martedì 13 ottobre 2009

GIUSTIZIATO UN ALTRO MINORENNE


Un ragazzo di 21 anni, Behnoud Shojaee, è stato impiccato all’alba nella prigione di Evin a Teheran per un omicidio commesso quando aveva 17 anni e del quale si dichiarava innocente.
Behnoud Shojaie era stato ritenuto colpevole di aver ucciso un ventenne di nome Omid durante una lite avvenuta in un parco nel giugno del 2005 che aveva coinvolto una dozzina di giovani. La condanna a morte è arrivata nel 2006 ed era stata confermata dalla Corte suprema l’anno successivo.
Dopo la condanna a morte, a fine 2007 Behnoud è stato difeso dall’avvocato Mohammad Mostafaei, che gratuitamente aiuta i minorenni nel braccio della morte in Iran.
Nel 2008 le autorità avevano mandato a morte Behnoud quattro volte e un’altra volta nell’agosto 2009, mettendolo in isolamento a Evin per alcuni giorni, come fanno di solito prima dell'impiccagione. Poi tutte le volte l’esecuzione era stata rimandata – forse anche grazie alla pressione internazionale.
Due volte era stata rinviata quando lui era a pochi secondi dall’essere impiccato, già fuori, nel cortile, con il cappio pronto.
L'ex capo del sistema giudiziario iraniano, l'ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi, aveva sospeso la pena chiedendo ai genitori della vittima se volessero perdonare l'assassino.
Ma il “prezzo del sangue” per Behnoud era proibitivo e alcuni intellettuali e artisti iraniani avevano lanciato una campagna per lui. Avevano raccolto 100 milioni di toman (70mila euro), convincendo la famiglia di Omid a concedere il perdono.
Ma il tribunale ha chiuso il conto bancario e convocato gli artisti minacciandoli di incriminazione: “Nuocete all’atmosfera politica del Paese e alla famiglia.” I genitori di Omid si sono tirati indietro.
Ai genitori stessi è stato permesso di impiccare con le proprie mani Behnoud nella famigerata prigione di Evin. La notte prima dell’esecuzione centinaia di iraniani si erano riuniti davanti alla prigione di Evin, sperando di convincere le autorità a rinviare ancora una volta l’esecuzione.
Con quest'ultima esecuzione sale a 5 il numero dei minorenni giustiziati in Iran nel 2009. Erano stati almeno 13 nel 2008 e 8 nel 2007.

(Fonte: Nessuno Tocchi Caino)

lunedì 12 ottobre 2009

DIRITTI UMANI NEGATI

Le immagini delle forche erette a Teheran, che appaiono oggi su Repubblica, sono agghiaccianti nella loro totale disumanità: tre corpi che oscillano appesi ad una sorta di enormi gru. Ieri, ad una forca come quella è stato appeso un ragazzo di ventun'anni, colpevole di aver ucciso in una rissa un suo coetaneo quando aveva solo diciassette anni, giustiziato nonostante le proteste del Paese e delle Associazioni internazionali. Altri 114 adolescenti attendono in carcere il momento dell'esecuzione. Ma fra poco, non sappiamo quando e ancora speriamo che la mobilitazione del mondo le fermi, saranno impiccati tre oppositori rei di aver manifestato contro le elezioni truccate di Ahmadinejad. Come si svolgano i processi, ce lo diceva ieri su Il Sole la scrittrice Azar Nafisi: confessioni tutte uguali, volti disfatti, stremati dalle torture. Un sistema totalitario che ci ricorda quello staliniano, i processi contro Bucharin, Buio a Mezzogiorno di Arthur Koestler. Ha ragione Emma Bonino: nell'agenda per discutere con l'Iran, oltre al nucleare, ci deve essere anche il rispetto dei diritti umani. E prima di ogni altra cosa, sono i paesi che si proclamano democratici, e che lo sono davvero, a dover abolire la pena di morte: per poter alzare alta la voce di fronte a regimi come questi, senza dover celare i loro scheletri negli armadi.

