martedì 21 dicembre 2010

Attacco alla neutralità della rete

Spagna: WikiLeaks svela i retroscena della proposta di legge contro la neutralità della rete

Dopo che a novembre il Senato aveva bocciato una legge che regolamentava l'accesso al web, il primo dicembre è stata approvata la mozione che ne modifica le disposizioni più illiberali. Successivamente, attraverso Wikileaks, sono venute alla luce le pressioni USA nella definizione di quella legge.

sabato 18 dicembre 2010

Reporters Sans Frontières dénonce ...

Médias et sites censurés ou bloqués pour avoir relayé Cablegate

Reporters sans frontières dénonce les mesures de censure prises par des gouvernements ou des entités administratives à l’encontre de sites ou de médias qui ont diffusé les câbles diplomatiques obtenu par WikiLeaks. “Nous ne pouvons que déplorer ces réflexes de censure. Les tentatives de bloquer la diffusion de ces documents sensibles, déjà très largement disponibles sur le Net, sont vouées à l’échec. Elles représentent une atteinte au droit d’être informé.”


Selon le Wall Street Journal, l’aviation américaine (Air Force) a pris des mesure drastiques contre la divulgation des télégrammes diplomatiques par WikiLeaks, en bloquant l’accès de ses employés qui ne disposent pas d’une autorisation spéciale, depuis leurs ordinateurs professionnels, aux sites des cinq quotidiens qui ont directement collaboré avec WikiLeaks : The New York Times, The Guardian, Le Monde, Der Spiegel et El Pais, ainsi qu’une vingtaine d’autres médias ou blogs relayant ces documents. Le quotidien américain s’est procuré une copie du message obtenus par les employés s’ils tentent de se connecter à ces sites : “Accès interdit. L’utilisation d’Internet est enregistrée et surveillée”. Une porte-parole de US Air Force, le lieutenant-colonel Brenda Campbell, a déclaré au New York Times que “les sites de médias qui publient des documents classifiés du site WikiLeaks seront bloqués. Il s’agit de la même procédure qui s’applique aux sites publiant toute information classifiée.” Elle a précisé que seuls les sites postant ces documents dans leur intégralité seront bloqués, et non ceux qui ne diffusent que des extraits. Le ministère de la Défense a pris ses distances par l’intermédiaire d’un porte-parole qui a précisé que cette initiative n’était pas conduite par le ministère, ajoutant que ni l’Armée de terre, ni la Marine, ni les Marines n’ont mis en place des mesures de blocage similaires.

Le gouvernement américain avait ordonné, vendredi 3 décembre 2010, à ses différentes entités, de prendre des mesures pour que leurs employés non autorisés ne puissent plus avoir accès à WikiLeaks depuis leurs ordinateurs professionnels, une mesure mise en place quelques heures plus tard par la bibliothèque du Congrès, qui bloque désormais l’accès au site. Le Bureau du budget de la Maison blanche a rappelé que "chaque employé et chaque sous-traitant du gouvernement fédéral a l’obligation de protéger les informations confidentielles" et que les fuites n’ont pas eu pour effet de déclassifier les documents. Le même jour, l’armée américaine avait mis en ligne sur le réseau Internet utilisé par ses troupes en Irak – NIPRNet - un avertissement contre la consultation des documents publiés par WikiLeaks : "En vertu des règles du ministère de la Défense, (...) le personnel doit éviter de consulter sur le NIPR des articles des publications de WikiLeaks."

Par ailleurs, les journaux qui relaient l’information contenue dans les documents de WikiLeaks font également les frais de la censure dans plusieurs pays. Le Maroc a ainsi bloqué la diffusion de l’édition du quotidien français Le Monde, en date du 12 décembre, tout comme celles du journal espagnol El Pais et du quotidien arabe Al-Quds Al-Arabi, au début du mois de décembre 2010. Ces médias avaient publié un télégramme du consulat américain de Casablanca de décembre 2009 dénonçant les tentatives de corruption de proches du roi Mohammed VI, notamment au cours de transactions immobilières.

Un responsable du ministère de la Communication a déclaré à l’AFP le 14 décembre 2010 que ces médias avaient “été interdits d’entrée pour avoir publié des informations diffamatoires sur le Maroc données sur le site WikiLeaks”. Cette décision s’appuierait sur “un article du code de la presse qui stipule que le ministère de la Communication a le droit d’interdire toute publication dont des articles portent atteinte à la religion, à l’intégrité territoriale et à la monarchie”.

L’accès à WikiLeaks est bloqué, notamment en Chine et en Thaïlande. Au Pakistan, le site est accessible, mais des pages contenant les télégrammes liés au Pakistan sont bloquées.


venerdì 17 dicembre 2010

Contro imposizioni e clandestinità, libertà di scelta e di dibattito



Il 67% degli italiani è favorevole alla legalizzazione dell'eutanasia (Rapporto Eurispes 2010).

Il governo no.

Parliamone. No alla censura di regime.

Associazione Luca Coscioni.

Radicalparty

giovedì 16 dicembre 2010

Wikileaks: fermiamo la repressione in atto - Campagna Avaaz



L'agghiacciante campagna intimidatoria contro WikiLeaks (senza che sia stata violata alcuna legge) è un attacco alla libertà di stampa e alla democrazia. Abbiamo bisogno urgente di una denuncia pubblica enorme per fermare la repressione in corso: raggiungiamo 1 milione di voci e pubblichiamole su intere paginate dei giornali statunitensi questa settimana!

La raccapricciante campagna intimidatoria contro WikiLeaks sta facendo rabbrividire chiunque sia a favore della libertà di stampa.

Gli esperti legali ritengono che WikiLeaks non abbia violato nessuna legge. Nonostante questo i più importanti politici statunitensi lo hanno definito un gruppo terroristico e i commentatori hanno esortato all'uccisione dei membri del suo staff. L'organizzazione è stata attaccata duramente da governi e multinazionali, ma WikiLeaks sta solo pubblicando notizie fornite da un informatore. E vaglia attentamente le informazioni da pubblicare in collaborazione con le maggiori testate giornalistiche mondiali (NYT, Spiegel, Guardian, etc.).

L'impressionante intimidazione extra-giudiziaria contro WikiLeaks è un attacco alla democrazia. Abbiamo bisogno urgente di un appello pubblico per la libertà di stampa e di espressione. Firma la petizione per fermare la repressione in atto e inoltrala a tutti: raggiungiamo 1 milione di firme e pubblichiamole su paginate di quotidiani statunitensi questa settimana!


WikiLeaks non sta agendo da solo; insieme alle maggiori testate nel mondo (New York Times, The Guardian, Der Spiegel, etc.) recensisce attentamente i 250.000 documenti diplomatici statunitensi per eliminare le informazioni che sarebbe da irresponsabili pubblicare. Finora solo 800 cablogrammii sono stati pubblicati. Le precedenti pubblicazioni di WikiLeaks hanno smascherato governi in favore della tortura, l'assassinio di civili in Iraq e Afganistan e la corruzione di grandi multinazionali.

Il governo statunitense sta perseguendo tutte le vie legali possibili per impedire a WikiLeaks di pubblicare altri documenti, ma le leggi delle democrazie proteggono la libertà di stampa. Il governo statunitense e altri possono non essere in favore delle leggi che proteggono la nostra libertà di espressione, ma è proprio per questo che la loro esistenza è fondamentale e che solo un procedimento democratico può modificarle.

Le persone ragionevoli potrebbero essere in disaccordo fra loro se WikiLeaks e i principali quotidiani con cui collabora stanno diffondendo più informazioni di quanto l'opinione pubblica dovrebbe conoscere; se le pubblicazioni mettono in pericolo la fiducia nelle relazioni diplomatiche e se questo sia positivo o meno; se il fondatore di WikiLeaks Julian Assange sia un eroe o piuttosto un mascalzone. Ma niente può giustificare una pericolosa campagna intimidatoria per mettere a tacere un canale mediatico legale da parte dei governi e delle multinazionali. Clicca sotto per partecipare all'appello per fermare la repressione in corso:

Ti chiedi mai perché i media raccontano così di rado tutta la storia di quello che succede dietro le quinte? Ecco perché: quando lo fanno, i governi possono rispondere in maniera brutale. E quando questo succede sta alla gente mettersi dalla parte dei diritti democratici per la libertà di stampa e di espressione. Mai prima d'ora ci si è proposto
(Fonte: Avaaz)


Con speranza,


Ricken, Emma, Alex, Alice, Maria Paz e il resto del team di Avaaz.




mercoledì 15 dicembre 2010

Stampa e Regime, davvero

Si vergogni Stajano!


di Valter Vecellio

Qual è la forza della mafia? Ce lo spiega Corrado Stajano sul “Corriere della Sera” dell’11 dicembre scorso, recensendo “Mafia e politica nella seconda repubblica” del professor Nando Dalla Chiesa. Del professore, nonostante gli anni trascorsi, conserviamo freschissima memoria degli insulti scagliati contro Leonardo Sciascia; ne ricordiamo la prosa, e in particolare un libro; e sono state letture sufficienti, ad altre preferiamo dedicare il nostro tempo. Anche l’articolo di Stajano ci era sfuggito, e dobbiamo a un paio di compagni che ce l’hanno segnalato, se abbiamo infine letto il suo “La bandiera bianca dell’antimafia”; e segnatamente la perla che segue:

“…La forza della mafia, si sa, è fuori dalla mafia, sempre bisognosa di un puntello della politica che a sua volta se ne serve. La DC di Lima e di Andreotti (fino al 1980), il PSI e i radicali nell’86, poi, dopo la caduta del muro di Berlino dell’89 e l’inchiesta milanese di Mani Pulite”, la ricerca di una nuova alleanza…”.



Si vergogni, Stajano; e con lui, se sanno, si vergogni il direttore del “Corriere della Sera”, e il responsabile della pagina culturale che hanno pubblicato e lasciato pubblicare questa infamità. Dunque, i radicali nel 1986 sono stati un puntello che si è servita ed è servita alla mafia. Si vergognino. Facciano nomi, citino episodi, fatti, situazioni; ci dicano, se possono e se sanno, in che modo i radicali sono stati puntello della mafia e la mafia è stata puntello dei radicali. E’ lo stesso tipo di aggressione volgare e rivoltante che patì Leonardo Sciascia quando lo si accusò di essere un quaquaraquà, e poi si giunse a sostenere che “Il Giorno della civetta” è un romanzo che esalta la mafia; la stessa aggressione che subì Giovanni Falcone: accusato di essersi asservito a Claudio Martelli e ai socialisti, di tener chiusi nei cassetti la verità sui delitti eccellenti di mafia… Che schifo, davvero!


(Fonte: Notizie Radicali)

martedì 30 novembre 2010

World’s youngest detained blogger on trial in northern Iran

The world’s youngest detained blogger, 18-year-old Navid Mohebbi, is currently being tried behind closed doors before a revolutionary court in the northern city of Amol. His lawyer is not being allowed to attend the trial, which began on 14 November.

