giovedì 16 settembre 2010

Il tempo stringe



di Martin Luther King


Questo articolo è l’ultimo che Martin Luther King ha scritto. Lo completò pochi giorni prima di essere assassinato a Memphis , e vi spiegava il significato e gli obiettivi della “grande marcia di emancipazione attraverso l’America” da lui organizzata per la primavera e l’estate.


Le proteste nonviolente ritornano questa primavera, fosse per l’ultima volta. Ai bianchi viene dato il benvenuto. Perfino i gruppi militanti del Potere Negro hanno deciso di prendervi parte. Ma se le proteste nonviolente naufragano, potrebbe seguire un olocausto.

Malgrado due estati consecutive di violenza, non una singola causa delle sommosse è stata eliminata. Tutta l’infelicità che attizzò le fiamme della rabbia e della ribellione, è rimasta qual era.

Con la disoccupazione, le abitazioni intollerabili e l’educazione discriminatoria, flagello dei ghetti negri, il Congresso e l’amministrazione si contentano ancora di mezze misure futili. Eppure, soltanto pochi anni fa, si poteva discernere, anche se limitato, un certo progresso mediante la nonviolenza. Ogni anno si delineava maggiormente una sana sicurezza di sé dei negri.

L’azione diretta nonviolenta rese capaci i negri di andare per le strade di una protesta attiva, ma tappò le canne dei fucili dell’oppressore, poiché neanche lui poteva abbattere, alla luce del giorno, degli uomini, delle donne, dei bambini senza armi. Ecco la ragione per cui ci furono meno perdite di vite in dieci giorni di sommosse nel Nord.

Noi dobbiamo esercitare pressione sul Congresso, perché le cose vengano fatte. Lo faremo alla luce del Primo Emendamento. Se il Congresso rimane insensibile, bisognerà dare la scalata per mantenere in vita la questione. Questa azione può arrivare a dimensioni di rottura, ma non sarà violenta nel senso di distruggere vite o beni: sarà una nonviolenza militante.

Noi sentiamo veramente che le sommosse tendono a intensificare la paura della maggioranza bianca, mentre ne diminuisce il senso di colpa, dando così adito ad una maggiore repressione. Non abbiamo visto alcun cambiamento in Watts – nessun cambiamento strutturale ha avuto luogo come risultato delle sommosse.

Ma non tollereremo la violenza e abbiamo detto chiaramente: i dimostranti che non sono pronti a essere nonviolenti, non dovrebbero partecipare. Durante le ultime sei settimane abbiamo avuto degli incontri preparatori sulla nonviolenza con quelli che andranno a Washington. Le dimostrazioni hanno servito da forze unificanti nel movimento: hanno riunito neri e bianchi in situazioni molto pratiche, quando avrebbero potuto star discutendo in via filosofica del Potere Negro.

E’ singolare come le dimostrazioni tendano a risolvere problemi. Ogni volta che abbiamo avuto delle dimostrazioni in una comunità, la gente ha trovato un modo per liberarsi dell’odio verso sé stessi, ed un mezzo per esprimere i suoi desideri e per lottare senza violenza – per giungere alla struttura del potere, sapendo di fare qualche cosa, senza aver da usare la violenza.

Noi abbiamo bisogno di questo movimento. Vogliamo che esso ci porti una nuova specie di unione tra neri e bianchi. Vogliamo che esso unisca degli alleati, che unisca la coalizione delle coscienze. Io penso che siamo arrivati al punto in cui non vi è più scelta tra nonviolenza e sommosse. Deve essere o una massiccia nonviolenza, o la sommossa.

Il malcontento è così profondo, la rabbia è tanto connaturata, la disperazione, l’inquietudine tanto grandi, che qualche cosa deve nascere che serva di sfogo per questi profondi sentimenti di rabbia.

Uno sfogo deve esserci, ed io vedo in questa campagna un mezzo per tramutare la rudimentale rabbia del ghetto in qualche cosa di costruttivo e creativo.

Anche se non pensassi alle dimensioni morali del rapporto fra violenza e nonviolenza, da un punto di vista pratico non vedo che le sommosse abbiano alcun senso. Di più, sono convinto che, se le sommosse continuano, ciò rafforzerà l’ala destra del paese, e finiremo con la vittoria della destra nelle città e con uno sviluppo fascista, che sarà terribilmente nocivo a tutto il paese.

Io non credo che l’America possa sostenere un’altra estate di sommosse come quelle di Detroit senza il pericolo di distruggere l’anima del paese ed anche le sue possibilità democratiche. Io mi sono votato alla nonviolenza in modo assoluto, io non ucciderò nessuno, sia nel Vietnam o qui. Io non metterò fuoco a nessun edificio. Se la protesta nonviolenta naufragherà questa estate, io continuerò a predicarla e insegnarla.

Sono deciso alla nonviolenza perché ho trovato che è una filosofia della vita che regola non soltanto la mia condotta nella lotta per la giustizia razziale, ma anche la mia condotta verso le persone, verso me stesso.

Ma sono abbastanza franco per ammettere che se la nostra campagna nonviolenta non genera qualche progresso, la gente sceglierà un’attività più violenta, e la discussione sulla guerriglia diventerà più estesa.

Gli americani neri sono stati gente paziente, e forse potranno continuare ad esserlo se avessero un minimo di speranza: ma soprattutto il tempo stringe, come dicono le parole di un nostro spiritual: “La corruzione è nel paese, gente, state pronti, il tempo stringe”.

Nonostante gli anni di progresso nazionale, la condizione dei poveri peggiora. I posti di lavoro diminuiscono a causa del progresso tecnologico, le scuole del nord e del sud si rivelano sempre più inadeguate, le cure mediche sono praticamente inaccessibili per milioni di poveri bianchi o neri. Nel Mississipi i bambini muoiono di fame, mentre i latifondisti hanno “messo in banca” le loro terre e incassano milioni di dollari all’anno per non piantare grano o cotone.

L’America bianca si è concessa di essere indifferente al pregiudizio razziale e all’ingiustizia economica. Li ha trattati come difetti superficiali, ma adesso si sveglia nell’orribile realtà di un potenziale morbo fatale. Le insurrezioni nelle città sono “una campana a fuoco nella notte” che clamorosamente avverte che le suture di tutta la nostra società stanno indebolendosi per la tensione della noncuranza.

Gli americani sono infetti di razzismo, ecco il pericolo. Paradossalmente, essi sono anche contagiati dagli ideali democratici, e questa è la speranza. Mentre essi fanno del male, hanno il potenziale di fare del bene. Ma non hanno un millennio per cambiare le cose.

L’avvenire che essi sono chiamati a inaugurare non è tanto sgradevole da giustificare i mali che assillano la nazione. Por fine alla misura, estirpare il pregiudizio, liberare una coscienza tormentata, creare un domani di giustizia, di lealtà e creatività – tutto ciò è degno dell’ideale americano.

Noi abbiamo mediante l’azione nonviolenta di massa, l’occasione per evitare un disastro nazionale e creare un nuovo spirito di classe e di armonia razziale. Tutti noi siamo sotto processo in questa ora travagliata, ma ancora il tempo ci permette di andare incontro all’avvenire con la coscienza pulita.


(da “Azione Nonviolenta”, aprile maggio 1968)

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