Anna Foa, storica

ATOMICA BARBARIE


Un uomo è stato impiccato per adulterio e omosessualità, mentre sua moglie è in attesa di essere lapidata per essersi prostituita, a causa delle condizioni di povertà della famiglia. Lo ha reso noto il loro avvocato, l’attivista per i diritti umani Mohammad Mostafai. L’uomo, Rahim Mohammadi, è stato impiccato a Tabriz, nel nord-ovest del Paese. Sua moglie, Kobra Babai, dovrebbe invece essere messa a morte tramite lapidazione nei prossimi giorni.
L’avvocato Mostafai ha detto che né lui né la famiglia di Rahim Mohammadi erano stati avvisati dell’imminente impiccagione e che i congiunti hanno ricevuto da un altro detenuto la notizia che l’uomo era stato messo a morte. Il legale ha spiegato che Rahim Mohammadi e Kobra Babai, sposati da circa 16 anni e con una figlia di 11, vivevano in condizioni di estrema povertà ed erano costretti a ricorrere all’assistenza economica di organizzazioni statali. Alcuni impiegati di queste organizzazioni avrebbero offerto ulteriore denaro all’uomo per poter avere rapporti sessuali con Kobra, e lui avrebbe accettato. La donna sarebbe stata quindi fatta prostituire con una quarantina di uomini, secondo quanto reso noto dall’avvocato Mostafai. E per questo è stata condannata alla lapidazione.
In un primo tempo Mohammadi era stato condannato solo per adulterio, condanna che prevede l’esecuzione tramite lapidazione, poi è stato riconosciuto colpevole anche di rapporti omosessuali (Lavat) con un vicino di casa reoconfesso, il che avrebbe comportato l’impiccagione come metodo di esecuzione. Secondo il legale, l’accusa di “rapporti anali” con un uomo era stata respinta da Mohammadi e ritrattata dal suo accusatore, ed è stata mossa solo al fine di cambiare modalità di esecuzione per timore delle proteste che la lapidazione avrebbe potuto suscitare fra gli attivisti per i diritti umani e nella comunità internazionale.
Rahim Mohammadi era stato anche sottoposto alla fustigazione alcuni giorni prima dell’esecuzione ed è stato impiccato con il corpo martoriato per le frustate ricevute.

(Fonte: Nessuno tocchi Caino)

giovedì 8 ottobre 2009

ANNA POLITKOVSKAJA


A tre anni dal suo assassinio desidero ricordare l'opera di denuncia e il coraggio di una giornalista che si batteva per il rispetto dei diritti umani, per la libertà d'informazione, per la democrazia in Cecenia così come in Russia. Il modo migliore mi sembra quello di leggere o rileggere i suoi scritti di allora che mantengono un'attualità davvero impressionante.
Coraggiose opere di denuncia che chiamano in causa le criminali responsabilità del potere russo sostenuto ed incoraggiato da quanti in questi anni hanno girato la testa dall'altra parte, mentre si commettevano dei crimini orribili. Europa in testa con pochissime ed isolate eccezioni. Di seguito alcuni articoli che ho trovato su internazionale.it.

La legge e i Kalashnikov

Buio in sala

Cecenia abbandonata

Donne usa e getta

La Cecenia e le bombe umane

L'altra Abu Ghraib

La maledizione della Cecenia

Come salvare la Cecenia

Non resta che combattere

Una donna sola

Il mio lavoro ad ogni costo

lunedì 5 ottobre 2009

MAREK EDELMAN


Il 2 ottobre a Varsavia si è spento novantenne Marek Edelman, l'unico sopravvissuto dei cinque dirigenti, tutti come lui giovanissimi, dell'Organizzazione Ebraica di Combattimento, che diede vita alla rivolta del ghetto di Varsavia. Edelman era un militante del Bund, e dopo aver guidato la rivolta del ghetto, riuscì a fuggire dal ghetto distrutto. Partecipò all'insurrezione di Varsavia. Dopo il 1945, scelse di restare in Polonia, con una decisione simile a quella di molti ebrei dell'Occidente, ma più anomala in Polonia, soprattutto dopo il 1967, e l'eliminazione dalla vita politica di tutti o quasi gli ebrei. Edelman, da buon militante del Bund contrario alla scelta sionista, continuò a esercitare il suo mestiere di medico cardiologo nell'ospedale di Lodz, dove la reazione dei suoi pazienti impedì al regime comunista di cacciarlo. Nel 1981 fu delegato di Lodz al primo congresso di Solidarnosh. I suoi rapporti con Israele furono complicati e sovente conflittuali. In una sua testimonianza sulla rivolta del ghetto, scrisse con grande anticonformismo parole prive di ogni retorica: "La maggior parte di noi era per l'insurrezione. Dal momento che l'umanità aveva convenuto che era molto più bello morire con le armi alla mano che a mani nude, non ci restava che piegarci a questa convenzione".