Arrested at his home in Amol on 18 September by eight intelligence ministry officials, Mohebbi is facing the possibility of a long prison sentence. A women’s rights activist who keeps a blog called “The writings of Navid Mohebbi” (http://navidmohebbi3.blogfa.com/), he had been summoned and questioned several times by various intelligence services in the past year. He was beaten at the moment of his arrest and has been held in cell with ordinary offenders ever since.

Mohebbi has been accused of “activities contrary to national security” and “insulting the Islamic Republic’s founder and current leader (...) by means of foreign media.” He has also been accused of being member of the “One Million Signatures” movement, a campaign to collect signatures to a petition for changes to laws that discriminate against women.

One the movement’s leaders, Sussan Tahmassebi, who edits the English-language version of the “Change for Equality” website, received the Alison Des Forges award from Human Rights Watch on 16 November for her activities of behalf of human rights.

She told Reporters Without Borders: “I dedicate this prize to all the human rights activists and women’s rights activists in Iran, especially those who are currently in prison, hoping to be freed soon. This prize will given them encouragement.”

Mohebbi’s case is not isolated. Many Iranian netizens have been arrested, prosecuted or convicted. Ten of them are currently in prison in Iran. One of the detained bloggers is Ahmad Reza Ahmadpour, a cleric and editor of the “Silent Echo” website (http://www.pejvak-kh.com), who has been held since 27 December 2009 in the religious city of Qom.

He is serving a one-year sentence on charges of “disseminating false information attacking the government” and “discrediting the Shiite clergy.” He went on hunger strike last year in protest against his prison conditions and sent an open to UN secretary-general Ban Ki-moon.

Until Mohebbi’s arrest, the world’s youngest blogger in detention was the Syrian high school student Tal Al-Mallouhi, who was 18 when she was arrested on 27 December 2009 after responding to a summons from a Syrian intelligence agency. She is still being held by the intelligence agency although no charge has so far been brought against her.

(Fonte: RSF)

lunedì 29 novembre 2010

I GIUSTI

di Jorge Luis Borges

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.

Chi è contento che sulla terra esista la musica.

Chi scopre con piacere una etimologia.

Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.

Il ceramista che intuisce un colore e una forma.

Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.

Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.

Chi accarezza un animale addormentato.

Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.

Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.

Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.

Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.



mercoledì 24 novembre 2010

Campagna online per sostenere i giovani omosessuali

La campagna It Gets Better, lanciata dagli attivisti Usa e presto diffusasi in tutto il mondo, mira a prevenire i suicidi tra gay e lesbiche adolescenti grazie ai filmati auto-prodotti che raccontano storie reali. L'iniziativa viene ufficialmente appoggiata da Barack Obama e Hillary Clinton.

Vai su Global Voices.


martedì 23 novembre 2010

EUROPA! GIÙ LE MANI DALLE NOSTRE MEDICINE

Le vite di milioni di persone nei Paesi in via di sviluppo dipendono da farmaci generici a basso costo. Più dell’80% delle medicine utilizzate da MSF per curare l’AIDS nei paesi poveri vengono prodotte in India. Ma la Commissione Europea sta chiudendo il rubinetto dei farmaci accessibili attaccando la produzione, la registrazione, il trasporto e l’esportazione di farmaci generici. Le persone che hanno bisogno di queste medicine verranno lasciate senza trattamenti salvavita.

Aiuta Medici Senza Frontiere a dire alla Commissione Europea "GIÙ LE MANI DALLE NOSTRE MEDICINE"!

Aderisci alla campagna, invia una mail al Commissario De Gutch

domenica 7 novembre 2010

Futuro e libertà per l'Italia, la svolta di Perugia

L' intervento di Fini


Care amiche e cari amici di futuro e libertà, ...

abbiamo tutto il diritto di essere molto molto soddisfatti, ...
in poche settimane ci ritroviamo qui politicamente determinanti, per l'avvenire della nostra patria ...

questo piccolo grande miracolo è stato determinato da voi e dai tanti uomini e donne che hanno dimostrato che può ancora vincere un progetto ideale che antepone il bene comune all' interesse personale ...
sei vuoi costruire una nave ... risveglia prima negli uomini la nostalgia del mare,
un ringraziamento ai giovani ... ai tanti che non hanno esperienza politica ... l'Italia per bene
a chi ha una lunga esperienza politica con provenieze diverse ...
Futuro e Libertà ... porte aperte a tutti tranne i carrieristi e gli affaristi ... il nostro progetto ha la volontà di incarnare i valori del centrodestra europeo, sono i valori del nostro manifesto ... i capisaldi ...

il valore della nazione come coscienza di un 'identità, ... la gens italica esiste da almeno duemila anni, orgoglio del nostro patrimonio artistico culturale, ...
il valore della legalità che è un abito mentale, rispetto delle istituzione, senso dello stato, precondizione della libertà dove la legge è uguale per tutti ...
il valore del rispetto della persona umana senza nessuna distizione, uomini e donne, cristiani mussulmani ebrei, eterossesuali e omossessuali ... sfida dell'integrazione diritti civili e cittadinanza,
...  peggior arretratezza europea nel PDL ... cultura deteriore della lega
il valore del lavoro ... riscatto sociale, crescita morale, centralità del lavoro, 
il valore della famiglia ... cellula primaria della società, come ammortizatore sociale, famiglia senza distinzioni, ...

Futuro e libertà mai sulbalterna alla sinistra italiana, ... perimetro culturale del manifesto, ... no al pensiero debole, ... il nostro è un progetto ambizioso dobbiamo dar vita alla rivoluzione liberale che non si è realizzata se non in minima parte, ...

Nel PDL ci sono uomini e donne che rispettiamo, ... noi siamo oltre il PDL oltre Berlusconi, il nostro progetto va oltre e intende recuperare il tempo perduto, gli impegni mancati ...
Non c'è alcuna volontà di annacquamento con il progetto della sinistra, ... noi pensiamo di aver il dovere, oltre il coraggio, di accettare la sfida e di andare oltre il centrodestra ... no a un partito che intende lucrare ... dobbiamo crederci, provarci con convinzione dobbiamo tornare a sentire il posto del Paese, l' Italia profonda, silenziosa che lavora che non è il Paese dei balocchi che dipinge Berlusconi ...
Rigore nell'utilizzo del denaro pubblico, ... con i tagli lineari alla spesa si toglie qualcosa a tutti venendo meno il dovere di indicare dove intervenire con più incisività ...
No ai sacrifici per chi è in prima linea con il crimine, carabinieri e polizia ...
Il governo sta galleggiando ma ha perso la rotta, che vive alla giornata che ha smarrito le priorità altro che ddl sulle intercettazioni ...
Stanno aumentando le diseguaglianze, impoverimento del ceto medio, altro che Paese dei balocchi e spot da mulino bianco, ... conflitto generazionale allarmante ...
Proposta per il mercato del lavoro guardare ad altri Paesi europei, ... welfare delle opportunità, ...
contratti di lavoro a termine con busta paga più pesante come in Germania ...

Il governo del fare in alcuni casi e il governo del far finta che tutto va bene ... eccessiva tolleranza verso ciò che è illegalità ... decadimento morale della nostra società condizione della società che non è figlia della modernità ma è la conseguenza della perdita di rigore di decoro da parte di chi rappresenta le istituzioni ...
Un' altra politica, una politica più alta ... il bipolarismo è un valore ma sulle questioni importanti bisogna trovare delle risposte condivise che vengono richieste dalla parte dell' Italia che tira la caretta...
Il patto di legislatura non è il compitino dei 5 punti ... il patto di legislatura è possibile se c'è un nuovo programma di governo, a condizione che nella agenda politica ci siano alcune questioni: rilancio di nuovo patto sociale, ... stati generali dell'economia e del lavoro, ... tavolo per la crescita,
...
Tre riforme, ... di cui si parla da almeno 20 anni inutilmente, ... la prima: istituzione di una camera che rappresenti il territorio, senato delle autonomie e riscrittura del 117, la seconda: cancellazione della attuale legge elettorale

Nuova agenda, nuovo programma, futuro e libertà non rinuncia alla sua autonomia al suo manifesto programmatico ... Berlusconi deve avere un colpo d'ala rassegnando le dimissioni e salire al Colle, ...
se non ci sarà questo colpo d' ala e sentirà i cattivi consiglieri, ... è evidente che ritireremo i nostri rappresentanti nel governo, ... siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità, ...

Futuro è libertà ... è un ambizioso e nobile tentativo di dare una speranza alla nostra patria ...

Viva futuro e libertà via l' Italia

domenica 31 ottobre 2010

IL FUOCO SOTTO LA NEVE

Una lettera della regista

Cari amici,

vi è un legame speciale fra Palden Gyatso e l’Italia (legame che ho anch’io!).
Palden ha trascorso 33 anni nelle carceri cinesi. Per la sua liberazione, Amnesty International lanciò una campagna internazionale e la Sezione italiana lo adottò come prigioniero di coscienza. Paolo Pobbiati, già presidente della Sezione italiana di Amnesty International ha scritto una significativa introduzione in occasione dell’uscita nei cinema giapponesi di Fire Under the Snow.

Nel 2006 sono stata a Torino per filmare Palden nel corso dello sciopero della fame effettuato durante le Olimpiadi invernali. Usando questo evento così simbolico e fortemente mediatico, cercava di attirare l’attenzione pubblica sull’assegnazione dei Giochi Olimpici del 2008 a Pechino. Il Vicepresidente del Comitato Olimpico Internazionale Mario Pescante si è recato nel luogo dove si svolgeva lo sciopero della fame per richiederne l’interruzione, ma ha rivelato la sua impotenza dalla posizione che lui ricopriva. Abbiamo ripreso la dedizione di Palden per la sua causa, l’attenzione rivolta ai giovani tibetani in sciopero della fame accanto a lui, e il suo commosso ricordo dei compagni scomparsi. Mentre giravo il documentario, ho incontrato dei fantastici attivisti italiani che mi hanno fatta sentire a casa, in un momento in cui mi sentivo sola e agitata. Mi hanno anche portato nella migliore pizzeria di Torino (mentre Palden faceva lo sciopero della fame!) e abbiamo pianto sul tavolo pieno di pizze, al pensiero degli scioperanti. Ho anche incontrato meravigliosi tibetani impegnati lì come volontari, e nel “Making of di Fire Under the Snow" che è incluso nella speciale edizione del DVD potrete vedere come i volontari avessero bisogno di “nutrirsi di cibo”, durante lo sciopero della fame.


Dopo l’uscita del film, nel 2008, siamo stati invitati a presentarlo al festival Cinemambiente, e Palden ed io ci siamo ritrovati di nuovo a Torino. Devo assolutamente dire che è stato il più bel festival di cinema a cui abbiamo mai partecipato. Invitare Palden è assai complicato, perché ha bisogno di visti speciali per qualsiasi posto dove si rechi (non ha un passaporto, ma un attestato di rifugiato). Nonostante ciò lo staff di Cinemambiente si è preso davvero a cuore la questione, e ha tempestato di fax e telefonate il Consolato italiano a New York, per convincerli ad accelerare la procedura del visto. Abitualmente i festival non si prendono così tanta cura degli ospiti, ma a Cinemambiente siamo stati trattati come parte della famiglia! Alla festa di chiusura ho persino pianto..


