mercoledì 29 ottobre 2008

Resistenza


Tornano in aula dopo 70 anni i ragazzi della scuola del coraggio


Settant’anni dopo sono tornati nelle aule che li avevano visti bambini e ragazzi negli anni bui delle leggi razziali. Gli alunni che frequentarono la scuola ebraica di Trieste fra il 1938 e l’estate del 1943 si sono dati appuntamento domenica 26/10 in un incontro organizzato dalla Comunità ebraica e da un gruppo di ex allievi per ricordare i 70 anni della fondazione della scuola media ebraica che vide la luce proprio per accogliere i ragazzi espulsi dagli istituti pubblici (quella elementare era in funzione già da fine Settecento).In sala, insieme a figli e nipoti, si sono ritrovati oltre un centinaio di studenti e insegnanti d’allora. Uomini e donne tra i 70 e i 95 anni, molti da tempo residenti in Israele, sorretti da una tempra e un’energia invidiabili. Testimoni di un’epoca drammatica che mai hanno cessato di piangere le loro famiglie perite nella Shoah. Ma che rifiutano di ripiegarsi nel lamento o nella recriminazione per rivendicare invece la stringente attualità della loro memoria e la bellezza, quasi incredibile, dei loro anni di scuola.


“Negli anni della discriminazione razziale la scuola ebraica è stata per gli alunni un’isola di serenità e di spensieratezza – spiega Mauro Tabor assessore alla cultura della Comunità ebraica di Trieste – Attraverso l’educazione e lo studio la Comunità ha cercato di proteggere i suoi giovani e ha tentato di dare loro una speranza proprio nel momento in cui la società gliela stava togliendo e si preparava la tragedia della Shoah”. Il futuro aveva in serbo per quei bambini vicende di fuga, di persecuzione e di morte. Ma tra le mura dell’antico edificio di via del Monte, l’erta ripida cantata dal poeta Umberto Saba, la storia sembra per qualche anno vivere una straordinaria battuta d’arresto.Le fotografie di allora, affisse in sala e proposte qualche anno fa in una bella mostra intitolata “L’educazione spezzata” realizzata dalla Comunità triestina, parlano infatti di recite in costume, di riunioni festose, di gite d’istruzione. Il clima minaccioso dei tempi non rimane inavvertito. Alcuni ex alunni ricordano infatti il bidello Israel che li accompagnava a casa dopo le lezioni per evitare le aggressioni fasciste. Qualcun altro racconta di visite ministeriali che richiedevano l’obbligo della divisa da figlio della lupa e della preoccupazione crescente dei genitori davanti alla discriminazione. Ma nel ricordo di tutti prevale la gioia della giovinezza e di quel tempo trascorso con i compagni.


“L’atmosfera era bellissima – racconta Claudia Volli, classe 1925 – La scuola ebraica era come una famiglia, sono stati anni sereni. Durante gli intervalli ci incontravamo e dopo la scuola andavamo in gita, organizzavamo feste, c’erano flirt e coppiette”. “La cacciata dalle scuole pubbliche minacciò di toglierci il futuro – dice Bruna Schreiber - La scuola ebraica in parte riuscì a restituircelo attraverso la routine quotidiana dei compiti, delle interrogazioni, dello studio”.A questo clima contribuirono in maniera decisiva l’impegno e il carisma degli insegnanti (due di loro, il professor Giulio Levi Castellini e il professor Fabio Suadi) hanno preso parte all’incontro. Anch’essi allontanati dagli istituti pubblici, si dedicarono infatti al loro lavoro con professionalità ed estrema dedizione. I loro alunni serbano ancora nel cuore le loro parole e il loro insegnamento. “Prima delle leggi razziali – racconta Sergio Sacerdoti, 77 anni – frequentavo la prima elementare nella scuola pubblica. Dalla seconda sono dovuto passare alla scuola ebraica. Allora non capivo bene che differenza ci fosse. Poi mi sono reso conto di quanto ha contribuito a radicarmi dentro l’ebraismo”.La cultura, lo studio, i libri. Sono parole che tornano in modo quasi ossessivo nel racconto dei ragazzi che allora che vissero sulla propria pelle l’esclusione dalla società civile.


“Con l’espulsione dalle scuole le leggi razziali toccavano un punto esiziale – dice Enzio Volli – Si proibiva l’educazione dei ragazzi ebrei e la loro possibilità di essere eguali agli altri cittadini. Ma il popolo che attraverso il libro ha preservato la sua identità, la tradizione, la lingua, non poteva non reagire a quest’esclusione”. “Per questo – continua - la Comunità ebraica di Trieste volle farsi carico della scuola: perché solo attraverso l’educazione si poteva crescere e trasmettere il testimone dall’una all’altra generazione. Così è stato. E questo è molto più importante del ricordo e della testimonianza”.“Basta piangere sul passato, mi disse Elie Wiesel anni fa, dobbiamo incontrare i giovani e a dialogare con loro”, racconta Claudia Volli. Ma non per piangere, non per lamentarsi: per parlare del futuro che, concordano gli ex ragazzi che si videro privati del diritto all’educazione, anche oggi può passare solo attraverso lo studio, l’istruzione, la crescita culturale.


“Settant’anni fa i nostri padri e i nostri nonni risposero alla barbarie delle leggi razziali con l’apertura della scuola ebraica che accolse tutti gli allievi espulsi dalle scuole pubbliche – conclude Andrea Mariani, presidente della Comunità ebraica di Trieste - Alla discriminazione e all’esclusione sancita dal fascismo vollero così opporre i valori ebraici della cultura, dello studio, dell’educazione dei più giovani. Proprio quest’insegnamento deve oggi essere per noi un monito e un’indicazione sulla via da percorrere. Solo ripensando e approfondendo costantemente quei valori potremo infatti vivere un ebraismo più autentico e formare le nuove generazioni”.


Daniela Gross

4 commenti:

Anonimo ha detto...

grazie per questa notizia, così importante specialmente in questi giorni, e grazie per la memoria, essenziale,mai dimenticare, la memoria e la storia, devono essere da esempio e da monito per il futuro. buona giornata carissimo...

calendula ha detto...

bella notizia, in un clima così incandescente a livello di scuola fa bene leggere notizie del genere.

Il Signor P. ha detto...

@kosenrufu mama
Grazie a te per le tue parole.

Il Signor P. ha detto...

@calendula
Si tratta di una notizia che mi ha fatto riflettere, tra le altre cose, sul significato di diritto allo studio.