Anna Foa, storica

venerdì 2 ottobre 2009

STUPRI DI GUERRA


Bosnia ed Erzegovina: 14 anni dagli stupri di guerra e ancora nessuna giustizia

Questo paese dimentica tutto. Si dimentica di noi, vittime. Ma io non dimenticherò mai quello che mi è accaduto." (Sabiha, intervistata da Amnesty International)

"Non so se è possibile punire questo crimine. Ammesso che la giustizia esista, sarà da qualche altra parte ma non qui in Bosnia." (Bakira, intervistata da Amnesty International)

In un nuovo rapporto presentato oggi a Sarajevo, Amnesty International ha accusato i governi che si sono succeduti al potere dalla seconda metà degli anni Novanta, di non aver assicurato giustizia alle migliaia di donne e ragazze stuprate nel corso della guerra del 1992-95.

"Durante la guerra, migliaia di donne e ragazze furono stuprate, spesso con brutalità estrema. Molte di esse vennero detenute in campi di prigionia, alberghi o case private e costrette allo sfruttamento sessuale. In tante vennero uccise. Oggi, alle sopravvissute a questi crimini viene negato l'accesso alla giustizia. I responsabili delle loro sofferenze, membri dell'esercito, della polizia e dei gruppi paramilitari, circolano liberamente, alcuni accanto alle proprie vittime, altri addirittura in posizioni di potere" - ha dichiarato Nicola Duckworth, direttrice del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.

"Il governo della Bosnia ed Erzegovina ha l'obbligo di garantire accesso alla giustizia e piena riparazione alle vittime di crimini contro l'umanità e di violazioni del diritto umanitario. Perché questo accada, le autorità dovranno impegnarsi a svolgere indagini complete e approfondite, in grado di portare in giudizio i responsabili di crimini di guerra e violenze sessuali. In caso contrario, le vittime continueranno a sopportare gli effetti di questi atti orribili" - ha affermato Duckworth.

Il rapporto diffuso a Sarajevo, intitolato "Giustizia per chi? Le donne della Bosnia ed Erzegovina l'attendono ancora", denuncia lo stato fallimentare del sistema giudiziario del paese, l'assenza di riparazione per le vittime e la violazione dei diritti umani di queste ultime.

"Molte donne sopravvissute alla violenza sessuale durante la guerra non possono ottenere alcun risarcimento a causa della complessità del sistema giudiziario e dell'assistenza sociale. Inoltre, rispetto ad altre vittime di guerra, subiscono discriminazioni nell'accesso ai benefici sociali" - ha sottolineato Duckworth.

Jasmina, vittima di violenza sessuale durante la guerra, ha riferito ad Amnesty International: "Non riesco a dormire senza prendere le pillole. Mi irrito subito appena qualcuno mi parla della guerra. Basta un'immagine, un ricordo, uno spot in tv... e io crollo. Ho bisogno d'aiuto".

È a persone come Jasmina che le autorità della Bosnia ed Erzegovina non danno accesso a cure mediche e a forme di sostegno psicologico, che vengono assicurate solo dalle Organizzazioni non governative (Ong), alle prese con problemi di risorse. Una Ong ha riferito ad Amnesty International che la gran parte delle sopravvissute ai crimini di guerra legati alla violenza sessuale non stanno ricevendo alcun'assistenza psicologica.

Migliaia di donne sopravvissute allo stupro hanno perso i loro parenti. Molte non sono in grado di trovare o mantenere un posto di lavoro a causa della loro fragilità psicologica e altre vivono senza una fonte fissa di reddito, in povertà, nell'impossibilità di comprare i medicinali necessari.

Poiché lo stupro continua a essere un argomento tabù, spesso le donne sono considerate con riprovazione piuttosto che come persone che hanno subito violenza e che hanno bisogno di essere aiutate a ricostruirsi una vita.

"Le autorità devono cooperare con le Ong nello sviluppo di una strategia complessiva per assicurare che le sopravvissute alla violenza sessuale ottengano una riparazione, che preveda una pensione adeguata, un ingresso agevolato nel mondo del lavoro e il più alto standard possibile di cure mediche. Il governo deve sostenere queste donne, dare voce alla loro richiesta di diritti e combattere la discriminazione e lo stigma che affrontano quotidianamente" - ha concluso Duckworth.

Ulteriori informazioni

Stupri e altre forme di violenza sessuale sono avvenuti su scala massiccia durante la guerra degli anni 1992-95 in Bosnia ed Erzegovina. Il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (Tpij), istituito nel 1993 per punire gravi violazioni del diritto umanitario, violenza sessuale inclusa, è stato in grado di occuparsi solo di una piccola parte di casi: fino al luglio di quest'anno, aveva trattato 18 casi di violenza sessuale in Bosnia ed Erzegovina.

La Camera per i crimini di guerra, istituita nel 2005 nell'ambito della Corte di stato della Bosnia ed Erzegovina per seguire casi che il Tpij non potrebbe giudicare, ha condannato a oggi solo 12 persone per crimini di violenza sessuale.

(Fonte: Amnesty International)