Ecco perché, davvero, devo qualcosa all’Italia. E come espressione di gratitudine per i miei amici di Torino e della Sezione italiana di Amnesty, ho previsto un prezzo “molto” speciale ($18, abitualmente sarebbe $24) più i costi di spedizione ($6, contro gli abituali $8.98) solo per gli acquirenti Italiani, spedendo io le copie direttamente dall’ufficio postale. La transazione attraverso paypal garantisce sicurezza, potete usare una carta di credito italiana e la transazione potrà essere fatta in italiano.


Come potrete immaginare, non è stato facile fare questo film e distribuirlo in giro per il mondo. Ho accumulato dei debiti che devo ancora saldare, ma sono così felice che ora sia disponibile in versione PAL in varie lingue europee.


Vi sarei molto grata se poteste far girare la voce. Informate dell’uscita del DVD i vostri amici in Francia, Germania, Gran Bretagna, oltre che in Italia, raccomandando di non perderselo! Spero, entro novembre, di essere diventata la cliente più noiosa di tutto l’ufficio postale, con le lunghe file in attesa che causerò tutti i giorni con le mie spedizioni!

Per concludere, ritengo che la storia della vita di Palden vada al di là di movimenti politici o del concetto di religione, ma parli dell’intera condizione umana. Lui si è piegato alla sofferenza ma non si è arreso; questa non è solo la sua vittoria, è una storia che deve essere raccontata ad ogni nuova generazione. Il dolore e la guerra dei nostri giorni e nelle nostre menti rende tutto questo ancora più evidente.


Credo fortemente che questo film possa portare qualche goccia di speranza a coloro che lo guarderanno.

Grazie,
Makoto Sasa

Regista/Produttrice di Fire Under the Snow










domenica 10 ottobre 2010

La Gay Pride de Belgrade 2010


Violenti scontri tra polizia e manifestanti anti gay pride a Belgrado. L' article sur "Le Courrier des Balkans".

Anna Politkovskaja un triste anniversario


A quattro anni dall'assassinio di Anna Politkovskaja, esecutori e mandanti rimangono impuniti. Majnat Kurbanova, collega di Anna alla Novaja Gazeta, la ricorda nel giorno di questo triste anniversario. Leggi l'articolo su Osservatorio Balcani e Caucaso

sabato 9 ottobre 2010

Eterologa, un’ordinanza del tribunale rinvia la questione alla corte costituzionale

Avv. Filomena Gallo, Prof. Avv. Gianni Baldini

Il Tribunale di Firenze ha sollevato il dubbio di costituzionalità relativamente alla norma della Legge 40 con la quale si vieta alle coppie sterili di accedere alla fecondazione eterologa. La richiesta era stata avanzata da una coppia coniugata il cui partner era affetto da azoospermia a causata da terapie fatte in età adolescenziale. La coppia, dopo essere stata in cura in Svizzera e in altri centri stranieri, si è rivolta all’Associazione Luca Coscioni per essere assistita legalmente nella richiesta di poter effettuare le cure nel proprio Paese. La coppia su indicazione dell’associazione nomina propri legali Avv. Filomena Gallo e il Prof. Avv. Gianni Baldini, che presentano ricorso d’urgenza presso il Tribunale di Firenze.

“Il Giudice ha riconosciuto le istanze mosse dalla coppia dopo aver rilevato profili di manifesta irragionevolezza del divieto assoluto di PMA eterologa per l’evidente sproporzione mezzi-fini; di illegittima intromissione del legislatore in aspetti intimi e personali della vita privata - spiega il professor Baldini docente di Biodiritto nell’Università di Firenze - questa sentenza è infatti assolutamente coerente con le precedenti pronunce in materia e ritiene che l’articolo relativo al divieto di fecondazione eterologa sia contrario alla Costituzione e rimanda gli atti alla Corte affinché provveda alla relativa declaratoria. Questo pronunciamento prende atto dell’intervenuta approvazione del Trattato di Lisbona - aggiunge Baldini - nel quale si afferma che le decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono direttamente applicabili nel nostro ordinamento ”.

La coppia aveva chiesto aiuto dopo aver appreso del caso dell’Austria che era stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo proprio relativamente al divieto di eterologa. “Abbiamo deciso di raccogliere questa sfida nonostante fosse la più difficile tra tutte quelle necessarie a fa riscrivere nella Legge 40 perché ci sembrava che i tempi ormai fossero maturi e che si stesse creando una sensibilità finalmente europea a questo problema come dimostra anche il Nobel dato a Stoccolma ad Edwards che riconosce come questa medicina raccolga in realtà istanze e aspirazioni profondamente umane - spiega l’Avvocato Filomena Gallo - Il tribunale di Firenze ha riconosciuto che è irragionevole e discriminatorio non consentire a chi è totalmente sterile di conseguire, utilizzando le tecniche disponibili, il fine procreativo di coppia. Ed è per questo che, se il giudice italiano non ritiene di poter procedere ad un'interpretazione della legge nazionale in contrasto con la normativa comunitaria, deve sollevare la questione di costituzionalità sottolineando un conflitto netto tra la norma e i diritti dell’Uomo".

Concludono gli Avvocati difensori: “Non vi è stata alternativa alla rimessione della questione alla Corte Costituzionale, perché come avvenuto in altre occasioni, possa essere restituita certezza ed uniformità di decisioni in questa delicatissima e fondamentale materia.”


Avv. Filomena Gallo 333 4567091

Prof. Avv. Gianni Baldini 335 5912109

Si allega scheda tecnica





Scheda tecnica

COMUNICATO STAMPA

***



TRIBUNALE DI FIRENZE

Ordinanza 1 settembre 2010 G.I. Dott. D. Paparo



IL DIVIETO DELLA FECONDAZIONE ETEROLOGA (art. 4 l. 40/04) E’ CONTRARIO A COSTITUZIONE

A distanza di oltre due anni dalle ordinanze di rimessione sulla legge 40/04 alla Consulta adottate dal Tribunale di Firenze, ordinanze che hanno consentito alla Corte di riscrivere l’art. 14 della legge eliminando l’obbligo dei tre embrioni, del loro contemporaneo impianto e il divieto di crioconservazione degli embrioni sovrannumerari, sempre dal foro fiorentino arriva un colpo, se possibile ancora più duro alla legge: per la prima volta nel nostro paese un giudice ordinario ritiene costituzionalmente illegittimo il divieto di procreazione assistita di tipo eterologoprevisto dall’art. 4 l. 40/04, sospende il processo e rimette gli atti alla Corte.

Lo spunto è offerto da una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dell’aprile scorso che ha dato ragione a due coppie austriache che chiedevano di effettuare la PMA eterologa vietata dalla legge statale condannando lo Stato Austriaco oltre che al risarcimento dei danni alla necessità di eliminare tale illegittimo divieto dal sistema.

STRUTTURA DELL’ORDINANZA

Premessa

Viene riconosciuta la piena vigenza e della fondatezza nell’ordinamento italiano dei diritti asseriti dalla ricorrente:

a)Condizione di sterilità assoluta con conseguente impossibilità di procreare senza l’utilizzo di materiale genetico altrui per via naturale;

b) irragionevole e discriminatorio non consentire a chi è sterile in maniera assoluta di conseguire, utilizzando le tecniche disponibili, il fine procreativo di coppia;

c) Discendenza genetica e diritto all’informazione del nato non sono situazioni assolute e devono essere contemperate col diritto alla procreazione e alla costituzione di una famiglia;

d) il diritto del minore di conoscere le proprie origini genetiche deve essere contemperato con il diritto all’anonimato del donatore (analogamente a quanto previsto per l’adozione);

Fatto

Una coppia sposata dal 2004 nella quale il marito è affetto da azoospermia severa a seguito di cure pregresse risalenti all’infanzia, con conseguente sterilità assoluta che rende impossibile avere un figlio, unica possibilità risulta l’eterologa, stante il divieto in Italia di PMA eterologa inizia un lungo calvario all’estero in paesi dove tale metodica è consentita. Dopo aver sostenuto ingenti costi economici per rivolgersi a strutture mediche all’estero, appreso della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che condannava lo Stato Austriaco a rimuovere il divieto alla PMA eterologa contenuta nella sua legge perché contraria all’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione, si rivolge al Centro Medico Demetra srl di Firenze chiedendo in applicazione di tale sentenza l’esecuzione dell’intervento di PMA eterologa.

Il Centro rifiuta l’esecuzione dell’intervento vietato dalla Legge 40/04 e la coppia si rivolge all’associazione Luca Coscioni tramite Soccorso civile fornisce l’assistenza legale per l’affermazione dei diritti lesi dalla legge 40/04. La coppia viene assistita dall’ Avv. Filomena Gallo e dal Prof. Avv. Gianni Baldini di Firenze, legali, peraltro delle coppie e associazioni che ha portato la Consulta a pronunciarsi sulla incostituzionalità dell’art. 14 L. 40/04.

Con il ricorso ex art. 700 c.p.c. la difesa della coppia chiede che il Tribunale di Firenze, preso atto della sentenza adottata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 1^ sez, SH e altri/Austria, del 1 aprile 2010, ritenuta la rilevanza della medesima nel giudizio, valutata l’impossibilità di operare in via di interpretazione l’adeguamento della norma di cui all’art. 4 c. 3 L. 40/04 a quanto previsto dalla Convenzione e deciso dalla Corte voglia dichiarare il diritto dei ricorrenti a :

a) ricorrere alle metodiche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo; b) utilizzare il materiale genetico di terzo donatore anonimo acquisito direttamente dalla coppia ovvero dal centro secondo quanto previsto dai DLGS 191/07 e DLGS 16/10, per la fecondazione degli ovociti della Sig.ra; c) sottoporsi ad un protocollo di PMA adeguato ad assicurare le più alte chances di risultato utile compatibilmente a quanto stabilito dalla sentenza Corte Cost. 151/09; c) sottoporsi ad un trattamento medico eseguito secondo tecniche e modalità compatibili con un elevato livello di tutela della salute della donna nel caso concreto; d) disporre, in attesa della definizione del giudizio di merito e in via incidentale dell’eventuale giudizio di legittimità costituzionale, la crioconservazione degli embrioni prodotti e destinati al ciclo di PMA di tipo eterologo.

In ogni caso, ritenuta la portata della pronuncia della Corte Europea quale canone ermeneutico generale con valore sub-costituzionale, disapplicare l’art. 4 c. 3 L. 40/04 per contrasto con gli artt. 8 e 14 della CEDU, per l’effetto dichiarare il diritto dei ricorrenti come formulato supra, e sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 c. 3 L. 40/04 per contrasto con l’art. 11 e 117 Cost. e 2,3,13,32 Cost.

Intervengono ad adiuvandum nel procedimento le associazioni Luca Concioni per la libertà di ricerca scientifica, Amica Cicogna, Cerco un bimbo e con atto a parte l’associazione Liberididecidere.

