Come ricordare Vittorio Foa? Ad esempio leggendo e rileggendo l’intervento riportato di seguito, tratto da Notizie Radicali. Illuminante.
Utilizziamo tutte le possibilità costituzionali per mettere il potere in contraddizione
di Vittorio Foa
“Vorrei chiedere una cosa ai ragazzi, di non vedere tutto come un dramma, di non prestare fede a chi vede catastrofi dappertutto. Se possibile usate l’ironia e l’autoironia: esse ci consentono di essere coinvolti e distaccati, di capire e di partecipare”.
Così Vittorio Foa, nella nota che introduce un bellissimo libro, la raccolta delle lettere che Foa scrisse dal carcere dal 1935 al 1943 (Einaudi, 1998, pagg.1134). Un epistolario, annota la curatrice Federica Montevecchi, “che può essere letto, in una sua gran parte, come un lungo quaderno di appunti, un diario intellettuale sistematico anche se costretto quasi all’espressione impersonale, determinata dall’opportunità, ovvia, di concedere spazio ai sentimenti più intimi e dal rifiuto di abbandonarsi alla rassegnazione, alla passività e anche alla contemplazione. Un rifiuto che emerge con ancora più forza in contrasto all’immobilità che il carcere rappresenta e alla finalità che esso persegue: eliminare alcuni individui dalla memoria del mondo o sublimarli, per chi ad essi è legato affettivamente, in ricordi. Scrivere la lettera settimanale diventa allora anche l’unico modo di affermare il proprio esserci, l’unico strumento per contrastare l’annullamento, imposto dal carcere, della possibilità di essere partecipi della vita degli altri”.
E’ in carcere, che il giovanissimo Foa, arrestato dal regime fascista in quanto aderente a “Giustizia e Libertà”, che approfondisce la sua formazione, soprattutto attraverso lo studio con uomini come Riccardo Bauer ed Ernesto Rossi. Ed è paradossale che in quegli anni, la sola libertà di giudizio venga dal fondo di una cella di carcere.
Ricordiamo Vittorio Foa riproponendo un intervento che risale al 1974. I radicali erano impegnati nella campagna per la raccolta delle firme per “otto referendum contro il regime”. Anche Foa aderì a quella campagna, l’intervento venne pubblicato su “Liberazione”, che allora era un quotidiano radicale diretto da Marco Pannella.
Oltre alle “Lettere”, Foa ci lascia altri libri, altrettanto belli e densi: “Il Cavallo e la Torre”, e “Questo Novecento”. Leggerli è un modo perché Foa resti vivo (Va.Ve.).
Credo sia giusto utilizzare, come voi vi proponete di fare, tutte le possibilità legali e costituzionali per mettere il potere in contraddizione coi suoi stessi enunciati democratici, per mobilitare - con i referendum - il massimo di forze in una denuncia degli strumenti di organizzazione del regime. Sono anche convinto che il maggior risultato della vostra campagna non potrà essere quello di convincere il regime a non essere se stesso, ma quello di mettere in luce la vera natura delle istituzioni vigenti e il loro meccanismo di funzionamento, gli scopi effettivi cui serve l'organizzazione repressiva dello stato e della società.
Ogni giorno che passa è sempre più chiaro che il capitalismo italiano nel suo complesso ha un bisogno indomabile e crescente di strumenti repressivi nei confronti della classe operaia, e non solo per spiegarne le proteste e la resistenza, ma anche per far pagare ai lavoratori il costo della riunificazione del fronte capitalistico profondamente lacerato e in crisi. Anche se apparentemente remota dai problemi della condizione operaia la codificazione dei diritti civili li coinvolge direttamente, non solo perché ogni istituto reazionario ha una attuazione differenziata a seconda delle classi sociali (si pensi all'aborto), ma anche perché l'insieme delle istituzioni ha una funzione intimidatrice, di restaurazione ininterrotta del principio di autorità che le lotte sociali di per se stesse tendono a rifiutare.
Vi è oggi nelle lotte operaie una presa di coscienza sempre più chiara del nesso che esiste fra problemi economici e istituzioni sociali e statali. Nonostante le predicazioni politiche sulla neutralità dello stato, sull'indipendenza della magistratura, sul ruolo nazionale dell'esercito, sulla obiettività della scuola ecc. ecc., l'apparato repressivo o proibitivo si manifesta ogni volta che c'è da dare una mano ai padroni contro gli operai. Una lotta coerente per cambiare le istituzioni non può essere come proiezione delle lotte operaie. Se non vi sarà una stretta connessione fra lotte nella sovrastruttura e lotte nella struttura la conseguenza (il Cile insegna) sarà che saranno i capitalisti stessi a cambiare le istituzioni, a liberarsi della contraddizione fra programma democratico e applicazione reazionaria rendendo tutto coerentemente reazionario, liquidando insieme libertà civili e libertà politiche. Il problema reale non è tanto di introdurre delle modificazioni in questo assetto quanto di cambiare l'assetto stesso. Sembra a me che tutto l'assetto istituzionale definito dopo la seconda guerra mondiale sia in Italia in crisi profonda, che non si ponga per noi il problema di applicare la Costituzione del 1947, bensì quello di costruire, con le lotte di ogni giorno, il dopo.
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