martedì 14 aprile 2009

Un monaco tibetano picchiato a morte



Nel Tibet occupato, la polizia cinese ha picchiato a morte un monaco e continua ad arrestare molti tibetani per stroncare ogni minima protesta. Fonti locali hanno raccontato al Tibetan Centre for Human Rights and Democracy che il 25 marzo Phuntsok Rabten, 27 anni (nella foto), del monastero nella contea di Drango, prefettura di Kardze, ha distribuito volantini invitando i contadini a non coltivare la terra per protesta contro la persecuzione cinese e a pregare per i tibetani uccisi nelle proteste del 2008. All’arrivo della polizia è fuggito, ma lo hanno preso e picchiato fino ad ucciderlo sul posto. Poi hanno gettato il corpo in un burrone, per nasconderlo. Ma i monaci hanno recuperato il corpo e lo hanno portato alla polizia per fare una denuncia, che la polizia non ha voluto ricevere. Le autorità parlano di suicidio o di caduta accidentale da un motociclo.Sempre il 25 marzo la polizia ha arrestato due monaci del monastero Minyak, nel Drango, che avevano invitato i contadini a non coltivare la terra in ottemperanza alla campagna di disobbedienza civile in atto nel Tibet orientale. Due giorni dopo la polizia ha arrestato circa venti contadini che protestavano e ne ha picchiati con violenza altri undici, ricoverati in ospedale in seguito alle ferite. Il 20 marzo, oltre cento persone tra funzionari di pubblica sicurezza e militari sono entrati nel villaggio di Kara e, setacciando casa per casa, hanno costretto i contadini a recarsi a lavorare nei campi. La protesta, ormai ampiamente diffusa, prosegue in altre zone della prefettura di Kardze. Sui muri delle case sono stati affissi numerosi manifesti nei quali si chiede ai contadini di astenersi dal lavorare la terra a causa della brutalità dell’occupazione. Le autorità cinesi minacciano “gravi provvedimenti”, inclusa la confisca dei terreni, nei confronti di quanti incroceranno le braccia in segno di protesta.Il 30 marzo, centro governativo China Tibetology Research ha pubblicato un ampio resoconto sui “grandi progressi economici ottenuti in Tibet in cinquant’anni di dominazione cinese”. Lo scritto rigetta le accuse internazionali di genocidio culturale contro la popolazione tibetana e afferma che i tibetani sono ancora “la schiacciante maggioranza nella regione” e che nella zona il tibetano è insegnato nelle scuole. Il rapporto non parla di arresti e detenzioni.Ma il governo tibetano in esilio accusa il rapporto di mistificazione. Osserva che le principali città sono dominate dai migranti di etnia Han e che la gran parte degli Han non compaiono nelle statistiche ufficiali perché non hanno permesso di residenza.

Dharamsala, 31 marzo 2009. (AsiaNews/RFA)

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