Il giudice ritiene del tutto fondate le richieste della coppia e a fronte della esplicita tassatività ed inderogabilità delle disposizioni di legge nell’impossibilità di una interpretazione diversa da quella letterale, sospende il processo e rimette gli atti alla Corte costituzionale.





Motivazione e dispositivo

Il giudice accogliendo le motivazioni dei ricorrenti cui pure il centro medico si associa, ritiene di condividere le motivazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella Sentenza 1 aprile 2010 pronunciata contro l’Austria rilevante, in punto di diritto, anche per il nostro ordinamento. In particolare:

Premesso che, come confermato dalla Sentenza Corte cost. 311/2009 in caso di contrasto tra norma interna e norma della Convenzione europea il giudice nazionale comune deve procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale. Quando l’eventuale contrasto non sia componibile in via d’interpretazione deve sollevare questione di legittimità costituzionale innanzi alla Consulta.

Nel caso di specie secondo il Giudice europeo e il Tribunale di Firenze il divieto di fecondazione eterologa risulta, illegittimo, irragionevole e discriminatorio per le seguenti ragioni. A) pur non essendovi l’obbligo per gli Stati di adottare una legislazione in materia di PMA ove questa vi sia la sua disciplina dovrà essere coerente in modo da prevedere una adeguata considerazione dei differenti interessi legittimi coinvolti; B) Il divieto assoluto di PMA eterologa configura una sproporzione fini-mezzi posto che esso non rappresenta l’unico modo per evitare il rischio di sfruttamento delle donne, di abuso delle tecniche, di realizzazioni di parentele atipiche configuardosi la scelta priva di giustificazioni ragionevoli; C)l’obiettivo di mantenere una certezza in materia di diritto di famiglia deve considerare che rapporti familiari atipici (non basati sulla discendenza biologica, come l’adozione) già sono ampiamente praticati con la conseguenza che l’ipotesi in esame dovrebbe considerarsi ex se del tutto lecita; D) Il diritto del bambino a conoscere la sua discendenza biologica non è un diritto assoluto, dovendo essere contemperato con altri interessi pubblici e privati coinvolti (diritto alla procreazione, diritto all’anonimato del donatore etc) anche attinenti alla privatezza della propria vita familiare (art. 8 CEDU e art. 2 e 30 Cost) ; E) E’ evidente l’effetto discriminatorio che il divieto assoluto è idoneo ad introdurre tra coppie affette da problematiche di sterilità/infertilità medicalmente superabili e soggetti affetti da sterilità assoluta (art. 14 CEDU e art. 3 Cost)



COMMENTO

Da quanto precede deriva che il Giudice facendo proprie le istanze dei ricorrenti, ritenuta la impossibilità di procedere ad una applicazione diretta della sentenza CEDU -pur in presenza della formale adesione del sistema CEDU all’Unione Europea stabilito dall’art. 6 del Trattato di Lisbona del 1.12.2009 secondo il giudicante, in contrasto con quanto invece sostenuto dal TAR Lazio sent 1198/10 e Cons Stato 1220/10, in assenza di specifico accordo che disciplini le modalità di funzionamento del sistema tale diretta applicabilità deve ritenersi esclusa-, verificata l’impossibilità di comporre il contrasto tra la stessa e la normativa interna (art. 4 comma 3 l. 40/04), ritiene che l’unica via sia quella della rimessione alla Consulta. Dunque dopo aver rilevato profili di manifesta irragionevolezza del divieto assoluto di PMA eterologa per l’evidente sproporzione mezzi-fini; di palese discriminazione tra coppie sterili in dipendenza della gravità della patologia; di illegittima intromissione del legislatore in aspetti intimi e personali della vita privata, il Tribunale di Firenze in assoluta coerenza con le proprie precedenti pronunce in materia, ritiene che l’art. 4 c. 3 L. 40/04 sia contrario a Costituzione e rimanda gli atti alla Corte affinché provveda alla relativa declaratoria.

Posto che e la CEDU ha ritenuto illegittimo e discriminatorio il divieto assoluto di PMA eterologa in violazione degli artt. 8 e 14 della Convenzione sui diritti dell’uomo, accolta la rilevanza della pronuncia nell’ordinamento interno, il giudizio della Consulta non potrà che essere conforme a pena di aprire un conflitto senza precedenti con la Corte Europea e la Convenzione stessa.

Insomma un altro duro colto all’assetto della legge 40/04 che rischia di perdere un altro pezzo molto importante


Avv. Prof. Gianni Baldini

Avv. Filomena Gallo

Liu Xiaobo

We're thrilled to learn that imprisoned Chinese writer and activist Liu Xiaobo has been awarded the Nobel Peace Prize.


Liu Xiaobo is one of China's most outspoken advocates for human rights and democratic reform. He is currently serving an 11-year prison sentence for coauthoring Charter 08, an historic appeal for democracy, human rights, and a multi-party state in China released in December 2008.

Liu Xiaobo is also a true friend of Tibet. In the past, he has called on the Chinese government to reform its policies in Tibet and in the aftermath of the 2008 Uprising in Tibet, he coauthored the "Twelve Suggestions on Dealing with the Tibetan Situation," which called for freedom of expression and other rights to be respected in Tibet. In a statement this morning, Liu Xiaobo's wife, Liu Xia, thanked the Dalai Lama for nominating him for this prestigious award.

At a time when world leaders, governments, and other international institutions are softening their approach to human rights and Tibet with the Chinese government, the Norwegian Nobel Committee's decision is highly commendable. Please join Students for a Free Tibet in congratulating Liu Xiaobo and calling on governments around the world to follow the Norwegians' lead by supporting human rights and freedom.

TAKE ACTION: Sign your name to SFT's statement on Liu Xiaobo's Nobel Peace Prize. We will deliver the signed statement to your government leaders.


You can also print and send this statement to your political representatives.

Read more about global reactions to today's announcement.

Students for a Free Tibet's Statement on Liu Xiaobo's Nobel Peace Prize



October 8, 2010

Students for a Free Tibet congratulates jailed Chinese writer and activist Liu Xiaobo on being awarded the Nobel Peace Prize today and joins the international community in calling for his immediate release from prison.

Fellow Nobel Laureates His Holiness the Dalai Lama and U.S. President Barack Obama have already issued statements urging the Chinese government to release Liu Xiaobo.

Students for a Free Tibet welcomes the Nobel Committee's decision to grant this prestigious award to Liu Xiaobo, especially in light of the diplomatic threats issued by the Chinese government to Norway in the lead up to today's announcement.

We commend the Nobel Committee for the moral leadership and political courage they demonstrated through this action. We call on governments around the world to follow their example by publicly pressing the Chinese government to release Liu Xiaobo and take meaningful steps to implement the political and human rights reforms that Liu and other Chinese and Tibetan advocates are risking their lives to promote.

Sign your name to this statement.

Thank you for taking action in support of human rights and freedom in China and Tibet.

With hope,

Tendor, Kate, Tendolkar, Mary-Kate, Stefanie and all of us here at SFT HQ

martedì 5 ottobre 2010

Commissione d'inchiesta sulla guerra in Iraq

Marco Pannella ha chiesto l'istituzione di una commissione d'inchiesta sulla guerra in Iraq.


«Rivolgo un appello anche al governo e alle opposizioni, ma in primo luogo alle massime autorità dello Stato, naturalmente quindi anche al Parlamento, perché - come è stato fatto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti si dia il via in Italia a una commissione d'inchiesta o almeno una indagine ufficiale sul comportamento del nostro Paese nella vicenda precedente alla guerra in Iraq» - ha detto intervistato a Radio Radicale.

«Il nostro - ha ricordato - è stato l'unico Paese il cui Parlamento aveva dato mandato al Governo, che lo aveva ufficialmente accettato, di perseguire l'obiettivo dell'Iraq libero come unica alternativa alla guerra, cioè l'obiettivo dell'esilio da proporre e far accettare a Saddam Hussein».

http://bushblaircontrosicurapacefeceroguerrairakimpedendoesilioasaddam.it/

sabato 2 ottobre 2010

LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA

Governo Berlusconi: incultura istituzionale, insofferenza ai contropoteri e ai limiti che sono l'essenza di un sistema democratico



1 ottobre 2010

di Emma Bonino


Quello che segue è lo stenografico dell’intervento di Emma Bonino, al Senato, nel corso del dibattito sulla fiducia al governo di Berlusconi


Signor Presidente, Signor Presidente del Consiglio,

In questi ultimi mesi il Paese ha assistito attonito e forse nauseato - non a qualche sussulto all'interno della maggioranza che oggi si ricompatta in "nome del bene comune", come ho sentito dire - ma a una fase convulsa e spesso squallida di quella che a noi Radicali pare una vera e propria crisi di sistema che sta travolgendo le istituzioni, senza risparmiare alcuno. Una crisi di sistema che viene da lontano e la cui fase attuale è figlia di scelte nefaste, a cominciare dalla legge elettorale in vigore fino al cosiddetto rimborso elettorale multiplo. Scelte fatte in sfregio a vittorie referendarie tradite dai partiti che hanno legiferato in funzione loro e non della governabilità e del rapporto con i cittadini.


Che il sistema sia compromesso da decenni noi radicali lo diciamo inascoltati da tempo. I danni arrecati alla democrazia e allo stato di diritto da parte del sistema partitocratico non nascono con lei, onorevole Berlusconi. Lei non è la sola causa di quello che noi abbiamo chiamato "la peste italiana" ma ne è il prodotto e, contestualmente, un formidabile agente acceleratore del disfacimento istituzionale.

Penso che in questi primi due anni e mezzo di legislatura una maggioranza così schiacciante sia alla Camera che al Senato le avrebbe permesso di governare nell'interesse del paese, anzi in qualche modo glielo imponeva: perché, appunto, con il potere viene la responsabilità, che invece è drammaticamente mancata. Non metto in dubbio che si debbano modificare alcuni meccanismi per migliorare la fluidità del governo, ma quello a cui abbiamo assistito ultimamente - per esempio sul ddl intercettazioni o lodo vari - io non ho scrupoli a definire una maniera "demenziale" di legiferare. La verità è che lei, signor Presidente del Consiglio, non gradisce contrappesi, siano essi opposizione, Quirinale, Consulta, libera stampa.

E tutte le volte che si trova in difficoltà - e ormai le capita molto spesso, onorevole Berlusconi - lei cerca colpi ad effetto spesso con risultati per lo meno controproducenti: di volta in volta ecco allora affiorare la tesi del complotto, preferibilmente internazionale. Oppure la denuncia, in un crescendo senza fine, di regole, leggi e persino la Costituzione, che le renderebbero la vita "un inferno" nel senso che le impedirebbero di governare. Un crescendo davvero infelice in un misto di populismo, incultura istituzionale, e insofferenza ai contropoteri e a i limiti che, appunto, sono l'essenza di un sistema democratico.

