mercoledì 8 ottobre 2008

La libertà


DUE ANNI FA LA POLITKOVSKAYA UCCISA


Se si rinuncia alla libertà

di Piero Ostellino

In questi giorni che la crisi finanziaria mette in pericolo i nostri risparmi, siamo così preoccupati dei «rischi della libertà», e dei suoi «costi» — compresi l'opportunità di sbagliare, con i rischi che ci assumiamo, e il prezzo che dobbiamo pagare, per gli errori che commettiamo — che siamo disposti a rinunciare a una parte delle nostre libertà in cambio della promessa di un po' di sicurezza in più. Ma non è solo un errore sotto il profilo concettuale; è anche, e soprattutto, un'illusione sotto quello politico. Due anni fa, il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaya, una giornalista della Novaja Gazeta di Mosca, veniva uccisa nell' ascensore del palazzo dove viveva. Stava per pubblicare un articolo imbarazzante per il potere politico. Il giorno dopo, la polizia sequestrava il suo computer e tutto il materiale dell'inchiesta cui stava lavorando. Il mandante è ancora oggi sconosciuto. Il mondo libero se ne è già dimenticato. Ma la Politkovskaya non è morta perché, nella Russia post-sovietica, ci fosse troppa libertà, bensì perché ce n'era ancora troppo poca. Non solo per il sistema informativo o, più genericamente, per gli intellettuali, ma per tutti i russi. Con i suoi articoli, essa non si limitava, infatti, a esercitare la propria libertà di giornalista, bensì soddisfaceva anche il diritto dei suoi concittadini a un'informazione libera, pluralista. È ciò che distingue la società «aperta », di democrazia liberale, dai sistemi chiusi e dispotici.
Nella società «aperta», a fondamento delle scelte dei cittadini, non c'è una Verità unica, e un potere che la impone, bensì c'è una pluralità (e una dispersione) di conoscenze fra milioni di Individui. In questi giorni, i nemici del capitalismo e del libero mercato — che non sanno neppure di che parlano — accusano i liberali di comportarsi come i comunisti di fronte al fallimento del comunismo. Come questi ultimi, attribuirebbero la crisi agli errori degli uomini (i banchieri) per non prendersela col fallimento del sistema, del mercato, del liberalismo. Ma il liberalismo — prima di essere la dottrina delle libertà e dei limiti del potere (politico, economico, sociale) — è una metodologia empirica della conoscenza. Che riconduce tutti i fenomeni attribuibili a soggetti collettivi — i sistemi politici, le istituzioni, il mercato, il capitalismo, eccetera — ai comportamenti individuali. I soggetti collettivi, a differenza dei singoli Individui, non hanno una personalità propria, non pensano, né agiscono. È, del resto, così che, nella dottrina liberale, il concetto di libertà è strettamente associato a quello di responsabilità. Ed è, perciò, anche evidente che a fallire, in una società «aperta», sono gli uomini — i soli cui far risalire la capacità di operare delle scelte — non il sistema, il capitalismo, il mercato. Nel marxismo- leninismo è, invece, il sistema che è fallito, proprio perché ha ignorato gli Uomini in carne e ossa, sostituendoli col proletariato, il Partito, l'«Uomo nuovo» dell'Utopia, e sollevandoli dalle loro responsabilità.


08 ottobre 2008
(Fonte: Corriere della sera)

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