano e suscitano in noi indignazioni ben presto dimenticate. Certo non ci mettiamo a far la guerra — fosse pure una guerra fredda — alla grande Russia, dunque ritorniamo subito al business as usual . Questo comportamento elusivo provoca da tempo l’ilarità della coppia dirigente al Cremlino, che mette pubblicamente in ridicolo i rappresentanti occidentali e suscita l’ironia desolata dei dissidenti. Serguei Kovaliev, l’amico di Sakharov, si chiede: a che servono i diplomatici se l’unica alternativa è la guerra o una definitiva compiacenza nei confronti del dispotismo? A che servono i ministri degli Esteri se non sono in grado di prevedere pressioni capaci di civilizzare un po’ gli inquietanti vicini alle nostre frontiere? Eppure, qualcosa di nuovo c’è. Dopo l’assassinio ancora non chiarito di Anna Politkovskaja, Ramzan Kadyrov, il Presidente ceceno protetto da Putin e sospettato di esserne il mandante, fece erigere a Grozny una stele di marmo in onore dei giornalisti e dei combattenti per i diritti dell’uomo «assassinati per la loro libertà di parola».

No, non state sognando. Dopo l’omicidio di Natalja Estemirova, Kadyrov ha reso pubblica la propria indignazione e ha deciso di guidare un’inchiesta per castigare i colpevoli. Medvedev ha fatto lo stesso. Il colmo di questa farsa e di questa presa in giro è stato raggiunto a Berlino: Angela Merkel ha preteso un’inchiesta, Medvedev ne ha garantita un’altra, poi i due si sono abbracciati promettendosi un’indefettibile amicizia industriale. Un bel festival di contratti mirabolanti, soltanto due giorni dopo la scoperta di Natalja, trovata con due pallottole nella nuca sul ciglio di un’autostrada. Sì, Kadyrov sa punire, si dice che ne provi anche piacere. Punire chi? Il suo primo «atto di giustizia» la dice lunga: sporge denuncia contro Oleg Orlov, fondatore di «Memorial» con Sakharov e compagno di lotta di Natalja Estemirova. Sì, Medvedev, il clone «gentile» di Putin, avvierà un’inchiesta per lusingare il mondo intero. Ha ritrovato gli assassini di Anna? Quelli di Markelov e della Baburova? Quelli di una moltitudine di anonimi? Ha consegnato alla Gran Bretagna l’assassino di Litvinenko? No! Egli siede alla Duma e sbeffeggia il mondo in tv. Giura che farà il possibile, proprio lui che ha appena promosso la caccia agli «antipatrioti», cioè coloro che si permettono di studiare i crimini commessi da Stalin prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Orwell ha scoperto la moderna Neolingua: «La guerra è pace. La Schiavitù è libertà». Considerava questi paradossi come una caratteristica della propaganda totalitaria. Strano progresso: le democrazie fanno ormai di tutto per non rimanere indietro nel campo dell’ipocrisia.

Il 17 luglio, una camionetta gialla ha trasportato il corpo di Natalja, circondata dagli amici, i migliori, i più coraggiosi e i più audaci di Grozny. Ha risalito lentamente il viale Putin, i «Campi Elisi» della capitale ricostruiti e battezzati con il nome del suo carnefice. Questo «viale Putin», Natalja non lo imboccò mai da viva, rifiutando l’ingiuria civica fatta al suo popolo decimato e costretto a bere la schiavitù fino alla feccia. A Mosca, nel rendere onore a Natalja, nuova martire della verità, accanto agli spiriti liberi di «Memorial», c’era l’infaticabile Liudmila Alexeevna, 82 anni, personaggio importante della dissidenza antisovietica. A Parigi, durante una breve cerimonia alla fontana di Saint Michel, ho stretto fra le mie braccia Natalja Gorbanevskaïa. Nell’agosto del ’68, questa poetessa manifestò sulla Piazza Rossa, con il neonato in braccio, contro i carri armati russi che schiacciavano Praga insorta. Fu così che si meritò il manicomio.

Incrollabili donne piene d’ardore, siete più determinate della ferocia che avete di fronte, più forti delle nostre indifferenze. Voi salvate la fierezza dei popoli caucasici, la dignità della cultura russa che sempre fu una cultura di resistenza, e se la nostra umanità trova un volto, è il vostro. Anna e Natalja, grazie.

traduzione di Daniela Maggioni
Da: corriere.it

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