Ma poiché al peggio non c'è mai fine, all'ombra di questa incultura, di questo populismo irresponsabile vengono poi celate iniziative oscure quando non torbide: non mi riferisco solo alle malefatte nostrane - dalla P3 alle cricche varie - ma anche all'indifferenza - per non dire insofferenza - per l'Europa, ai suoi rapporti con la Russia di quel "dono di dio" che è Putin, ai reali contorni del Trattato con la Libia e i rapporti con Gheddafi, non solo quelli affaristici ma anche a quelli relativi alla vicenda che vi ha visto coinvolti e corresponsabili del mancato - ma possibile, come ben sappiamo e abbiamo documentato - esilio di Saddam Hussein, che ha poi portato all'intervento in Iraq, oggi condannato dal nuovo governo inglese.

Non sono stati mesi esaltanti per il nostro Paese. Alla luce di questo stato di cose l'intervento programmatico di oggi è parso provenire da Marte: ma se lei non riesce a nominare neppure il ministro per lo sviluppo economico da 150 giorni! In realtà, con questo ennesimo passaggio della fiducia di oggi, il governo è obbligato d'ora in poi, a barcamenarsi, a vivacchiare alla giornata verso probabili quanto irresponsabili elezioni anticipate che saranno - e qui lo dico con forza - comunque non democratiche, grazie al sistema elettorale, e soprattutto al sistema chiuso dell'informazione, quella televisiva in primo luogo, pubblica come privata, temo proprio che il sistema partitocratico riuscirà ancora una volta a sopravvivere, cambiando pelle e colore come una camaleonte ma rimanendo identico a se stesso. Da Radicale penso indispensabile, in questo Paese, rompere la autoreferenzialità di una classe politica che vive, e sopravvive, al di sopra delle proprie possibilità, in un clima di irresponsabile cinismo di cui sono conseguenze la crisi della giustizia e lo sfacelo delle carceri così come lo spaventoso debito pubblico, lo sfascio idrogeologico e il declino culturale e delle istituzioni in tutti i suoi ordini e gradi. Siamo noi Radicali assertori tetragoni, cocciuti e determinati di quella alta ed antica cultura e prassi politica liberale che molti ritengono datata e d'altri tempi. Ma come dice il mio amico Pannella noi speriamo e lottiamo per l'affermazione della cultura e della politica nobile in tempi futuri.

mercoledì 29 settembre 2010

Violenza o resistenza aggressiva nonviolenta?

Il saggio che segue è tratto da un opuscolo pubblicato anni fa negli Stati Uniti. L’autore, Phillips P.Moulton, è stato professore di filosofia all’Adrian College, ed ha lavorato specialmente in corsi interdisciplinari, tenendo seminari su “L’integrazione della Conoscenza”.
(Fonte: Notizie Radicali)
Premessa.



Gli attentati, le rivolte, ed altre forme di spargimento di sangue nella seconda metà degli anni ’60 hanno accresciuto l’ansia degli americani.

Eppure, la violenza diffusa ed intensa non costituisce un elemento nuovo nella storia del nostro paese. Con una crudeltà sconfinante nel genocidio venne strappato agli Indiani il controllo del continente; per mezzo di una rivoluzione violenta si ottenne l’indipendenza nazionale; spargimenti di sangue caratterizzarono la marcia verso la frontiera dell’Ovest, e gli atti scalmanati dei “vigilantes”; un grave problema sociale precipitò nella selvaggia Guerra Civile. La dialettica lavoro-capitale, per un periodo di oltre sessant’anni, fu segnata da rivolte, dinamite, incendi, assassini, su un fronte, e dal brutale, spietato esercizio del potere, ad opera degli ufficiali di compagnia, della polizia, sull’altro. Ci trovammo invischiati, in due guerre mondiali.

In aggiunta alla violenza aperta, visibile, una valutazione realistica dell’attuale stadio di civiltà deve considerare la violenza velata, che potremmo definire “sistematica”, impregnante l’intero organismo sociale, intessuta nei suoi gangli più intimi. Lev Tolstoj richiamò l’attenzione su di essa oltre 70 anni fa, ne “La Legge dell’Amore e la Legge della Violenza”. Riferendosi a figure sociali rispettate, quali il giudice e il proprietario terriero, egli osservava: “Noi non riusciamo a percepire tutti i crimini che essi commettono ogni giorno, in nome del bene pubblico”.


Ne “I dannati della terra”, lo psicoanalista negro algerino Franz Fanon descrive la violenza economica messa in atto da coloro che impoveriscono i nativi africani attraverso il controllo dei mezzi di produzione. Questo processo è sostenuto dalla violenza psicologica, mediante la quale si tende ad instillare negli oppressi “la mentalità dello schiavo”.

Sociodinamica della violenza.

In larga misura, la violenza di chi detiene il potere è talmente diluita nelle istituzioni politico-sociali, che i suoi agenti hanno solo un’oscura coscienza di essa. Velata od implicita, essa diviene aperta quando il potere è minacciato. Detto nei minimi termini: la violenza è il mezzo estremo, mediante il quale i detentori del potere sociale difendono la propria collocazione.

Per quanto riguarda la violenza degli oppressi, il problema si complica. La causa più rilevante è senza dubbio la frustrazione. Le tesi sul rapporto tra l’intensità della frustrazione e l’ “escalation” della violenza, delineata dallo psicologo Dollard e dal suo gruppo nel 1939, sono state confermate e sviluppate in recenti studi. Tale rapporti (frustrazione-violenza) non si riferisce meramente alla contraddizione materiale che separa ciò a cui la gente aspira da ciò che le è possibile ottenere. La frustrazione è originata spesso da un vero e proprio senso di oltraggio morale – “io merito, e dovrei essere in grado di raggiungere, molto di più” – e dalla convinzione che si stia compiendo un progresso inadeguato.


Posti di fronte alla frustrazione dei negri degli USA e di milioni di “emarginati” del Terzo Mondo, numerosi esponenti religiosi e teologi sono giunti ad approvare la violenza. Essi tendono a “condonarla”, quando siano convinti che si tratti di una giusta causa, che un risultato favorevole sia possibile, e che nessun altro metodo sia idoneo a raggiungere la meta. E’, in sostanza, la dottrina della “guerra giusta”, elaborata da Sant’Agostino. La tendenza odierna è quella di negarne l’applicabilità alla guerra internazionale, ma di affermarla nelle lotte rivoluzionarie. Un primo esempio fu Camillo Torres, il prete rivoluzionario colombiano. Dapprima oppositore della violenza, egli giunse ad aggregarsi al movimento di guerriglia, asserendo che “il popolo sa che i sentieri legali sono esauriti. Il popolo è in uno stato di disperazione ed è risoluto a rischiare la vita, affinché le nuove generazioni di colombiani non restino schiave…Ogni sincero rivoluzionario deve riconoscere che la lotta armata è l’unica alternativa rimasta” (Goulet, pag.44).

I vantaggi e i mali della violenza
In taluni casi, ed entro qualche limite, la violenza può raggiungere gli scopi che i suoi agenti di prefiggono.

Dal punto di vista degli oppressi essa può servire almeno come un risonante mezzo di comunicazione. Essa drammatizza i bisogni, e costringe l’ordine costituito a riconoscerli. Ad esempio: le rivolte della seconda metà degli anni ’60 hanno stimolato la consapevolezza del pubblico sulle condizioni di vita nei ghetti, e sulla determinazione dei negri a non tollerarle più a lungo. Così, il “Black Manifesto”, con le sue implicite minacce di violenza spinse molte comunità ecclesiali, che nel complesso lo rigettavano, a fare passi positivi in favore della popolazione di colore.


La violenza raggiunge talora i suoi scopi immediati. Ne fa fede la Rivoluzione Americana; e come sottolinea Hannah Arendt: “La Francia non avrebbe ottenuto la più radicale legge di riforma da Napoleone ad oggi, per modificare il suo antiquato sistema educativo, senza le rivolte studentesche”.


I “vantaggi” della violenza non si militano ai possibili mutamenti nell’ordine sociale. Franz Fanon, Jean Paul Sartre ed altri autori, pongono l’accento sulla auto-realizzazione personale del partecipante all’evento violento. Quando la violenza “sistemica” della società ha, per intere generazioni frustrato un gruppo di persone, queste tendono a diventare “cose”, con un carente senso della propria identità e della propria umanità. Il reagire violentemente può avere soltanto un effetto purificante: si ottiene una “liberazione psicologica”, purgandosi dalla paura e lasciando sfogo alla rabbia repressa. Nell’atto violento, l’individuo può momentaneamente ribaltare il proprio rapporto con l’ambiente; per una volta, almeno, egli “conta qualcosa”, guadagna un senso di potenza e di identità.


Anche il sentimento dell’ “unità di gruppo” può essere sperimentato, nell’azione violenta. Nell’opera di Remarque “All’Ovest niente di nuovo”, si avverte il cameratismo vissuto dai soldati nelle trincee. Allo stesso modo, il partecipante ad una rivolta può provare un nuovo spirito comunitario. Anche l’assurdo di “soffrire e far soffrire insieme”, può, in apparenza, dare significato ad un’esistenza precedentemente monotona.


Per quanto autentici possano sembrare i sopraelencati vantaggi (in realtà è opinabile che lo siano, in quanto non sono necessariamente correlati all’azione violenta, ed i medesimi risultati di comunicazione drammatica, di “liberazione psicologica” ecc, si ottengono in misura ben più consistente e stabile, mediante tecniche nonviolente), i mali che la violenza incorpora e semina sopravanzano di gran lunga i possibili vantaggi.


A prescindere (per ora) da ogni considerazione etico-religiosa, ciò vale anche sul piano pratico. Studi compiuti da numerosi esperti, in vari settori concordano sul fatto che raramente la violenza migliora una situazione, e che, anzi, in linea generale, la peggiora, si tratti dell’azione di un governo contro i dissidenti o viceversa (Graham, pagg.362, 785-788). I governi “vincono” più spesso dei dissidenti, ma i “vantaggi” sono, in genere, di breve durata. I conflitti sociali riesplodono a meno che non si sia posto rimedio alle cause prime del malcontento. Quando i dissidenti hanno successo, come nei casi di Russia, Cina e Cuba, i risultati ultimi sono difficilmente migliori, anche dal punto di vista di chi ha sostenuto la violenza.


Qualunque sia la parte vincente, è verosimile che emergano molte caratteristiche di uno stato di polizia. I governi adottano misure repressive per prevenire ulteriori rivolte; i dissidenti, giunti al potere, fanno altrettanto, per frenare i “contro-rivoluzionari. La “calma” e l’“ordine” sono ottenuti spianando la via al totalitarismo. Anche la ragione diviene una vittima: le emozioni di timore ed ostilità guadagnano un forte ascendente. “Ero diventato una bestia”, esclamò un poliziotto al sociologo Alberto Reiss, dell’università del Michigan, durante una inchiesta sulla rivolta di Newark, nel 1967.


Quando un conflitto si prolunga o di rinnova, ognuna delle parti tende a sviluppare una ideologia di base irrazionale, per rafforzare il proprio atteggiamento (pseudo-motivazioni d’ordine etico-religioso, informazione “sistematicamente” calunniosa sul “nemico”, ecc.).


