“La collana da me diretta è dedicata esclusivamente a esaminare i problemi che oggi nel nostro Paese pone la Chiesa come forza politica. La collana si rivolge più che agli studiosi, ai lettori dei settimanali e ha carattere polemico. Vuole essere uno strumento di lotta politica”. Così Ernesto Rossi a Roberto Mrozzo della Rocca in una lettera del 24 dicembre 1959 dove chiariva obiettivi e scopi della collana “Stato e Chiesa”, curata (gratuitamente) per l’editore Parenti. Un impegno cominciato nel 1957 e che si conclude nel 1962. Inizialmente Rossi avrebbe voluto “sfornare un libretto” ogni tre mesi, per assicurare “continuità” alla collana: “volumetti di non più di duecento pagine, dal tono polemico e incalzante anche nel ritmo di uscita, dal punto di vista economico le pubblicazioni dovevano essere alla portata di tutti: nel febbraio 1957 Rossi non avrebbe voluto un prezzo di copertina superiore alle 500 lire a volume cosa di difficile realizzazione…”. Il bel volume, di Simonetta Michelotti, “Stato e Chiesa: Ernesto Rossi contro il clericalismo” (Rubbettino editore) è fonte di preziose informazioni. “Anche se non tutti i volumi della collana ebbero i crismi dell’originalità, ciò non implica una mancanza di interesse nelle attività editoriali di Rossi, poiché riveste un’importanza fondamentale anche il divulgare e il riproporre opere che andrebbero altrimenti perdute (è il caso de “Il Sillabo”) ovvero soffrono delle difficoltà di reperimento (è il caso dei testi in “La Conciliazione”). Completano la rosa dei volumi in cui furono riproposti documenti o scritti del passato “Clericali e laici”, “Lo stato catechista”, “L’Azione Cattolica e il regime”, anche se quest’ultima opera fu pubblicata fuori collana. Altri volumi si differenziano da questo modello solo perché la riproposta dei documenti o degli scritti è collegata al periodo 1957-1962, come il “Processo al Vescovo di Prato”, “A trent’anni dal “Concordato”, e in parte anche “Il manganello e l’aspersorio”, poiché già anticipato sulle colonne de “Il Mondo”. Opere originali invece “Risorgimento scomunicato”, “I preti in cattedra”, “Gli spretati”, “Socialisti anticlericali”, “Papalini in città libera” e “Matrimonio concordatario”, anche se quest’ultimo contiene un repertorio documentale.
“Preti in cattedra” , quarto volume della collana, veniva così presentato: “La scuola moderna ha come suo fine fondamentale la formazione della personalità, intesa nel senso più ampio della parola: deve, cioè, insegnare quali sono e come vanno usati gli strumenti della conoscenza per la ricerca della verità; informare sui fatti, e sulle teorie che spiegano i fatti, senza reticenze e deformazioni; abituare all’esame critico dei diversi punti di vista; educare gli uomini di carattere, consapevoli dei loro doveri e capaci di rivendicare i loro diritti. Questa scuola è l’antitesi della scuola confessionale, che sostiene la verità rivelata contro la verità di ragione; che professa l’insegnamento catechistico invece della libera ricerca individuale; che educa ad obbedire docilmente alle autorità costituite, qualunque esse siano, purché vadano d’accordo col Papa. Per demolire quanto i migliori uomini del nostro Risorgimento avevano costruito in questo campo, il regime fascista già aveva ristabilito l’insegnamento della religione nella scuola pubblica, aveva dato il riconoscimento legale alle scuole confessionali, aveva stipulato il Concordato, per il quale l’insegnamento della dottrina cattolica costituisce il “fondamento” e il “coronamento” di tutta la pubblica istruzione. Dopo la guerra i governi vicari della S.Sede hanno continuato nell’opera di demolizione facendo mancare alla scuola pubblica i mezzi finanziari indispensabili, permeandola di principi pedagogici sostenuti dalle encicliche pontificie, ed avvilendola in tutti i modi, a vantaggio della scuola dipendente della gerarchia ecclesiastica. Luigi Rodelli, ordinario di lettere italiane e latine nei licei dello Stato, offre, in questo libro un quadro completo della situazione nei diversi ordini di studi, e ne trae le conseguenze sulla base della sua diretta esperienza di insegnante “laico”. Impostando il problema della pubblica istruzione in Italia nei suoi termini storici, giuridici, morali, questo libro è insieme una fonte di informazione e un invito all’azione per tutti coloro che non sono disposti a lasciare la scuola in balia dei preti o a farla cadere sotto il loro dominio, come era da noi prima dell’unificazione, e come è ancora oggi in Spagna, paese perciò additato come modello ideale dai gesuiti e dalla Curia romana.