Nella sfera dei rapporti internazionali, l’impossibilità di controllo e l’irrazionalità della violenza sono particolarmente evidenti. La guerra non può mai essere efficace più che al 50 per cento per ogni parte vincente, ve n’è una che perde. In genere, anche i vincitori ottengono solo una piccola porzione dei loro obiettivi originari. La tendenza della violenza a riprodursi in modo incontrollato preannuncia il disastro: quasi ogni conflitto locale può ingigantirsi in un olocausto nucleare. Ciò impone che un metodo alternativo di trattare le controversie internazionali venga adottato: la catena della violenza deve essere spezzata.


Il male forse più pernicioso che la violenza contiene, consiste nel porre un “precedente”, un esempio. Quando gli Americani sostengono lo spargimento di sangue in Indovina, quando la TV a colori trasporta gli orrori e le mutilazioni nei nostri salotti, non può far meraviglia che i gruppi oppressi ricorrano a gradi inferiori di violenza per rettificare le ingiustizie. Se si può uccidere per la nazione, perché non uccidere per una Harlem migliore?

Vista in questa luce, la Rivoluzione Statunitense fu una delle più tragiche catastrofi della storia umana. Includendo le battaglie tra Whigs e Tories, prima e dopo la Dichiarazione di Indipendenza, una enorme quantità di stragi e di torture fu attuata in nome della libertà. Poiché la rivoluzione ebbe successo, essa è stata onorata nella nostra storia ed usata poi per giustificare quasi ogni genere di violenza. Le ribellioni agrarie del 1790, i killers della storia delle frontiere: costoro, e molti altri, giustificarono gli spargimenti di sangue per mezzo di un “precedente”: la Rivoluzione Americana. Alcuni portavoce del Vietcong, del Nord Vietnam, di rivoluzioni contemporanee, del Black Power hanno citato…la Rivoluzione Americana.


La natura viziosa di questo precedente” fu ben espressa da Tolstoj: “Se si ammette per una volta che gli uomini possano torturare e uccidere i propri simili, in nome dell’umanità, altri possono rivendicare lo stesso diritto di torturare e di uccidere in nome di qualche ideale”.


Il “precedente”, e l’esempio, già gravi nello stimolare ulteriori atti specifici, sono ancora più insidiosi nell’acclimatare la violenza dei nostri costumi; il carattere del nostro pensare muta gradualmente: atti che una volta ci apparivano orribili, divengono accettabili, i tabù contro l’uccisione diminuiscono, e il rispetto per la vita umana decade.


Questa è l’eredità avvelenata che la Rivoluzione Americana, le successive guerre e gli atti di violenza ci hanno trasmesso, e che noi aumentiamo e trasmettiamo alla posterità.


Questa constatazione ci riporta ad una obiezione fondamentale contro la violenza, di portata più rilevante che non quelle d’ordine pratico: la violenza è moralmente ingiusta.


Si accetta ormai universalmente che alcuni tipi di violenza, quali la tortura, l’uccisione indiscriminata, il trattare le persone come “cose”, siano intrinsecamente ingiusti; ma le opinioni divergono in relazione a quali atti siano “giusti” od “ingiusti”, nel caso in cui, ad esempio, esistano due sole alternative, entrambi implicanti l’uccisione. E’ giusto uccidere un Hitler, per salvare innumerevoli vite? O uccidere un neonato i cui pianti potrebbero rivelare la presenza di un gruppo di inermi ad un feroce nemico? Qualcuno può affermare che tali atti non sono moralmente giustificati: secondo questa visione, la legge morale dell’universo (legge divina), il Giudizio Ultimo, faranno giustizia, ed all’uomo non resta che uniformarsi al precetto della assoluta non-uccisione, anche a rischio del sacrificio collettivo.


Molti non assumono questa posizione; essi affermano che si deve scegliere il minore tra i due mali, o, per esprimerci in modo diverso, che un fine sommamente buono giustifica i mezzi i quali, in se stessi sarebbero considerati malvagi (vedi, esempio di Hitler, ecc.). Senza tentare di risolvere qui l’intero complesso problema del rapporto tra fini e mezzi, notiamo solo che l’uccisione è, in ogni caso, un mezzo estremamente pericoloso, ed è generalmente incerto il conseguimento dei fini per i quali è commessa. Trascurando dunque casi paradossali (quali gli aut aut succitati), e singoli, possiamo affermare, sulla base della disamina svolta, che l’uccisione e, più in generale, la violenza sono mezzi immorali e non risolutori.



Nel Sud Africa, molti seguaci di A.Luthuli hanno rinnegato la nonviolenza e si sono raccolti in armi attorno al movimento “Spear of the Nation”, poiché lunghi anni di frustrazione li hanno convinti che nessun’altra soluzione è possibile.


Durante due periodi in particolare, della storia statunitense, anche i più sinceri nonviolenti furono tentati di giustificare la violenza: durante la Guerra Civile, quando gli abolizionisti si schierarono con gli stati del Nord, e durante la depressione economica degli anni ’30, quando la violenza parve essere l’ultima risorsa dei “lavoratori comuni” e dei disoccupati.


Il nonviolento, specialmente se nutre convinzioni religiose, ha sempre di fronte un dilemma reale. La sua partecipazione alle sofferenze degli oppressi lo spinge ad impegnarsi per un cambiamento radicale. Tuttavia egli riconosce che anche l’oppressore è un figlio di Dio, “catturato” in un sistema che non è di sua invenzione. Pertanto l’oppressore non può essere trattato come una “cosa” da liquidare.


Il nonviolento crede che raramente cattivi metodi producano buoni frutti; le possibilità della violenza nell’effettuare miglioramenti a lungo termine, sono scarse. Comunque possiamo affermare, anche sulla scorta degli esempi citati, che nella sociodinamica della violenza, la frustrazione prolungata costituisce una forza motrice indiscutibilmente enorme.

Violenza acquisita, non innata. Alcune forme di rimozione

Prima di addentrarci nell’esplorazione di possibili alternative, dobbiamo chiederci se la violenza sia o meno una componente della natura umana.



L’evidenza indica, come ragionevolmente vera, l’ipotesi secondo la quale l’inclinazione dell’uomo alla violenza è acquisita più che istintiva od innata.


Nel 1902, Pietro Kropotkin pubblicò l’opera pionieristica sulla simbiosi: “Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione”, votata a correggere l’unilaterale enfasi darwiniana sugli aspetti predatori dell’esistenza. Negli anni ’50, Piritim Sorokin, del “Centro Ricerche di Harvard sull’Altruismo Creativo”, ne “Le vie ed il potere dell’Amore”, e in altri volumi, sottolineò il significato della simpatia e della cooperazione nell’evoluzione dell’uomo.


Più di recente, l’antropologo M.F. Ashley Montagu ha compilato numerosi volumi, nei quali giunge ad analoghe conclusioni. Nel 1968 egli pubblicò “Man and Agression”, contenente saggi di quattordici esperti, i quali criticano aspramente la metodologia di Ardrey e Lorenz, e la loro opinione che l’uomo sia, in modo preminente un animale violento per tendenze innate. Numerose ricerche attestano che i Primati pre-umani erano fondamentalmente amabili e che almeno alcune società umane hanno valorizzato la gentilezza e la pace, più che la forza e la violenza. Una schiacciante evidenza, secondo Montagu (pagg.12, 15-16, 34-35, 49, 61), indica l’importanza delle attività nonviolente e cooperative nella vita dell’uomo primitivo, le “potenzialità sociali” di quest’ultimo, la sua capacità di un comportamento costruttivo.


La violenza non è istintiva, ma emerge durante il processo di socializzazione ed è pertanto, in larga parte, un attributo culturale. Quando una società onora i portatori di violenza, nelle successive generazioni si trasmette e circola tale inclinazione. Quando invece l’azione ostile non è gratificata, come accade presso gli indiani Zuni e Hopi, essa si rileva a mala pena.


Negli ultimi decenni in America la gente ha “imparato” ad essere più violenta. Ma possiamo invertire questo orientamento, con l’ausilio di una autentica controcultura. Per fare ciò, disponiamo di due metodi principali, che non si escludono a vicenda. Il primo consiste nel ridurre i conflitti rimuovendone le cause sociali, per la massima estensione possibile. Si tratta di un rimedio ovvio, e, tuttavia, non è stato adeguatamente applicato, per quanto la sua urgenza fosse sottolineata nel “Report of The National Advisory Commission on Civil Disorders” (comunemente detto “Rapporto Kerner”).


Per quanto riguarda il secondo metodo, esso consiste nel trattare i rimanenti conflitti per mezzo di tecniche nonviolento. Nel libro “On Agression” Konrad Lorenz auspica che “l’entusiasmo militante della gioventù” sia convogliato verso “cause” di reale valore nel mondo contemporaneo. In precedenza, nel nostro secolo, lo psicologo William James, nel famoso saggio “The Moral Equivalent of War” accettava come positive le “virtù marziali”, ma affermava che esse potrebbero svilupparsi ed impiegarsi in progetti costruttivi. Questi autori, dunque, fanno riferimento ad una importante ipotesi nonviolenta: la de-direzione delle tendenze aggressive.


La prima alternativa alla violenza

L’uomo possiede risorse adeguate a ridurre drasticamente le frustrazioni che generano violenza. Ovviamente, i programmi costruttivi di alternativa socio-culturale non elimineranno ogni tensione e frustrazione; occorre, pertanto, escogitare ed impiegare metodi nonviolenti idonei a dirimere i conflitti che inevitabilmente nascono.

Un approccio nonviolento di grande efficacia fu quello di John Woolman, esponente quacchero nell’America coloniale. Egli è ricordato per l’intensa opera volta a sensibilizzare i correligionari sui mali dello schiavismo. Il suo metodo era basato in primo luogo sulla persuasione “faccia a faccia”; nel carattere di Woolman erano talmente infusi amore e umiltà, che egli destava ben poco risentimento ogni qual volta presentava il proprio messaggio. In ogni epoca e situazione, coloro che si oppongono al male possono trarre una considerevole facoltà di discernimento della comprensione della personalità di John Woolman, così com’è riflessa nel suo “Journal”. Qualsiasi altro metodo nonviolento si possa impiegare, l’esercitare la sorta di influenza che Woolman esercitò attraverso la forza del carattere e della persuasione, rafforzerebbe enormemente l’impatto totale contro le barriere del male.

Tuttavia, i soli metodi woolmaniani sarebbero insufficienti, nel ben più complesso mondo del tardo ‘900.

Resistenza aggressiva nonviolenta

E’ applicabile oggi, una autentica alternativa, che non è stata considerata a sufficienza: la resistenza aggressiva nonviolenta altrimenti detta “azione diretta nonviolenta”.

I critici della nonviolenza hanno sovente un’idea inadeguata delle sue possibili implicazioni. Molti, ad esempio, si riferiscono ad essa come ad un insieme di tecniche il cui impiego “è visto di buon occhio” dagli oppressori, essendo troppo innocuo per minacciare lo status quo. Per altri, il termine nonviolenza denota unicamente non-resistenza, passività, nei confronti del male.

La resistenza aggressiva nonviolenta di cui parliamo è del tutto differente. Nel rigettare la violenza essa è, appunto, aggressiva più che passiva, e comporta resistenza più che sottomissione.

Martin Luther King definiva questo progetto come “una sintesi superiore”; infatti esso incorpora gli elementi più validi della persuasione da un lato, e della rivolta dall’altro, mentre manca degli aspetti carenti della prima, e di quelli violenti, immorali, non risolutori, della seconda.
L’azione nonviolenta necessita di progettazione e di organizzazione disciplinate ed accurate. Numerose le tecniche a disposizione: dalla persuasione razionale, a proteste, dimostrazioni, scioperi, boicottaggi, sit-in, culminando nella disobbedienza civile di massa. L’obiettivo è quello di esercitare una notevole pressione – che M.L.King definiva “potere coercitivo costruttivo”.

Naturalmente la linea di demarcazione tra l’azione nonviolenta e quella violenta non può essere sempre tracciata in modo netto. I critici potrebbero obiettare che il “potere coercitivo costruttivo” di King si distingue a fatica dalle forme più edulcorate della violenza. Si può cavillare a non finire, ed immaginare situazioni ipotetiche nelle quali l’attivista nonviolento potrebbe difficilmente essere coerente al 100 per cento. Tutto ciò è ammissibile: nel nostro complicato mondo, di rado si può operare su “posizioni assolute”. Eppure, vi è una differenza qualitativa, di fondo, tra l’approccio di M.L.King al problema della violenza, e quello, ad esempio, di Franz Fanon: nei momenti delle scelte e delle decisioni, la distinzione può essere marcata.

Le basi etiche della resistenza aggressiva nonviolenta

La maggior parte degli esponenti della nonviolenza, non pensano ad essa come consistente unicamente in mere tecniche. Al contrario, la ritengono fondata su di una solida filosofia, la quale includa la fede nella essenziale natura morale dell’Universo.

Gandhi attribuiva la incapacità umana di calcolare con precisione il rapporto mezzi-fine, al nostro essere strumenti di una Volontà Superiore, piuttosto che arbitri dei nostri propri destini. Ciò lo induceva a focalizzarsi sulla purezza dei mezzi, e a considerare la percezione della Verità, e l’ampliamento nella sfera di coscienza umana, più importanti del conseguimento di obbiettivi “specifici”.

Martin Luther King metteva in rilievo la co-essenzialità di mezzi e fine: il mezzo rappresentava il fine in svolgimento, come nel rapporto tra il seme e la pianta. Strettamente legata a questo punto di vista, è la convinzione dell’imperativo del dovere (morale): si tratta della millenaria idea secondo cui l’uomo ha l’obbligo incondizionato di operare nella giustizia, e di astenersi dal compiere il male. Egli non deve prendere decisioni unicamente sulla base delle prevedibili conseguenze: deve agire per il valore dell’atto in sé (una delle più antiche formulazioni di questo assioma, particolarmente marcata, si trova nel testo induista “Bhagavad Gita”; ndr).

Cruciale, in questa concezione, è quella che Kant avrebbe definito una “buona volontà”, la quale “non è buona a causa di ciò che ha per effetto, o che realizza; è buona solo per il suo volere, è buona di per sé”. Anche se essa non ottenesse alcuno dei suoi propositi, “brillerebbe come un gioiello nella sua propria giustizia, come se qualcosa che ha piena ragione di essere in se stessa”. Kant elaborò una metafisica accuratamente ragionata, e non è il caso di svilupparla in questa sede; non tutti i nonviolenti concorderebbero su di essa nella stessa misura; tuttavia, in linea generale, essi concepiscono la nonviolenza in accordo con l’imperativo kantiano.

Il cuore della filosofia di Socrate pone pure l’accento sull’imperativo morale. Socrate insegnava che è meglio subire un’ingiustizia, piuttosto che infliggerla, poiché il più grave danno che si possa arrecare all’uomo è il male dell’anima, implicito nelle azioni malvagie.

L’opinione di Socrate è chiarita nella “Apologia” dove egli afferma che i suoi accusatori danneggiano se stessi, mettendolo a morte, poiché le loro anime si deteriorano in tale procedimento, essi non possono danneggiare lui, dal momento che sono incapaci di peggiorarlo sotto il profilo etico. “Danneggiare un uomo vuol dire renderlo meno buono”, sta scritto nella “Repubblica”.

Circa 570 anni dopo, Marco Aurelio, sviluppò il pensiero socratico in questo sillogismo: in un universo ragionevole l’estremo bene e l’estremo male non giungono a caso agli individui, cioè senza riferimento ai loro meriti e demeriti. Eppure, “la morte e la vita, la fatica ed il piacere, la ricchezza e la povertà” sembrano appunto giungere casualmente; dunque questi non possono costituire i valori ultimi dell’esistenza. I beni non sono la qualità del carattere, che la gente o le circostanze non possono accordarci o toglierci, in assoluto. Nulla, sostiene Marco Aurelio nelle “Meditazioni”, può trattenerci dall’essere equanimi, di gran cuore, casti, saggi, risoluti, veritieri, rispettosi del sé, liberi”. Il vero danno che può assediare un uomo è la corruzione della mente o dell’anima, “pestilenza che attacca le creature viventi nella loro umanità”. Basilarmente, continua Marco Aurelio, gli altri non possono danneggiarci, solo noi possiamo farlo. Situarsi dalla parte del bene, o del male, rientra, in ultima analisi, nel nostro potere.

Il problema dell’imperativo morale, variamente espresso in Kant, Socrate o Marco Aurelio, è di cruciale importanza per la comprensione della nonviolenza; il principio-chiave che distingue questa dalla violenza è che le azioni compiute in accordo con l’imperativo morale devono essere intrinsecamente giuste, buone in se stesse. Non è lecito, partendo dall’imperativo morale, uccidere una persona, o trattarla come un “oggetto” sia pure in vista di uno scopo benefico. Si cancella, di fatto, tale scopo, con i mezzi malvagi impegnati per raggiungerlo.

Tutto il discorso svolto fino ad ora incorpora una conclusione: il nonviolento deve avere la forza di volontà di soffrire. Egli cercherà attivamente di spezzare le catene dell’oppressione, ma, di fronte alla possibile scelta, egli accetterà volontariamente di soffrire, piuttosto che usare violenza. Gandhi sottolineò il fatto che l’essere pronti a soffrire per la salvezza dei valori della satyagraha (forza della Verità o dell’Amore), costituiva una parte integrante dell’azione nonviolenta.

Un riflesso dell’eredità che Gandhi ci ha lasciato, è la convinzione che il fine ultimo di ogni campagna nonviolenta debba essere la realizzazione della Verità. Questa idea fece sì che il Mahatma fosse sempre ricettivo ai suggerimenti dei suoi oppositori, e alla possibilità di revisionare gli obbiettivi specifici. Il rispetto per la Verità formava la base metafisica delle sue campagne, e lo rendeva fermissimo nel dirigerle.

Cristiani come Thomas Merton hanno, allo stesso modo, trovato stabilità e potere interiori nel confidare che la Verità, alla fine, è invincibile, poiché Gesù Cristo, “il Signore della Verità”, è davvero risorto e governa il Suo Regno, difendendo i più profondi valori di coloro che dimorsno in esso”.

Un’’altra convinzione comune agli apologeti della nonviolenza è che alla vita umana e la personalità siano, in qualche modo sacre. Anche qui incontriamo spesso un substrato religioso, ma “leaders” nonviolenti di chiara impostazione laica concordano sul fatto che, se il valore della vita umana è preso ala leggera, gli uomini e le società tendono a brutalizzarsi. Uno degli aspetti più devastanti della violenza è appunto questo: essa tende a ridurre, tanto i suoi perpetratori, quanto le sue vittime, ad un livello sub-umano.

La tesi secondo la quale chi usa violenza si spersonalizza, va a cozzare contro le posizioni di Fanon e di altri autori (sommariamente esposte in un precedente paragrafo), in difesa della violenza come mezzo di auto-realizzazione. Tuttavia si può notare, per inciso, che Fanon si riferisce unicamente agli agenti della violenza abbia un effetto energetico: in ogni caso, esso si ottiene necessariamente con il ricorso alla violenza, ma anche, ad esempio, con l’intraprendere una azione positiva per un fine definito. Non c’è ragione per cui una vigorosa azione nonviolenta non debba essere liberamente, sul piano psicologico, nell’offrire all’individuo un senso di identità, di potere, di “impresa”; i partecipanti alle campagne di Gandhi e di M.L.King attestarono che è proprio così: si riceve una raggiante sensazione di dignità umana, agendo in armonia con la propria natura morale. “Beati i portatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt.:5;9).

Gli atti violenti contro i propri simili, possono introdurre eccitazione in una esistenza opaca, ma hanno senz’altro un effetto degradante e deleterio sugli aspetti migliori di una personalità. Come Socrate asseriva, la struttura spirituale dell’essere si deteriora.

I nonviolenti condividono l’ulteriore convinzione che l’Umanità sia essenzialmente Una. Gli uomini non devono essere polarizzati in campi opposti; ogni metodologia che si attenda ad un simile schema è errata. Di più, essa è impraticabile dal momento che, alla fin fine, dobbiamo vivere insieme.

L’unità del genere umano è un corollario di quello che i Quaccheri chiamano “quel tanto di Dio che è in ogni uomo”. L’apostolo Paolo scopre le basi della riconciliazione in Gesù: “Egli è la nostra pace, colui che ha fatto di due uno solo, colui che ha abbattuto il muro di separazione l’inimicizia…che distruggendo in se stesso l’odio” (Ef,2: 14,16).

Sia Gandhi che M.L.King credevano che noi siamo stati concepiti per amare il nostro prossimo. Laddove la violenza ricerca il bene di una sola delle parti contendenti, la nonviolenza, guidata dall’Amore, si proietto verso l’autorealizzazione di tutti. L’Amore non è visto come una limitazione (alla lotta), ma visto come una dinamica che prevale sulle paure e gli odii delle parte opposte, e può così essere d’ausilio nella soluzione dei problemi. Esso è eminentemente pratico (checché se ne pensi) nel senso che, mentre non si può essere certi degli effetti di atti specifici, lo si può essere dei buoni frutti prodotti dall’Amore. “L’Amore è paziente, benigno… non va in cerca del suo, non si adira…tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto soffre…L’amore non cadrà mai” (Cor. 13:4, e segg.).

L 'efficienza pratica della resistenza aggressiva nonviolenta
Le basi etiche della nonviolenza ne ampliano l’efficacia. Il suo successo non dipende da una superiorità materiale; dunque, la nonviolenza si presta ad essere utilizzata dai “dannati della terra”, i quali, generalmente, mancano di risorse materiali.