L’angelo custode.
Entriamo in una scuola elementare. Non sempre si tratta di un edificio costruito ad hoc, né di un edificio convenientemente adattato a questo scopo; a volte non si tratta neppure di un edificio, o di una casa, ma di una baracca, di una grotta o di una stalla dove i fanciulli si danno il turno con le bestie sull’impiantito di terra e portan con sé il banco. Anche nelle città più ricche, dove non si vedono questi spettacoli che sono frequenti soprattutto nelle province del Mezzogiorno, gli edifici scolastici sono così insufficienti che spesso vi si alternano due o tre turni di diverse scolaresche in un giorno. Dal canto loro le statistiche dicono che nel 1952 mancavano 63.848 aule, pari al 40 per cento del fabbisogno total, e che ve ne erano 27.280 allogate nel modo che s’è detto. Una relazione ufficiale aggiunge ai sostantivi la particella ex: “ex conventi, ex caserme, ex stalle, ex soffitte, ex magazzini, ex grotte, ex osterie”. Anche con le nuove leggi del 9 agosto 1954 e del 19 marzo 1955 “passeranno alcuni decenni prima che ci siano sufficienti aule sufficienti per la istruzione elementare di tutti i bambini italiani”, soprattutto quelli del Mezzogiorno e delle isole, perché, come è avvenuto in passato, anche questa volta il complicato sistema dei mutui e delle sovvenzioni ai comuni va a svantaggio dei comuni più poveri e delle frazioni di comuni.
Per la costruzione di nuove chiese e case canoniche il governo italiano ha già stanziato direttamente, in virtù della legge 18 dicembre 1952, 14 miliardi nei primi quattro anni, oltre ai 30 spesi per le ricostruzioni, e continua a iscrivere nel bilancio annuale dello Stato una spesa la cui entità può variare ogni anno senza limiti. Nel solo anno 1956 lo Stato ha ripristinato a sue spese 11.228 campane. Nel varcare la soglia di una scuola elementare queste cifre ci tornano alla mente per averle lette nei giornali.
Considerazioni di tutt’altra natura prevalgono intanto nell’animo nostro. Trovandoci di fronte ad una realtà umana che ci avvince e vuol essere capita nell’ambito del suo essere attuale, hic et nunc, mettiamo da parte principi ed idee generali e ci immergiamo in ciò che ci circonda. La prima impressione – quella di trovarci di fronte a un mondo su scala ridotta – ci riporta alla nostra personale esperienza della scuola elementare. Là dove il nostro ricordo è sbiadito si sovrappone la visione retorico-sentimentale ispirata ai racconti del De Amicis, che abbiamo sistemato “dopo” nella nostra coscienza riflessa. Così come abbiamo scoperto “dopo” il senso di certe parole astratte, di certe intonazioni che ora riaffiorano di colpo dentro di noi. Quel tanto che v’era nell’aria di solidarietà umana, di pari dignità del lavoro e di giustizia sociale ed era il frutto (già contrastato) di una grande passione che aveva animato molti maestri italiani, formatisi alla scuola del positivismo e del socialismo. La scuola elementare aveva ricevuto allora il primo impulso a trasformarsi da sgabello della scuola media, per la quale forniva le nozioni elementari (donde il nome) a scuola primaria di tutto il popolo. Anche nei libri di testo, l’emancipazione dell’uomo dalla schiavitù dell’ignoranza e della superstizione (se non della miseria), la formazione della coscienza morale erano gli ideali che avevano preso il posto del vuoto formalismo (il galateo) e del compassato moralismo ipocrita dei tempi di Giannetto e Giannettino. I piccoli protagonisti di una falsa letteratura per l’infanzia, contro la quale nel 1871 aveva alzato la sua voce Francesco De Sanctis dalla cattedra dell’università di Napoli.
di Luigi Rodelli