La resistenza nonviolenta si fonda in primo luogo su ciò che potremmo definire “potere etico” – il senso di essere nel giusto, non solo in relazione agli scopi, ma anche ai mezzi. Esso crea uno spirito di corpo tra i partecipanti, che sono sospinti alla fermezza e alla continuità nell’impegno. Inoltre, il “potere etico” conquista il consenso di molti fra coloro che non sono impegnati nella dinamica sociale, ma il cui sostegno, in ultima istanza, è essenziale; non respinti, o disgustati, dalla violenza; essi possono convergere nella validità della causa.

Una ricerca nonviolenta facilita una più intelligente scelta degli obiettivi. Essa può definire scopi netti, specifici, mantenendo nel contempo una sufficiente flessibilità, che consente di modificarli o sostituirli, in caso di solide ragioni. Dalla parte opposta, gli scopi dei movimenti violenti sono proclivi a riflettere fattori emozionali; pertanto, sono suscettibili di giudiziose modifiche. Nel logorio della lotta, essi possono, in effetti, subire cambiamenti, ma, verosimilmente, in senso peggioritario: anche la vittoria può essere seguita dal caos, nel quale le fazioni lottano per il potere.

Un grande merito della nonviolenza consiste nel fatto che essa getta luce sulla distinzione morale tra l’oppressore, che usa violenza, e l’oppresso, che non lo fa. Quando ambo le parti sono violente, ognuna “razionalizza” la propria posizione, ha pretesti per accusare la parte opposta, cosicché ogni distinzione morale si vela nella oscurità. Se una parte vince, l’altra continua a sentirsi nel “giusto” e ostile: il conflitto ha piantato i semi di una futura lotta. Milton ha ben espresso il concetto: “Colui che vince con la forza, ha vinto solo metà del nemico”. Una vittoria nonviolenta, all’opposto, per la propria dinamica interna garantirebbe una riconciliazione di fondo ed una stabilità più profonda: non è poco.

D’altra parte, il rifiuto di usare violenza costituisce un appello alla coscienza dell’oppressore, il quale, impossibilitato ad accusare la vittima, è costretto ad ammettere, in sé, la non validità della propria posizione.

Nell’analizzare l’efficacia della resistenza nonviolenta, un elemento da non dimenticare è quello delle correnti prevalenti di opinione, le quali, peraltro, possono mutare abbastanza velocemente. In ogni caso, in linea di massima, la gente preferisce mezzi pacifici per sanare le controversie sociali, e ricorre alla violenza in casi-limite: si tratta di un dato sociologico reale. Un esempio: durante le campagne di disobbedienza civile di massa, in India, i partecipanti, forniti di una scarsa preparazione, rimasero cionondimeno nonviolenti dall’inizio alla fine (fatte le debite eccezioni); ciò fu particolarmente impressionante nel caso di Pathans musulmani alla frontiera nord-occidentle. Da generazioni essi si erano conquistati la fama di “gente crudele, assetata di sangue, vendicativa”; eppure, sotto la direzione di uno dei loro, i Pathans organizzarono un movimento nonviolento per l’indipendenza e per altre riforme, al quale rimasero fedeli, nonostante le “fucilazioni e le impiccagioni di massa” da parte delle truppe britanniche (Bondurant, pagg.132-138).

Poiché i programmi gandhiani sono generalmente misconosciuti, può essere istruttivo illuminarne alcuni aspetti. Citiamo la lotta contadina nella regione di Bardoli, contro il governo di Bombay. Il proposito era quello di costringere le autorità ad intraprendere un’inchiesta imparziale sugli aumenti fiscali decretati poco tempo prima, aumenti che i contadini giudicavano eccessivi. Alle azioni di protesta, durante un periodo di sei mesi, il governo rispose con attacchi alle proprietà rurali, arresti, brutalità, propaganda tendenziosa e minacce: a tutto ciò i contadini reagirono senza violenza; i risultati furono che l’inchiesta venne svolta, gli aumenti fiscali rescissi, e una cooperazione più fattiva si stabilì tra Indù e Musulmani; inoltre, la condizione dei contadini di tutta l’India si elevò. Come osservava Nerhu: “Il successo della campagna poggiò sull’effetto che essa produsse sulle masse rurali dell’intera India. Bardoli divenne un segno e un simbolo di speranza, forza e vittoria, per il contadino indiano” (Bondurant, pag. 61).

Successive campagne assicurarono diritti agli “intoccabili”, aumenti salariali per i lavoratori tessili, ecc. Una più ampia campagna fu condotta, nel 1930-31, contro il monopolio governativo sul sale, con la famosa marcia di duecento miglia verso il mare. Essa ebbe ripercussioni ben più vaste dell’obbiettivo specifico per il quale era stata organizzata.

Intorno all’efficacia della resistenza nonviolenta, è abbastanza diffusa una erronea valutazione, e cioè che essa sia stata tentata e trovata carente. Anche in questo caso rispondiamo, citando innanzitutto un esempio fra mille: quello di M.L.King. Il movimento del quale King era guida, stimolò corpi legislativi, istanze amministrative, tribunali, ecc., a rimuovere innumerevoli sostegni legali alla segregazione razziale. La morte precoce di King ha ritardato ulteriori progressi, e in ogni caso, ovviamente, molto rimane da fare. Eppure, discreti risultati sono stati ottenuti in un lasso di tempo comparativamente breve, specialmente nel campo dell’educazione, dell’estensione dei diritti, ecc. Non c’è alcuna ragione plausibile per cui i metodi nonviolenti usati, seguendo le linee radicali già consideratela King non possano permettere il raggiungimento di ben più ampie mete.

Per quanto riguarda la valutazione dell’efficacia della resistenza nonviolenta, nell’ipotesi di un’aggressione straniera, manca un sufficiente retroterra storico. Che essa abbia rivelato promettenti possibilità, comunque, è reso evidente dalle campagne di Gandhi per l’indipendenza indiana, e da numerose altre vicende: gli aspetti nonviolenti dell’opposizione danese e norvegese alle forze naziste occupanti, durante la seconda guerra mondiale e (in misura minore) la rivoltatedesco-orientale del ’53 e la resistenza cecoslovacca all’invasione russa del ’68, suggeriscono possibili lineamenti per una difesa disarmata.

I metodi nonviolenti sono stati impiegati per obiettivi disparati, in situazioni radicalmente diverse da gruppi etnici e sociali eterogenei. Inoltre, nella maggior parte dei casi, i partecipanti non erano coscienti, a fondo, della “filosofia” della nonviolenza(cioè del suo substrato morale e logico), e neppure erano adeguatamente addestrati al comportamento ed alle tecniche ad essa appropriati. Si può dunque dare per scontato che, con una maggiore coscienza, conoscensca ed addestramento da parte di quanti li praticano, i metodi nonviolenti risulterebbero ancor più efficaci.

Pertanto, considerando la lunga, triste storia della violenza, il tempo relativamente breve e le poche istanze nelle quali la resistenza nonviolenta è stata tentata, e considerando infine la sia pur parziale sua efficacia in tali istanze, dobbiamo concludere, non che “è stata tentata e trovata carente”, ma che, al contrario, essa ha avuto e può avere sorprendenti successi.

Scrivendo in “Resistenza civile come difesa nazionale”, il prof. T.C.Schelling, del Centro di Harvard per gli Affari Internazionali, riassume così l’importanza pratica della nonviolenza: “Il suo potenziale è enorme. Alla fine può essere considerato importante come quello della fissione nucleare. Come quest’ultima, la nonviolenza ha implicazioni che riguardano la pace, la guerra e la stabilità, la fiducia e il terrore, la politica nazionale ed internazionale”.

Senza dubbio, per una nazionale o un movimento sociale, fare assegnamento sulla nonviolenza significa esporsi a rischi di possibili sofferenze. Il nostro compito comunque non è quello di paragonare la nonviolenza con qualche desiderabile situazione ideale, ma con le probabili conseguenze e danni che la violenza apporterebbe. Gli argomenti a favore della nonviolenza aumentano, se tentiamo un tale paragone. Nel caso di un conflitto sociale, se una campagna nonviolenta fallisce, la situazione non sarà molto peggiore di quella precedente. La violenza, invece, non può essere contenuta nei limiti del conflitto specifico, e può facilmente traboccare in una guerra civile, disastrosa in quanto a perdite e a sofferenze umane.

Nel più ipotetico caso della difesa contro una nazione aggressiva, vale più o meno lo stesso criterio valutativo; la nazione aggredita (se la difesa nonviolenta fallisse) sarebbe occupata e dominata, ma esisterebbe ancora, e le possibilità di miglioramento delle condizioni, o di liberazione non sarebbero precluse. Tutt’altro quadro presenta la difesa violenta: non solo l’inevitabile guerra nucleare coinvolgerebbe le parti nell’abiezione morale di infliggere morte ed indicibili sofferenze a milioni di innocenti, così come alle future generazioni; essa non sarebbe neppure “pratica” poiché tutti morirebbero allo stesso modo! Da particolari circostanze potrebbe dipendere l’eventuale sopravvivenza di alcuni, ma vincitori o sconfitti, le conseguenze sarebbero disastrose.

Si può obiettare che la preparazione nucleare è un deterrente contro la guerra. Ciò può essere vero, a breve termine, e sulla base dell’attuale “equilibrio del terrore”. Ma dobbiamo considerare: a) Il numero delle nazioni che arriveranno a possedere armamenti nucleari efficienti. b) I pericoli di conflitto accidentale. c) La tendenza, in tempi di crisi, ad eliminare il nemico, “al primo attacco”. d) I molti aspetti imprevedibili e irrazionali delle relazioni tra gli stati e i popoli. Non è chiaro, a questo punto, che pensare di evitare a lungo la guerra, sulla base della potenza (difensiva), nuclerare, equivale a lanciare in aria una monetina, cento volte di seguito, e pretendere che sia sempre “testa”?

La conclusione è evidente: l’umanità, con l’ausilio dei movimenti nonviolenti, deve assumersi il duplice compito, delineato in un precedente paragrafo: 1) Applicare tutte le risorse utilizzabili per addivenire a soluzioni costruttive dei problemi sociali, e minimizzare le frustrazioni che generano violenza. 2) Nei casi residui di conflitto, quando una delle parti è violenta, contrastarla con le tecniche e la forza morale della resistenza aggressiva nonviolenta.

Bibliografia citata:

-  American Friends Service Committee: “In place of war. An inquiry into nonviolent national defense”, New York, 1967.

- Philip André: “Ch’ange Without Violence”, The Center Magazine, 1, Novembre 1968.

- Hannah Arendt: “Reflections on violence”, N.Y.Rewiew, febbraio 1969.

- Joan V. Bondurant: “Conquest of violence: the Gandhian philosophy of conclict”, Berkeley, 1965.

- John Dollard (e altri): “Frustration and Aggression”, New Haven, 1939.

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- Hugh Davis Graham: “Violence in America: historical and comparative perspectives”, New York, 1966.

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- Staughton Lynd: “Nonviolence in America: A Documentary History”, Indianapolis, 1966.

- William Robert Miller: “Nonviolence: A Christian Interpretation”; New York, 1966.

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